Il Genio (“creatore, generatore”, da gigno) era, presso gli antichi popoli italici, un potere superiore che crea e mantiene la vita, assiste alla nascita di ogni singolo uomo, determina il suo carattere, cerca di influenzare il suo destino per il bene, lo accompagna attraverso la vita come suo spirito tutelare, e vive nei Lares dopo la sua morte. Come principio creativo, il Genio è legato, in senso stretto, solo al sesso maschile. Ogni uomo ha il suo genio, che non è il suo creatore, ma nasce con lui e gli viene assegnato alla nascita. Nel caso delle donne il suo posto è preso da Iuno, la personificazione della vita della donna (per esempio Giunone Lucina, la dea del parto). Così, in una casa abitata da un uomo e da sua moglie, un Genio e una Iuno sono venerati insieme. Lo spirito maschile e quello femminile possono quindi essere distinti rispettivamente come protettore della generazione e del parto (tutela generandi, pariendi), sebbene la femmina appaia meno prominente. È il genio del paterfamilias che custodisce il letto matrimoniale: il lectus genialis era a lui dedicato, ed era sotto la sua speciale protezione. Quindi nel linguaggio comune si era soliti parlare del Genio di una casa. Il compleanno di un uomo era naturalmente la festa del Genio che lo assisteva, al quale offriva incenso, vino, ghirlande, dolci, tutto insomma, tranne i sacrifici cruenti, e in onore del quale si dava al piacere e al godimento (Tibullo II. 2; Ovidio, Tristia, III. 13.18); perché il Genio desidera che l’uomo abbia piacere dalla vita che gli ha dato. Il genio di un uomo, come il suo io intellettuale superiore, lo accompagna dalla culla alla tomba. In molti modi esercita un’influenza decisiva sul carattere e sul modo di vivere dell’uomo. (Orazio, Epistole, II. 2.187) Da qui i Romani parlavano del godere di se stessi come dell’assecondare il Genio, e della rinuncia come dello sputare su di lui (Hor. Carm. III. 17, 14; Pers. iv. 27). Gli uomini giuravano per il loro Genio e per il Genio delle persone che amavano e onoravano. I filosofi, soprattutto quelli greci, diedero origine all’idea che un uomo avesse due Genii, uno buono e uno cattivo; ma nella credenza popolare la nozione di Genio era quella di un essere essenzialmente buono e benefico. Famiglie, società, città e popoli, tutti avevano il loro Genio così come gli individui. Quando sotto l’influenza greca l’idea romana degli dèi divenne sempre più antropomorfa, fu anche ad essi assegnato un genio, non però come personalità distinta. Così si sente parlare del genio di Giove (Jovis Genio, C.I.L. I. 603), Marte, Giunone, Plutone, Priapo. In un senso più esteso il genio è anche il generatore e il custode della società umana, come si manifesta nella famiglia, nelle unioni corporative, nella città e nello stato in generale. Così, la statua del genius publicus Populi Romani (Genius Publicus o Genius Populi Romani)– probabilmente distinto dal genius Urbis Romae, al quale era dedicato un vecchio scudo sul Campidoglio – con un’iscrizione che esprimeva dubbi sul sesso (Genie… sive mas sive femina) – si trovava nel foro presso il tempio della Concordia, in forma di uomo barbuto, coronato da un diadema, e recante una cornucopia nella mano destra e uno scettro nella sinistra. Appare frequentemente sulle monete di Traiano e Adriano Un sacrificio annuale, non limitato a offerte incruenti come quelle del genio della casa, gli veniva offerto il giorno 8 o 9 ottobre. Sotto l’Impero il Genio di Augusto, il fondatore dell’Impero, e quello dell’imperatore attualmente regnante, erano venerati pubblicamente allo stesso tempo, come parte della sacra della famiglia imperiale. Era una pratica comune (spesso obbligatoria) giurare sul genio dell’imperatore e chiunque giurava il falso veniva frustato. C’erano geni di città, di colonie e perfino di province; di artisti, imprenditori e artigiani; di cuochi, gladiatori, vessilliferi, di una legione, di un secolo, e dell’esercito in genere (genius sanctus castrorum peregrinorum totiusque exercitus). Anche le località, come gli spazi aperti, le strade, i bagni e i teatri, le terme, le scuderie, le strade e i mercati avevano i propri Genii (Inscr. Orell. 343, 1697). La parola perse così a poco a poco il suo significato originario; i geni locali senza nome divennero espressione dell’universalità del divinum numen e furono talvolta identificati con gli dèi superiori. Il genio locale era solitamente rappresentato da un serpente, simbolo della fecondità della terra e della perpetua giovinezza. Quindi i serpenti erano solitamente tenuti nelle case (Virgilio, Aen. v. 95; Persius i. 113), e la loro morte era considerata di cattivo auspicio. Il genio personale di solito appariva come un bel giovane in toga, con la testa a volte velata e a volte scoperta, con in mano una coppa da bere e una cornucopia; spesso veniva ritratto nella posizione di chi offre un sacrificio. I Greci avevano una credenza simile a quella dei Genii, chiamandoli δαίμονες, o demoni, di cui Esiodo menziona il numero di 30.000, e vengono definiti come i ministri di Zeus e i guardiani degli uomini. Egli li considera come le anime dei giusti. Pindaro parla di un γενέθλιος δαίμων, che sembra essere esattamente l’equivalente del Genio romano. Tuttavia Il Genio dei romani, secondo alcuni, non ha un esatto parallelo nella religione greca, e almeno nel suo aspetto anteriore è di origine prettamente italica, in quanto una si tratta di una delle divinità della casa o della famiglia. (Libera rielaborazione e adattamento da E. M. Berens. Harry Thurston Peck. Harpers Dictionary of Classical Antiquities 1898 e da Encyclopædia Britannica Eleventh Edition, 1911)