Giuliano (detto poi l'Apostata) venne presto riconosciuto imperatore. Sprezzando i piaceri e il lusso, visse quasi da semplice cittadino secondo i precetti accademici appresi in Grecia. Dedito agli studi, scrisse orazioni contro la religione cristiana che fin da giovane aveva ripudiato probabilmente a causa delle fiere lotte tra i vescovi d'Oriente, in mezzo agli scandali della controversia Ariana e alle variazioni continue dei simboli di fede. Abbracciato un sistema teologico che alla nozione filosofica della divinità univa altresì le pratiche della superstizione, iniziato ai misteri greci ed esaltato fino a digiunare frequentemente e a credersi in corrispondenza con Giove e con Minerva di cui distingueva facilmente le voci, quando divenne imperatore, perseguitò i Cristiani, ristabilendo con gran pompa il culto pagano, favorendo i filosofi antichi che venivano alla sua corte. Per smentire la profezia di Cristo volle ricostruire il tempio di Gerusalemme, e ne ebbe il plauso di tutti gli Ebrei accorsi d'ogni parte con l'ardore dell'entusiasmo, ma il tempio rimase incompiuto per la sua morte. Con un esercito numeroso, movendo da Antiochia, aveva progettato di invadere la Persia; quando abbandonato dal re d'Armenia, presso Ctesifonte (Al Madain), fu costretto a rinunziare all'assedio di questa città. Tradito poi da un nobile persiano che, novello Sinone, era passato a lui e indotto dal medesimo a bruciare la flotta (probabilmente per la impossibilità di risalire il fiume), circondato continuamente da nemici, fu colpito da un dardo mentre si toglieva la corazza e a causa di quella ferita mori nel 363.
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Gioviano (363-364)
L’impero rimase senza eredi e la situazione divenne molto grave; si innalzò presto al trono Gioviano, capo della guardia imperiale. Questi prese il comando degli eserciti e continuò la ritirata sostenendo gli assalti dei nemici e dopo diversi scontri giunse fin sulle rive del Tigri. Qui accolse i legati di Sapore, re persiano che dalla misera condizione dei Romani forse sperava di ottenere una pace vantaggiosa. E la ottenne davvero, essendo Gioviano impaziente di ritirarsi senza ulteriori perdite e di occupare l’impero; per cui egli acconsenti di cedere tutte le conquiste di Diocleziano, cioè le province transtigritane e Nisibi nella Mesopotamia oltre alle provincie già conquistate da Galerio e che erano state cedute dall’avo di Sapore nella pace del 297, con esse la già citata città di Nisibi e alcune altre piazzeforti. Gioviano si accordò pure per rinunciare all’alleanza con il re dell’Armenia, riconoscendo l’indipendenza di questa regione e promettendo di non interferire più nella sua politica. Il nuovo imperatore poi, una volta varcato il Tigri e attraversata la Mesopotamia, si ritirò con il resto dell’esercito al di qua dell’Eufrate. Nella ritirata dopo la morte di Giuliano egli fece nuovamente dispiegare il Labaro.
Prima cura di Gioviano fu di ripristinare il Cristianesimo abolendo gli editti di Giuliano, proclamando piena libertà di coscienza, accordando protezione e favore ai Cristiani. Gioviano stesso era cristiano, seguace della confessione nicenea; egli revocò dunque immediatamente tutte le disposizioni a svantaggio dei Cristiani, ed Atanasio, col suo consenso, tornò alla sua sede vescovile di Alessandria. Ma Gioviano non potè raccogliere i frutti della pace perché morì l’anno seguente (18 febbraio 364 d. C.) al confine fra la Bitinia e la Galazia, a Dadastana, di morte improvvisa. Alla sua morte seguirono alcuni giorni senza che l’impero avesse un nuovo sovrano. Poi, i capi dell’esercito e della burocrazia in solenne adunanza il 20 di febbraio elessero a Nicea come successore, Flavio Valentiniano, un valoroso generale pannonico degli eserciti di Giuliano. Pare che la causa della morte di Gioviano fosse stata l’asfissia provocata delle esalazioni emesse da un braciere acceso nella sua camera (o forse venne avvelenato in Bitinia).
Valentiniano e Valente
Valentiniano era figlio di Graziano, un uomo che dal basso si era fatto strada col servizio militare fino alle più alte cariche. Anche il figlio aveva percorso la cariera militare facendovi notevoli progressi e da ultimo era stato nominato da Giuliano tribuno della guardia imperiale. Valentiniano nominò il 28 di febbraio come suo collaboratore il fratello Valente e gli assegnò le province orientali, ebbe il governo dell oriente dal basso Danubio fino alla Persia, riservando a sé quelle occidentali e l’Italia. Istituì quindi la propria corte a Milano, mentre il fratello stabilì la propria residenza a Costantinopoli.
Sotto il governo dei due fratelli mercè la superiorità di Valentiniano e la quieta dipendenza di Valente l’impero ebbe un periodo pace al suo interno salvo due infelici tentativi di breve usurpazione fatti da Procopio in oriente e da Firmo nella Mauretania, mentre e all’esterno i confini furono ben difesi dagli assalti barbarici.
I Barbari
La parola “barbaro” deriva dal greco antico, βάρβαρος, e significa “non greco”. Era il modo in cui i Greci designavano gli stranieri, le persone che non erano elleniche e quelle la cui lingua madre non era il greco. Nacque come allusione ai Persiani, il cui linguaggio ai Greci suonava come un balbettante “bar-bar-bar”. Anche i Romani vennero chiamati barbari dai Greci.
Tuttavia, fu nell’Impero romano che l’espressione venne usata con la connotazione di “non romano” o “incivile”. Il pregiudizio nei confronti di persone che non condividono gli stessi usi e costumi è naturale per gli abitanti dei grandi centri economici, sociali e culturali, cioè civilizzati, che vivono in grandi città, che hanno sviluppato l’arte, l’architettura, la letteratura e la vita civile, ed è caratteristico dall’etnocentrismo. Oggi l’espressione “barbaro” significa incivile, brutale o crudele. Si trattava di un termine peggiorativo che non corrispondeva alla realtà perché, pur non condividendo alcuni aspetti della cultura romana e non parlando il latino, questi popoli avevano una cultura e dei costumi propri.
Ciascuno dei popoli chiamati “barbari” era un gruppo ben distinto e questa denominazione comprendeva sia gli Unni, di origine orientale, sia i popoli germanici, come i Goti, e i Celti, come i Galli, ma anche gli abitanti delle province più remote, come i Britanni.
In particolare venivano chiamati barbari i popoli di origine germanica, le tribù al di là delle frontiere romane del Reno e del Danubio, che, tra il 409 e il 711, nell’ambito delle migrazioni, invasero l’Impero Romano d’Occidente, causandone la caduta nel 476 d.C.
In realtà alcuni popoli barbari non erano così primitivi come pensavamo i romani, ma coltivavano anche con maestria alcune arti o tecniche come la metallurgia. I Romani avviarono il processo di civilizzazione delle tribù lungo le frontiere e introdussero unità di origine barbarica nell’esercito romano, questo per fronteggiare le invasioni di altri barbari che cercavano di varcare i confini dell’Impero.
Nel IV secolo, soprattutto nelle province di frontiera, molti sudditi dell’Impero Romano erano di origine barbarica. Ma i barbari incutevano comunque il terrore nel mondo civilizzato, con le loro orde sempre in cerca di nuove terre e che volevano far parte dell’impero o saccheggiarne e depredarne le ricchezze.
Sebbene possiamo classificare questi barbari per nome, in realtà, trattandosi di popolazioni costantemente nomadi che stringevano fragili alleanze e si dichiaravano guerra subito dopo e che erano prive di una precisa catena di comando o di successione, la loro caratterizzazione diventa più complicata.
Le fonti che ci sono rimaste sui barbari, per lo più romane, sono confuse e lacunose e questo dà un’idea di come gli stessi romani avessero serie difficoltà ad affrontarli e a gestirli. Ecco di seguito una lista delle popolazioni barbariche più importanti, che spesso combattevano anche le une contro le altre, oltre che contro i Romani, e a volte stringendo addirittura alleanze con questi ultimi:
I Goti (gotico: Gut-þiuda; tedesco: Goten; svedese antico: Gutar; latino: Gothi) erano una tribù germanica, costituita da un insieme di gruppi e clan con capi diversi. La loro origine è oggetto di controversia. Vengono citati per la prima volta nel 98 d.C., come abitanti della foce della Vistola, nell’attuale Polonia, ma vivevano anche dove oggi si trova la Romania, e originariamente, tra le varie ipotesi, si pensa provenissero dalla Scandinavia. Intorno all’anno 200 iniziarono a spostarsi verso il Mar Nero – spinti dagli Alani, una tribù delle steppe asiatiche – stabilendosi nell’attuale Ucraina e in Bielorussia. Quando giunsero a scontrarsi con l’Impero romano, nel IV secolo, i Goti si divisero in Ostrogoti (“Goti luminosi”) e Visigoti (i (“Goti saggi”). Gli Ostrogoti si stabilirono infine nella penisola italiana e in Pannonia, mentre i Visigoti in Gallia e in Spagna. Nel 251, il re gotico Cniva uccise l’imperatore Traiano Decio. Poi si unirono ai Romani come confederati, finché i Visigoti non uccisero l’imperatore Valente nel 378. Nel 410, il capo dei Visigoti, Alarico, saccheggiò Roma, in seguito tuttavia i Visigoti divennero confederati di ciò che restava dell’Impero Romano d’Occidente. Nel VI secolo gli Ostrogoti furono sconfitti dall’Impero bizantino e nell’VIII secolo i Visigoti vennero vinti dagli Arabi.
I Vandali erano una tribù germanica orientale originaria della Scandinavia che cominciò a insidiare l’impero romano già dai tempi di Marco Aurelio, quando attraversarono il Danubio, e che penetrò nell’Impero romano nel corso del V secolo, entrando in Gallia, attraversando l’Iberia e conquistando il Nord africa, dove crearono un loro Stato, stabilendo la loro capitale a Cartagine, un’antica città fenicia occupata dai Romani fin dalla fine delle guerre puniche. La posizione di Cartagine sulle rive del Mediterraneo era strategica per i Vandali. Qui centralizzarono il loro Stato e poco dopo essersi affermati, saccheggiarono Roma nel 455 distruggendo molti capolavori d’arte che andarono perduti per sempre. I Vandali erano in guerra alternativamente contro i romani e contro i Visigoti. Alcuni di loro, come Stilicone, si arruolarono nell’esercito romano, ma per Roma rimasero una minaccia fino al 406, quando, spinti dall’avanzata degli Unni, attraversarono il Reno assieme agli Alani e ai Suebi e devastarono poi parti della Gallia e della Spagna. I Vandali furono governati in Spagna da re Gunderico fino alla sua morte nel 428, dopodiché si trasferirono in Nord Africa.
Gli Unni erano un’antica confederazione eurasiatica di nomadi o seminomadi equestri, con un nucleo aristocratico altaico (cioè dei monti Altai, a sud del bassopiano siberiano). Alcune di queste tribù si trasferirono in Europa sudorientale nel IV secolo, probabilmente a causa dei cambiamenti climatici. Erano eccellenti allevatori di cavalli e abili nel combattimento sempre a cavallo (con spada, lancia e arco). Scacciarono i Visigoti, costringendoli a invadere l’Impero romano e in seguito spinsero i Vandali in Italia e in Gallia. Il loro leader più importante fu Attila (434-453), ma dopo la sua morte gli Unni esaurirono in gran parte le loro forze.
I Franchi erano un insieme di tribù tedesche stanziate lungo il Reno che che iniziarono ad attaccare la Gallia e la Spagna alla fine del III secolo. Respinti da Giuliano nel 355, entrarono poi nell’Impero Romano dalla Frisia (provincia del nord dei Paesi Bassi) a partire dal 425 come federati e stabilirono un regno duraturo nell’area che copre la maggior parte dell’odierna Francia e la regione della Franconia in Germania, formando il seme storico di entrambi questi paesi moderni. Dopo il 425 uno dei nuovi capi, Clodione, iniziò una nuova invasione. Il Regno dei Franchi subì diverse spartizioni e ripartizioni, poiché i Franchi dividevano i loro beni tra i figli superstiti.
Questa pratica spiega in parte la difficoltà di descrivere con precisione le date e i confini fisici dei regni franchi e chi regnò sulle varie sezioni. La riduzione dell’alfabetizzazione durante il regno dei Franchi aggrava il problema: essi produssero pochi documenti scritti. In sostanza, però, si succedettero due dinastie di condottieri, prima i Merovingi e poi i Carolingi. Oggi i nomi tedeschi e olandesi della Francia sono rispettivamente Frankreich e Frankrijk, che significano entrambi “Regno dei Franchi”.
Gli Alani erano un popolo nomade di origine iranica che viveva nel Caucaso nord-orientale o Russia meridionale, tra il fiume Don e il Mar Caspio. Fecero parte dei popoli che penetrarono nel tardo Impero romano durante il periodo delle invasioni barbariche, migrando verso ovest nel IV-V secolo. Nel 460, gli Unni distrussero il loro regno, costringendo molti di loro ad attraversare l’Europa per raggiungere la penisola iberica (nel 609). In questa migrazione finirono per unirsi ai Svevi e ai Vandali che occuparono la Spagna contemporaneamente a loro. Gli Alani si stabilirono nella Penisola Iberica e fondarono un regno in Lusitania, con sede a Pax Júlia, l’attuale città di Beja, in Portogallo, guidato dal re Attaco, che fu sconfitto nel 418. Costretti a spostarsi in Nordafrica, qui, sotto i re Gunderico e Genserico, fondarono il Regno dei Vandali e degli Alani che si sarebbe estinto nel VI secolo con la dominazione bizantina. Gli Alani erano un gruppo nomade iranico sorto tra i popoli sarmati, nomadi pastori pronti alla guerra e di origini diverse, che parlavano una lingua iranica e condividevano, in senso lato, una cultura comune.
Gli Alamanni (latino: Alamanni, Allemanni o Alemanni) erano un popolo germanico occidentale, così chiamato dai Romani, “il popolo di tutti gli uomini”. Essi stessi, tuttavia, preferivano chiamarsi Svevi. A partire dal III secolo, cercarono di infiltrarsi nella frontiera romana del Reno-Danubio. L’imperatore Giuliano riuscì a sconfiggerli nel 357 a Strasburgo. A distanza di secoli, essi persistettero in questa pressione colonizzatrice, venendo però sempre frenati, soprattutto dall’opposizione dei Franchi. Questa resistenza fece sì che gli Alamani si allontanassero e si concentrassero nelle attuali regioni dell’Alsazia (prima della conquista dei Franchi), della Lorena, del Baden-Württemberg e della Svizzera.
(Libero adattamento da “Manuale di Storia Romana” di Luigi Schiaparelli 1865, da Manuale di Storia Romana di G. Bragagliolo, 1896, Storia Romana di I. Gentile, 1885, Manuale di Storia Romana, Benedikt Niese, 1910 )
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