Morto Costantino nel trentunesimo anno del suo regno, l’impero, lasciato in eredità ai suoi tre figli, Costante, Costanzo e Costantino, si inaugurò con l'uccisione dei propri congiunti e di altri personaggi illustri per parentela od autorità. Due soli rampolli scamparono da questo massacro per via della loro tenera età : Gallo e Giuliano. Poi i fratelli non tardarono a guerreggiarsi per ambizione di dominio. Costantino mosse guerra a Costante, ma tratto in un'imboscata per tradimento dai suoi stessi ufficiali, fu ucciso (340). Costante, inetto uomo e spregevole per i suoi vizi, subì la stessa sorte per opera di Magnenzio, comandante delle milizie nella Gallia, che si proclamò imperatore (350) mentre le legioni dell'Illirico gli contrapponevano il generale Vetranione. Costanzo, impegnato in una guerra contro i Persiani, fatta pace con costoro, mosse contro i rivali. Vetranione, abbandonato dai suoi, fu fatto prigioniero; Magnenzio vinto a Mursa (Esseg) nel 351, riparò nella Gallia e si uccise. Tutta L'Italia riconobbe allora Costanzo e l'impero fu di nuovo riunito nelle mani di un solo monarcca. Ma l'imperatore era debole, inetto, sospettoso.
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Giuliano (Flavius Claudius Julianus) (331-363), comunemente chiamato Giuliano l’Apostata, imperatore romano, nacque a Costantinopoli nel 331, figlio di Giulio Costanzo e di sua moglie Basilina, e nipote di Costantino il Grande. (Per la data di nascita di Giuliano si veda il Declino e la caduta di Gibbon (ed. Bury), II. 247, nota 11. Essa comunque sembra collocabile tra il maggio del 331 e il maggio del 332. Se si adotta la prima ipotesi, Giuliano deve essere morto nel trentatreesimo e non nel trentaduesimo anno di età, come afferma Ammiano Marcellino, xxv. 3, 23). Era quindi un membro della dinastia che contribuì in maniera determinante al consolidamento del cristianesimo come religione ufficiale a Roma. Il praenomen Flavio lo ereditò dal nonno paterno Flavio Valerio Costanzo, meglio noto come Costanzo Cloro o Costanzo I; il nome di Claudio era stato assunto dalla famiglia di Costantino per affermare la propria parentela con Claudio il Gotico; il nome di Giuliano infine, gli derivava dal nonno materno. Il soprannome di “Apostata” gli venne attribuito per aver egli rinnegato la fede cristiana inculcatagli in gioventù.
L’intellettuale ribelle
Giuliano perse la madre pochi mesi dopo la sua nascita. Aveva solo sei anni quando morì anche lo zio imperatore e uno dei suoi primi ricordi deve essere stato il terribile massacro di suo padre e dei suoi parenti, compiuto nell’interesse dei figli di Costantino e più o meno su loro stessa istigazione. Solo Giuliano, e il fratellastro maggiore Gallo, un ragazzo di tredici anni, furono risparmiati; poiché Gallo era troppo malato e Giuliano era invece appunto troppo giovane, aveva appena sei anni, per suscitare un qualche timore o giustificare la crudeltà degli assassini.Si racconta che Marco, vescovo di Aretusa, li avesse nascosti in una chiesa.
Dopo qualche tempo Gallo venne bandito ed esiliato nella Ionia, ma a Giuliano fu permesso di rimanere a Costantinopoli, dove fu educato con cura sotto la supervisione dell’eunuco di famiglia Mardonio – un dotto eunuco che era già stato maestro di sua madre, Basilina e che dava lezioni di lettere greche – e di Eusebio, vescovo di Nicomedia. Verso il 344 Gallo fu richiamato dall’esilio e i due fratelli furono trasferiti a Macellum, un castello remoto e solitario in Cappadocia, tenuti lì come principi ma costantemente sorvegliati (Juliani Opera, Epistola agli ateniesi). Giuliano, che ormai aveva quattordici o quindici anni, fu educato alla professione della religione cristiana, ma fu presto attratto dalla vecchia fede, o meglio dall’amalgama idealizzato di paganesimo e filosofia che era in voga tra i suoi maestri, i retori.
I due giovani tuttavia, furono introdotti allo studio delle Sacre Scritture e ordinati addirittura lettori, tanto da dover leggere la Bibbia pubblicamente nella chiesa di Nicomedia.
Pare che le intenzioni di Costanzo fossero di avviare Giuliano alla carriera ecclesiastica, cosa per cui il ragazzo non si sentiva e non era giudicato incline.
Fu proprio in questo periodo che, segretamente, Giuliano aveva rigettato il credo della casa regnante a causa del terribile destino cui era andata incontro la sua famiglia, e senza aver alcuna prospettiva di carriera politica, egli si rivolse, con tutta la foga di un temperamento entusiasta, agli studi letterari e filosofici del tempo. L’antico mondo ellenico esercitava su di lui un’attrazione irresistibile. L’amore per la cultura era nella mente di Giuliano intimamente associato alla fedeltà alla propria religione.
La conversione al paganesimo
Nel frattempo il corso degli eventi aveva lasciato come unico autocrate dell’Impero romano il cugino Costanzo che, sentendosi inadeguato all’enorme compito, chiamò il fratello di Giuliano, Gallo, a condividere il potere e nel marzo del 351 lo nominò Cesare. Nello stesso tempo, a Giuliano fu concesso di tornare a Costantinopoli, dove studiò grammatica sotto Nicocle e retorica sotto il sofista cristiano Ecebolo.
Dopo un breve soggiorno nella capitale, a Giuliano fu ordinato di trasferirsi a Nicomedia, dove fece la conoscenza di alcuni dei più eminenti retori del tempo come anche di numerosi filosofi neoplatonici, e si confermò in lui la sua segreta devozione alla fede pagana. Fu in questo periodo che conobbe Libanio, che divenne suo maestro prediletto e il suo migliore amico. Giuliano promise però di non assistere alle lezioni di Libanio, ma di acquistare i suoi libri e di leggerli. Ma la sua definitiva conversione al paganesimo è stata attribuita al neoplatonico Massimo di Efeso, che potrebbe avergli fatto visita a Nicomedia.
Il suo distacco dalla religione cristiana, fu probabilmente motivato dal mal costume imperante alla corte di Costantino, dall’eccidio della sua famiglia e dagli scismi e dalle persecuzioni nate in seno alla stessa chiesa.
Lassù qualcuno mi ama
La caduta di Gallo (354), che era stato nominato governatore dell’Oriente, espose nuovamente Giuliano al massimo pericolo. Con la sua condotta avventata e caparbia Gallo si era inimicato Costanzo e gli eunuchi, suoi ministri riservati, e fu quindi messo a morte. Giuliano cadde nel medesimo sospetto e sfuggì per poco allo stesso destino. Per alcuni mesi venne confinato a Milano (Mediolanum), finché, per intercessione dell’imperatrice Eusebia, che si era sempre dimostrata benevola nei suoi confronti, gli fu concesso di ritirarsi in una piccola proprietà in Bitinia. Mentre era in viaggio, Costanzo lo richiamò, ma gli permise – o meglio gli ordinò – di risiedere ad Atene. I pochi mesi che vi trascorse (luglio-ottobre 355) furono probabilmente i più felici della sua vita.
Da filosofo a Cesare e condottiero: la campagna in Gallia
L’imperatore Costanzo e Giuliano erano ormai gli unici membri maschi superstiti della famiglia di Costantino e, poiché l’imperatore si sentiva di nuovo oppresso dalle incombenze del governo, non c’era alternativa: doveva chiamare Giuliano in suo aiuto. Su richiesta dell’imperatrice il giovane fu dunque convocato a Milano, dove Costanzo gli concesse la mano della sorella Elena, il titolo di Cesare e il governo della Gallia.
Al di là delle Alpi lo attendeva un compito di estrema difficoltà. Durante i recenti disordini, gli Alamanni e altre tribù tedesche avevano attraversato il Reno; avevano bruciato molte città fiorenti ed ora stavano spingendo le loro devastazioni fino all’interno della Gallia. Anche il governo interno della provincia era caduto in grande confusione. Nonostante la sua inesperienza, Giuliano riportò rapidamente l’ordine. Nella grande battaglia di Strasburgo o battaglia di Argentoratum (agosto 357) sconfisse completamente gli Alamanni. Le tribù franche che si erano insediate sulla sponda occidentale del basso Reno furono ridotte alla sottomissione.
In Gallia ricostruì le città distrutte, ristabilì l’amministrazione su basi giuste e sicure e alleggerì, per quanto possibile, le tasse che gravavano così pesantemente sui poveri provinciali. Parigi (Lutetia) fu la residenza abituale di Giuliano durante il suo governo della Gallia, e il suo nome è indissolubilmente associato alla prima storia della città. Stabilì un tribunale a Calcedonia, il quale doveva indagare sulla condotta tenuta da coloro che avevano abusato del proprio potere nel regno precedente.
Purtroppo oltre a molti effettivamente colpevoli furono condannati anche diversi innocenti, come Ursulo, la cui condanna viene deprecata da Ammiano nei suoi scritti.
Giuliano unico imperatore
La reputazione di Giuliano era ormai consolidata. Era il generale di un esercito vittorioso, a lui entusiasticamente legato, e il governatore di una provincia che egli stesso aveva salvato dalla rovina; ma era anche diventato oggetto di paura e gelosia alla corte imperiale. Costanzo decise quindi di indebolire il suo potere. La minaccia di invasione da parte dei Persiani fu addotta come scusa per ritirare alcune delle migliori legioni dall’esercito gallico. Giuliano riconobbe lo scopo occulto di questo provvedimento, ma procedette a eseguire gli ordini dell’imperatore. Ma un improvvisa presa di posizione delle sue stesse legioni, decise altrimenti.
A Parigi, la sera del banchetto di addio, i soldati si introdussero nella tenda di Giuliano e, proclamandolo imperatore, gli proposero l’alternativa di accettare l’alto titolo o di morire all’istante. Giuliano accettò l’impero e inviò un’ambasceria con un messaggio deferente a Costanzo. Poiché il messaggio fu sprezzantemente ignorato, entrambe le parti si prepararono a una lotta decisiva.
Dopo una marcia di ineguagliabile rapidità attraverso la Foresta Nera e lungo il Danubio, Giuliano raggiunse Sirmium, ed era già in viaggio verso Costantinopoli, quando ricevette la notizia della morte di Costanzo, che era a sua volta partito dalla Siria per incontrarlo, a Mopsucrene in Cilicia (3 novembre 361).
Senza ulteriori impedimenti Giuliano venne ovunque riconosciuto come unico sovrano dell’Impero romano; si afferma addirittura che Costanzo stesso, in punto di morte, lo avesse designato come suo successore. Giuliano entrò a Costantinopoli nel dicembre del 361.
La restaurazione del paganesimo
Giuliano aveva già fatto pubblica ammissione del paganesimo, di cui era stato un segreto adepto fin dall’età di vent’anni. Non si trattava di una professione ordinaria, ma dell’espressione di una convinzione forte e persino entusiastica; la restaurazione del culto pagano doveva essere il grande obiettivo e il principio guida del suo governo. Il suo regno fu troppo breve per mostrare quale forma precisa avrebbe potuto assumere la rinascita pagana, o per rivelare fino a che punto i suoi sentimenti si sarebbero inaspriti a causa del conflitto con la fede cristiana, oppure se la persecuzione, la violenza e la guerra civile non avrebbero potuto prendere il posto della persuasione morale che era il metodo da lui inizialmente adottato. Egli emanò un editto di tolleranza universale, ma per molti aspetti usò la sua influenza imperiale in modo scorretto per promuovere l’opera di restaurazione.
Tolse le entrate alle chiese e fece riedificare i templi pagani da coloro che avevano avuto parte nella loro distruzione. Sebbene Giuliano non avesse ordinato nessuna persecuzione, in alcune province ci si approfittò della nuova politica religiosa per tornare a incarcerare e mettere a morte dei cristiani. Questi eccessi furono frenati e puniti da Giuliano, ma senza troppa efficacia.
Per privare i cristiani dei vantaggi della cultura e screditarli come una setta di ignoranti, vietò loro di insegnare la retorica e anche le opere dei classici, affermando che siccome essi rifiutavano gli dei, non dovevano perciò giovarsi della dottrina e del genio di chi aveva creduto in essi (Juliani, Epist. 42). I simboli del paganesimo e della dignità imperiale erano così abilmente intrecciati sugli stendardi delle legioni, che i soldati non potevano rendere l’usuale omaggio all’imperatore senza il qualche modo offrire un culto agli dei; e, quando sempre i soldati si presentavano per ricevere il consueto donativo, essi erano tenuti a gettare manciate di incenso sull’altare. Senza escludere direttamente i cristiani dalle alte cariche dello Stato civili o militari, riteneva però che gli adoratori degli dei dovessero avere la preferenza. In breve, sebbene non ci fosse una persecuzione diretta, egli esercitò molto più di una pressione morale per ripristinare il potere e il prestigio dell’antica fede.
Giuliano tuttavia non credeva realmente alle storie mitologiche popolari, come appare chiaro da suoi scritti, specialmente in quello dal titolo titolo I Cesari, nonostante ciò mostrò gran zelo nel culto delle divinità pagane e scrisse orazioni in lode della Madre degli dei e del Sole.
Rivolte ad Alessandria
La politica di ripristino del paganesimo da parte Giuliano gli attirò addosso l’odio del popolo, tanto che giravano diverse accuse sul suo conto, come quella di essere stato un delatore durante il regno di Costanzo, denunciando come nemici della corona coloro che erano dei cristiani. Il vescovo Giorgio di Alessandria scatenò una sorta di insurrezione atta a demolire un tempio pagano dedicato al genio della città. Il sacerdote di detto tempio venne massacrato dalla folla inferocita, insieme ad altri funzionari. Nessuno cercò di impedire l’uccisione, nemmeno i cristiani, e nessuno poi la deprecò, tanto il sacerdote era tenuto in disprezzo da tutti. Giuliano si limitò comunque soltanto a placare la situazione, annunciando però dure rappresaglie in caso di altre insurrezioni.
La spedizione contro la Persia
Dopo aver trascorso l’inverno del 361-362 a Costantinopoli, Giuliano si recò ad Antiochia per preparare la grande spedizione contro la Persia. Il suo soggiorno lì, fu teatro di un episodio curioso della sua vita. Non si sa bene se, tra le sue convinzioni pagane o la sua vita ascetica (alla maniera di un filosofo antico), quale delle due cose fosse considerata più offensiva dai cristiani della capitale.
Tuttavia ben presto i cittadini di Costantinopoli e il nuovo imperatore arrivarono a detestarsi reciprocamente. Giuliano dunque si stabilì a Tarso per trascorrere l’inverno; da qui poi, all’inizio della primavera, marciò contro la Persia Il grande impero partico, che era stato un formidabile antagonista di Roma, dopo cinque secoli di esistenza fu abbattuto da una rivolta dei Persiani (226 d.C.) e si instaurò la Nuova monarchia persiana o sasanide. Questo impero durò fino a quando il Paese fu invaso dai Saraceni nel VII secolo d.C. Alla testa di un esercito potente e ben equipaggiato di 65.000 uomini egli avanzò attraverso la Mesopotamia e l’Assiria fino a Ctesifonte, nei pressi della quale attraversò il fiume Tigri, di fronte a un esercito persiano che egli puntualmente sconfisse. Ma Giuliano, Ingannato dall’infido consiglio di un nobile persiano, desistette dall’assedio e si mise all’inseguimento dell’esercito del suo principale nemico, Shapur II.
Morte di Giuliano
Dopo una lunga e inutile marcia, Giuliano fu costretto a ritirarsi. Ormai si trovava circondato dall’intero esercito persiano, in un paese desolato e senza acqua, e per giunta nella stagione più calda dell’anno.
Le legioni romane vennero logorate dai continui attacchi della cavalleria leggera persiana e ridotti agli stenti per mancanza di rifornimenti.
Tuttavia i Romani respinsero il nemico in molte dure battaglie e Sapore re de Persiani stava quasi a venire a patti, ma proprio in quel momento si accese una nuova scaramuccia tra i due eserciti e Giuliano, sempre in prima linea, che era corso sul posto alla testa suoi soldati senza pensare a porsi la corazza, fu ferito a morte da un giavellotto. Fu portato alla sua tenda e mori nella notte del 26 di giugno 363. Morì tranquillamente attorniato da suoi amici conversando intorno ad argomenti filosofici e mostrandosi soddisfatto per come aveva governato.
Negli scritti dello storico Ammiano Marcellino, che ci riporta in maniera più attendibile i fatti avvenuti durante il suo regno, troviamo un nobile discorso pronunciato da Giuliano rivolto ai suoi ufficiali, afflitti nel vederlo sul letto di morte. Poco dopo la sua scomparsa, si diffuse la voce che la ferita mortale fosse stata inferta da un soldato cristiano dell’esercito romano. Il famoso episodio, che si trova per la prima volta in Teodoreto (V secolo), secondo cui Giuliano avrebbe rivolto il pugno insanguinato verso il cielo, esclamando: “Hai vinto, o galileo!”, è probabilmente uno sviluppo del racconto della sua morte così come si trova nelle poesie di Efrem Siro.
Il suo corpo fu traslato a Tarso, in Cilicia, secondo la sua volontà, e il suo successore Gioviano gli eresse un monumento.
“Vicisti, Galilaee!”
Esistono diverse versioni o addirittura leggende sulla morte di Giuliano. Ammiano Marcellino ci riferisce che pur sapendo che stava per morire, egli mantenne una stoica dignità e contegno fino alla fine, pronunciando perfino un discorso elevato a coloro che erano riunito attorno al suo capezzale. Un’altra tradizione, quasi certamente apocrifa e dunque falsa, sostiene che le ultime parole di Giuliano furono “νενίκηκάς με, Γαλιλαῖε, o Vicisti, Galilaee (“Hai vinto, Galileo”). Si trattava, ovviamente, di un riferimento a Gesù Cristo e alla convinzione di Giuliano che le speranze del paganesimo greco-romano sarebbero morte con lui, presumibilmente esprimendo così il presentimento che il cristianesimo sarebbe poi diventato la religione di Stato dell’Impero
La frase introduce la poesia del 1866 “Hymn to Proserpine” (Inno a Proserpina), in cui Algernon Charles Swinburne immagina ciò che un filosofo pagano avrebbe potuto provare assistendo al trionfo del cristianesimo. Termina così anche il dramma romantico Nie-boska Komedia (“La non-divina Commedia”), scritta nel 1833 dal polacco Zygmunt Krasiński.
Chi ha ucciso Giuliano?
Con il passare del tempo, la Chiesa cristiana attribuì la morte di Giuliano a un evento miracoloso, una punizione divina. Questa punizione sarebbe stata eseguita per mano di un santo militare, Marcur o Mercurio, venerato per questo e per vari miracoli sia nella Chiesa cattolica che in quella ortodossa. In ambito copto, Mercurio (Marcur o Biet Mercoreos per gli etiopi) è il santo giustiziere, un santo militare sullo stile di San Giorgio, ed è raffigurato a cavallo mentre trafigge Giuliano, che giace a terra ferito. Intorno a questa attribuzione miracolosa, nel corso del V e del VI secolo, la Chiesa d’Oriente, soprattutto nell’area siro-anatolica, costruì una leggenda molto complessa che finì per dare forma al mito della morte di Giuliano per giustizia divina.
Il mito, nella sua forma più diffusa, racconta che San Basilio il Grande, mentre era in preghiera con alcuni compagni religiosi, avrebbe avuto un sogno in cui vedeva Mercurio prendere le armi e andare a uccidere Giuliano per ordine di Dio. Il mattino seguente, Basilio si recò in una chiesa vicina dove si venerava Mercurio e vide che le armi del santo erano scomparse. Tre giorni dopo, la notizia della morte dell’imperatore giunse ad Antiochia. Né Basilio né alcuno degli scrittori ecclesiastici contemporanei fanno riferimento a questo episodio. Compare però nell’opera di Giovanni Malalas (VI secolo) e in due manoscritti copti di attribuzione apocrifa che sembrano essere stati prodotti nel V e VI secolo , oltre che in altri autori successivi. Da quel momento in poi, il mito divenne sempre più complesso, esaltando la figura di Mercurio e dell’intervento divino e denigrando quella di Giuliano.
Per un motivo o per l’altro, il mito del sogno di Basilio creò due figure opposte che servirono bene alla Chiesa ufficiale: Mercurio come salvatore dell’umanità e Giuliano come crudele e personificazione del male. Nella complessità della leggenda, non è nemmeno chiaro se Mercurio sia il santo a cui è stato attribuito per primo l’assassinio, perché nella più antica versione di un sogno premonitore della morte di Giuliano, il testo anonimo Romanzo di Giuliano, scritto in siriaco , il protagonista di tale sogno è un santo di nome Curione (Mar Curio in siriaco), identificato con uno dei quaranta martiri di Sebaste. La manipolazione dei fatti piuttosto confusi relativi alla morte di Giuliano servì alle gerarchie della Chiesa d’Oriente per esemplificare la fine del paganesimo attraverso l’intervento divino. Giuliano non solo era morto, ma le sue idee pagane erano state sconfitte, e tutto per intervento divino. E naturalmente ebbe anche effetti politici, perché Giuliano era l’esempio perfetto per dimostrare che qualsiasi imperatore che si fosse allontanato dai disegni della Chiesa sarebbe stato vittima della giustizia divina.
Una figura romantica
La vicenda unica di Giuliano, ultimo campione di un politeismo al tramonto, ha sempre suscitato enorme interesse. Autori come Gregorio di Nazianzo, San Geronimo e San Cirillo gli hanno rivolto i più feroci anatemi e perfino Ammiano Marcellino, autore pagano, ne rimarca le contraddizioni e le zone d’ombra; ma se un giudizio critico sulla sua figura che si sforzi di essere giusto e comprensivo, non può non rilevare molte nobili qualità nel suo carattere. Durante l’infanzia e e la giovinezza egli aveva incominciato a considerare il cristianesimo come una forza persecutrice. Gli unici amici che ebbe furono i retori e i filosofi pagani; e trovò uno sfogo adeguato per la sua mente inquieta e indagatrice solo negli studi del patrimonio culturale dell’antica Grecia. In questo modo fu attratto dall’antico paganesimo; ma era un paganesimo idealizzato dalla filosofia del tempo.
Anche sotto altri aspetti Giuliano mostrò di non essere affatto un indegno successore degli Antonini. Pur avendo trascorso una giovinezza in solitudine e tutta dedita agli studi, in un clima culturale anche piuttosto pedante, non appena fu chiamato al governo della Gallia, mostrò tutta l’energia, l’ardimento e la saggezza pratica di un vero romano. Per temperanza, autocontrollo e zelo nel perseguire il bene comune, come lui lo intendeva, era insuperabile. A queste qualità tipicamente romane, si aggiungeva in lui la grande la cultura, il talento letterario e la curiosità speculativa tipici di un greco. Una degli aspetti più notevoli del suo essere imperatore, fu la perfetta disinvoltura e la padronanza con cui associò le preoccupazioni della guerra e della politica all’assidua coltivazione della letteratura e della filosofia.
Tuttavia, c’è da aggiungere che proprio questa sua dedizione alle lettere non era esente da pedanteria e dal dilettantismo. I suoi contemporanei gli rimproverarono una mancanza di naturalezza. Non aveva una salda dirittura morale, né la virilità composta e poco loquace di un vero romano, come neppure la spontaneità di un greco. Era uno spirito pieno d’inquietudine. Durante le conversazioni risultava molto logorroico, tanto da rimanere di solito quasi senza fiato; era sempre molto nervoso nei suoi atteggiamenti e nel suo agire e costantemente in preda all’agitazione. Mostrava una certa deferenza nei confronti dei sofisti e dei retori del tempo e li promuoveva ad alte cariche di stato; c’era davvero da temere che introducesse una sorta di governo dei pedanti nell’impero romano. Infine, il suo amore per l’antica filosofia fu tristemente offuscato dalla sua devozione per le vecchie superstizioni. Era molto dedito alla divinazione ed era noto per l’alto numero di vittime impegnate nei riti sacrificali.
L’arguzia popolare, gli rivolgeva la stessa battuta ironica che era stata a suo tempo indirizzata a Marco Aurelio: “I bianchi buoi ti salutano o Marco Cesare. Se tu regni a lungo, per noi sarà la fine”.
Giuliano e il Tempio di Gerusalemme
Giuliano, come abbiamo già detto, è chiamato l’Apostata perché abbandonò il cristianesimo e si adoperò per ripristinare la fede pagana. Nella sua lotta contro i cristiani, tuttavia, non poté ricorrere ai vecchi mezzi – “la spada, il fuoco, i leoni” – perché egli non avrebbe ma permesso il rinnovarsi delle persecuzioni neroniane e diocleziane. Le armi di Giuliano erano i sofismi e l’ironia, nell’uso dei quali era un maestro. Escluse i cristiani dalle scuole di logica e di retorica e inoltre, per gettare discredito sulle predizioni delle Scritture, Giuliano decise di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, che i cristiani sostenevano non potesse essere restaurato in base alle antiche profezie. Iniziò effettivamente gli scavi, ma i suoi operai dovettero fuggire in preda al panico dovuto alle terribili e improvvise esplosioni e alle fiamme. I cristiani considerarono questo evento miracoloso; e Giuliano stesso, è certo, ne fu talmente colpito dal desistere dall’impresa (si suppone che le esplosioni che terrorizzarono così tanto gli operai di Giuliano siano state causate da accumuli di gas nelle camere sotterranee delle fondamenta del Tempio, simili a quelli che causano spesso incidenti nelle miniere). Invano l’imperatore apostata si sforzò di sradicare la nuova fede. Altrettanto vani furono i suoi sforzi per ripristinare il culto delle antiche divinità greche e romane. Il politeismo era una forma transitoria di credenza religiosa che il mondo aveva ormai superato: il grande Pan era morto. Le limitazioni che Giuliano aveva imposto ai cristiani furono rimosse dal suo successore Gioviano (363-364) e il culto cristiano fu poi ristabilito.
Giuliano scrittore
Le opere di Giuliano consistono per lo più in lettere, di cui più di ottanta si sono conservate sotto il suo nome, anche se l’autenticità di alcune è stata contestata. Per quanto riguarda le sue opinioni sulla tolleranza religiosa e il suo atteggiamento nei confronti di cristiani ed ebrei, le più importanti sono la 25-27, la 51, la 52, e il frammento in Hertlein, I. 371.
La lettera di Gallo a Giuliano, che lo mette in guardia dal ritornare al paganesimo, è probabilmente un falso cristiano. Sei nuove lettere furono scoperte nel 1884 da A. Papadopulos Kerameus in un monastero dell’isola di Calcide, vicino a Costantinopoli (cfr. Rheinisches Museum, XIII., 1887). La lettera a Temistio contiene un trattato sui doveri de sovrani. Il resoconto che egli scrisse delle sue campagne gallico-germaniche è andato purtroppo perduto.
Altre opere pervenuteci sono le Orazioni, in numero di otto: due panegirici a Costanzo, uno sull’imperatrice Eusebia, due declamazioni teosofiche sul re Elio e sulla Madre degli dei, due saggi sul vero e falso cinismo e un discorso consolatorio a se stesso per la partenza dell’amico Salustio verso l’Oriente.
I Cesari o Simposio, un componimento satirico alla maniera dell’Apocolocyntosis di Seneca, in cui i Cesari divinizzati appaiono in successione a un banchetto dato nell’Olimpo, per essere rimproverati dei loro vizi e dei loro crimini dal vecchio Sileno.
Il Misopogon (L’odiatore di barbe), scritto ad Antiochia: una satira sulla licenziosità dei suoi abitanti che lo deridevano per il suo modo di vestire semplice o sciatto e per la barba scarmigliata da filosofo; allo stesso tempo egli tratta con autoironia anche la sua stessa persona e il suo stile di vita. Lo scritto contiene anche un’affascinante descrizione di Lutezia (Parigi). Deve il suo nome alla derisione della sua barba da parte degli Antiochei, che avevano l’abitudine di radersi. Pare che Giuliano non si fosse limitato solo all’ironia, ma che si sia vendicato degli abitanti di Antiochia imponendo loro dei rapaci governatori,
Cinque epigrammi, due dei quali (Anth. Pal., IX. 365, 368) sono di un certo interesse.
Il Κατὰ Γαλιλαίων (Katà Galilaion, Contra Galilaeos, Contro i Galilei cioé i cristiani) in tre libri: un attacco al cristianesimo scritto durante la campagna persiana, che è andato perduto. Teodosio II ordinò che tutte le copie fossero distrutte e la nostra conoscenza del suo contenuto deriva quasi interamente dal Contra Julianum di Cirillo, vescovo di Alessandria, scritto sessant’anni dopo.
Gore Vidal e Giuliano
Eugene Luther Gore Vidal (nato a West Point, New York, Stati Uniti, il 3 ottobre 1925 e morto a Los Angeles il 31 luglio 2012), meglio conosciuto come Gore Vidal, è stato uno scrittore, saggista, sceneggiatore e giornalista statunitense, candidato al Premio Nobel per la letteratura.
La sua notorietà al grande pubblico e legata per lo più al fatto di aver sceneggiato alcuni film di grande successo, da Ben Hur a Improvvisamente l’estate scorsa, ma egli ci ha comunque lasciato anche un patrimonio di romanzi, saggi e drammi teatrali di gran rilievo.
Dopo aver lasciato il suo lavoro di sceneggiatore ad Hollywood e dopo aver intrapreso una breve parentesi politica, Vidal, decide di trasferirsi in Italia, in un sontuoso appartamento a Roma, situato in Largo di Torre Argentina. Qui si appassiona allo studio dell’antichità classica, frequentando le più importanti biblioteche di Roma per documentarsi e svolgere le sue ricerche. È allora che scopre la figura di Giuliano rimanendone affascinato, tanto da scrivere su di lui un romanzo che sarà pubblicato poi nel 1964. Costruito come un immaginario diario di Giuliano stesso, arricchito dalle note di Prisco e Libanio – due confidenti dell’imperatore che decidono di pubblicare una sua biografia – nel libro Vidal descrive sia gli aspetti più intimi, sia le imprese militari e le scelte politiche e di governo dell’ultimo nipote di Costantino il Grande. L’opera si basa principalmente su due fonti in particolare: Ammiano Marcellino e Libanio, entrambi vicini a Giuliano e che compaiono anche come personaggi nel romanzo.
(Libera traduzione e adattamento da Encyclopædia Britannica Eleventh Edition, 1911; Nuova Enciclopedia popolare, 1848; High school Ancient History, Greece and Rome , di Philip Van Ness Myers, 1901; Manuale di Storia Romana di G. Bragagliolo, 1896, con aggiunte e integrazioni da Wikipedia )
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