GIASONE E GLI ARGONAUTI - IV
Reading Time: 23 minutesGiasone ara il campo di Ares
Accompagnato dai suoi due amici, Telamone ed Augia e anche da Argo, figlio di Calciope, Giasone tornò alla nave con lo scopo di consultarsi con i suoi per decidere il modo migliore per compiere queste rischiose imprese.
Argo spiegò a Giasone tutte le difficoltà del compito sovrumano che li attendeva, e disse che secondo lui l’unico mezzo attraverso il quale era possibile raggiungere il successo, era servirsi dell’aiuto della principessa Medea, che era una sacerdotessa di Ecate e una grande incantatrice.
Approvato il suo suggerimento, Giasone tornò a palazzo e con l’aiuto di sua madre venne organizzato un colloquio tra Giasone e Medea, che ebbe luogo al mattino successivo, nel tempio di Ecate. I due giovani si abbandonano alla passione accesasi nei loro cuori l’uno per l’altra. Medea, timorosa per l’incolumità del suo innamorato, gli fornì un unguento magico che possedeva la proprietà di rendere invulnerabile per un intero giorno al fuoco e all’acciaio chiunque fosse stato unto con esso, contro qualsiasi avversario, per quanto forte potesse essere.
Con questo unguento gli ordinò di cospargere la sua lancia e lo scudo nel giorno della sua grande impresa. Aggiunse inoltre che dopo aver arato il campo e seminato i denti, si sarebbero levati dai solchi degli uomini armati, ma non si doveva per nulla scoraggiare per questo, ma che invece doveva ricordarsi di gettare contro di loro un grosso masso, per il possesso del quale essi si sarebbero battuti tra di loro. Trovandosi dunque questi così distratti, l’eroe avrebbe potuto facilmente vincerli.
Giasone la ringraziò per i suo saggi consigli e il suo aiuto tempestivo. Le chiese anche di diventare sua sposa e le promise che non sarebbe tornato in Grecia senza averla presa con sé in moglie. La mattina dopo Eete, con tutto il fasto del suo rango, circondato dalla sua famiglia e dai membri della sua corte, raggiunse un luogo da cui si poteva avere una visione completa dello spettacolo che si stava per presentare.
Presto Giasone apparve nel campo di Ares, con un aspetto nobile e maestoso come fosse lo stesso dio della guerra. Vide da lontano i gioghi e l’enorme aratro, ma i terribili animali ancora non si vedevano da nessuna parte. Stava per andarli a cercare, quando improvvisamente si precipitarono fuori da una grotta sotterranea, sputando fiamme di fuoco e avvolti da un denso fumo.
Gli amici di Giasone tremarono; ma l’eroe imperterrito, facendo affidamento sui poteri magici che gli erano stati dati da Medea, afferrò uno dopo l’altro i buoi per le corna e li costrinse al giogo. Vicino all’aratro c’era un elmo pieno dei denti di drago, che egli seminò mentre arava il campo e allo stesso tempo, con punte acuminate della lancia, costringeva i mostruosi buoi a trascinare l’aratro sul terreno sassoso, che così venne rapidamente dissodato.
Mentre Giasone era impegnato a seminare i denti del drago nei solchi profondi del campo, stava anche attento che la i guerrieri che spuntavano dalla terra non crescessero troppo rapidamente per poterli poi affrontare, e non appena ebbe ricoperto quattro acri di terra, tolse il giogo dai buoi e riuscì a spaventarli con le sue armi così tanto che essi si precipitarono terrorizzati nelle loro stalle sotterranee.
Frattanto, come predetto, gli uomini armati erano spuntati dai solchi e tutto il campo ora era irto di lance. Ma Giasone, ricordando le istruzioni di Medea, afferrò una roccia immensa e la scagliò in mezzo a questi guerrieri nati dalla terra, che subito iniziarono ad attaccarsi a vicenda. Giasone allora si precipitò furiosamente su di loro e dopo una terribile lotta nessuno di questi giganti rimase in vita.
Furioso nel vedere i suoi piani andati all’aria, Eete non solo rifiutò perfidamente di dare a Giasone il vello che egli aveva così coraggiosamente guadagnato, ma, nella sua rabbia, decise di uccidere tutti gli Argonauti e di bruciare la loro nave.
Giasone si appropria del vello d’oro
Medea, consapevole degli infidi disegni di suo padre, prese subito delle misure per contrastarli. Nell’oscurità della notte salì a bordo dell’Argo e avvertì gli eroi del loro pericolo imminente. Quindi consigliò a Giasone di accompagnarla senza perdere tempo nel bosco sacro, per impossessarsi del tesoro a lungo agognato. Partirono insieme e Medea, seguita da Giasone, fece strada e avanzò coraggiosamente nel bosco. Fu presto scoperta l’alta quercia, dai cui rami più alti pendeva il bel vello d’oro. Ai piedi di questo albero, vigilando sempre guardingo, giaceva il terribile drago insonne, che alla loro vista balzò in avanti spalancando le sue enormi fauci.
Medea allora richiamò in gioco i suoi poteri magici e avvicinandosi silenziosamente al mostro, gli gettò addosso alcune gocce di una pozione che presto fecero effetto e lo gettò in un sonno profondo; dopodiché Giasone, cogliendo l’occasione, si arrampicò sull’albero e si assicurò il vello. Compiuto il loro pericoloso compito, Giasone e Medea lasciarono il boschetto e si affrettarono a bordo dell’Argo, che prese subito il mare.
Assassinio di Apsirto
Nel frattempo Eete, avendo scoperto la fuga di sua figlia e il furto del vello d’oro, inviò una grande flotta, sotto il comando di suo figlio Apsirto, all’inseguimento dei fuggitivi. Dopo alcuni giorni di navigazione giunsero in un’isola alla foce del fiume Istros (il Danubio), dove trovarono la nave Argo ancorata e la circondarono con la loro numerosa flotta. Venne quindi inviato un araldo a bordo chiedendo la restituzione di Medea e del Vello. Medea consultò allora Giasone e con il suo consenso, eseguì il seguente stratagemma. Mandò un messaggio a suo fratello Apsirto dicendo che lei era stata portata via contro la sua volontà e promise che se l’avesse incontrata nell’oscurità della notte, nel tempio di Artemide, lo avrebbe aiutato a riprenderne il possesso del vello d’oro. Contando sulla buona fede di sua sorella, Apsirto cadde nel tranello e si presentò al luogo di appuntamento stabilito.
Mentre Medea teneva il fratello impegnato nella conversazione, Giasone si lanciò all’improvviso contro di lui e lo uccise. Poi, secondo un segnale prestabilito, tenne in alto una torcia accesa, dopodiché gli Argonauti attaccarono i Colchi di sorpresa, li misero in fuga e li sconfissero.
Gli Argonauti tornarono ora alla loro nave e Medea, che aveva ridotto il cadavere del fratello in pezzi, li gettò ad uno ad uno in mare. Il padre trovandosi così costretto a raccogliere le membra del figlio, non riuscì a raggiungere la spedizione di Giasone.
Ma il legno profetico della quercia di Dodona della nave Argo si rivolse così all’equipaggio: “Al crudele assassinio di Apsirto hanno assistito le Erinni e non sfuggirai all’ira di Zeus finché la dea Circe non ti avrà purificato dal tuo delitto. Che Castore e Polluce preghino gli dèi affinché tu possa trovare la dimora della maga”.
In obbedienza alla voce, i fratelli gemelli invocarono l’assistenza divina e gli eroi si misero alla ricerca dell’isola di Circe.
Arrivo all’isola di Circe
La nave Argo salpò di nuovo e dopo aver attraversato in sicurezza le acque spumeggianti del fiume Eridano, giunse finalmente al porto dell’isola di Circe, dove gettò l’ancora. Ordinando ai suoi compagni di rimanere a bordo, Giasone sbarcò con Medea e la condusse al palazzo della maga.
La dea degli incantesimi e delle arti magiche li accolse gentilmente ed essi la supplicarono e implorarono umilmente la sua protezione. Quindi la informarono del terribile crimine che avevano commesso e le chiesero di purificarli da esso, cosa che Circe promise di fare.
Immediatamente la maga ordinò alle sue assistenti Naiadi di accendere il fuoco sull’altare e di preparare tutto il necessario per lo svolgimento dei riti sacri, dopo di che furono sacrificati degli animali sacri. Avendo così debitamente purificato i criminali, li rimproverò severamente per l’orribile omicidio di cui erano stati colpevoli. Medea, col capo velato, piangendo amaramente, fu ricondotta da Giasone alla nave Argo.
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