www.greciaroma.com

GUERRA COI SABINI E I LATINI. LOTTE SOCIALI

< – Nelle puntate precedenti: Una volta cacciati i re da Roma, si decide di affidare il governo della repubblica a due magistrati annui, detti consoli. Si costituisce dunque il governo consolare o repubblicano, che si consolida con forza durante il regime del patriziato, che tenne il potere fino all’anno 366 a.C. Si decreta il bando alla stirpe dei Tarquini; Il terreno che era stato in possesso del re venne consacrato a Marte e detto Campo Marzio. Ma il re esule, fatta alleanza con TarquiniaVeio, invade il territorio romano, Roma però li vince in battaglia. È allora che Porsenna, re etrusco di Chiusi, spinto da Tarquinio prende le armi contro Roma

Guerra coi Sabini e i Latini (a. 498)

Libera dagli Etruschi, Roma si vide assalita dai Sabini, che, colta quell’occasione, invasero il territorio: si accese una guerra durata quattro anni e terminata con la vittoria dei romani.

Gens Claudia

In questo periodo, un nobile sabino, Atto Clauso, per ragioni di dissenso politico, lasciò la sua terra e con a seguito un folto numero di clienti, passò a Roma, dove fu accolto nel patriziato. Ebbe così origine la gens Claudia, che diede molti valorosi cittadini e alla quale infine toccò il trono imperiale con Tiberio Claudio.

Tarquinio ancora non si era rassegnato, e incitò i Latini ad andare contro Roma. La repubblica si vide in grave pericolo; la cittadinanza per assicurare una forte condotta di governo affidò temporaneamente il potere in mano ad un solo magistrato, il dittatore. Già da tempo durava accesa la guerra, quando…

Battaglia del Lago Regillo
Battaglia del Lago Regillo

Battaglia al lago Regillo. (a. 496 a. C.)

Aulo Postumio, il dittatore eletto appunto, guidò gli eserciti contro Ottavio Mamilio, tusculano, comandante dei Latini. Presso il lago Regillo si combatté un’eroica battaglia, dove si videro avanzare fra le  schiere romane, due giovani di bellezza divina, su bianchi cavalli; la sera dello stesso giorno quegli stessi giovani furono visti abbeverare i cavalli a Roma, portando la notizia della vittoria.

Si disse fossero i Dioscuri, Castore e Polluce, intervenuti a difesa dei Romani. Con la battaglia del lago Regillo ogni speranza di Tarquinio fu infranta: egli si ridusse a finire i suoi giorni presso Aristodemo, tiranno della  colonia greca di Cuma in Campania.

La dittatura

La dittatura istituita in occasione della guerra latina era un temporaneo ripristino della potestà regale. Il dittatore era eletto in seno agli uomini consolari, con nomina fatta da un console, previo accordo col senato, senza suffragio popolare.

In lui si raccoglievano tutti i poteri, cessando innanzi a lui il diritto di appello al popolo e l’intercessione tribunizia e non essendovi sopra lui alcun’altra autorità. Gli altri magistrati restavano a lui subordinati, ed egli aveva con sé 24 littori.

Al dittatore si aggiungeva il Magister equitum (maestro della cavalleria), quale suo aiutante. Una tale podestà veramente autocratica, non durava però più di sei mesi: ed ebbe origine per provvedere con autorità energica e pronta a gravi frangenti dello stato, sia per minaccia di nemici esterni, sia per pericolo di fazioni interne.

Ma essa era, come si vede, una magistratura straordinaria; fu di istituzione frequente nei primi secoli di Roma, quando assai spesso la repubblica fu esposta al pericolo. Poi, cessate le cause della sua istituzione, andò in disuso. Silla prima e Cesare poi si valsero della dittatura per velare d’un nome repubblicano la loro dominazione; ma la loro dittatura non ha nulla in comune con quella più antica fuorché nel nome, e fu un mezzo attraverso il quale si maturò la trasmutazione della repubblica nell’impero.

La plebe e il patriziato. Secessione della plebe (495 e 494 a.C.)

La riforma di Servio aveva ammesso la plebe nella cittadinanza; la rivoluzione contro i Tarquini aveva dato il governo al patriziato. La plebe ammessa nelle centurie sia per la formazione della legione, sia per il voto nelle elezioni e nelle leggi, era esclusa dal partecipare alle cariche dello stato, non aveva diritto dell’eleggibilità né a funzioni politiche e militari, né a funzioni religiose.

Secessione della plebe

Vi era dunque fra patrizi e plebei una divisione per diversità di condizione politica, resa più profonda anche dalle differenze sociali. I patrizi avevano sulle prime favorito i plebei, ma, cessato il timore del ritorno della stirpe reale, presero ad opprimerli. 

Le continue guerre chiamavano ogni anno i cittadini sotto le armi, distoglievano il contadino dalla coltivazione del suo campo e dalle cure del raccolto; l’esercito invasore correva e devastava le campagne, e così la popolazione campagnola, lavoratrice di piccoli poderi, s’impoveriva.

Di tale flagello pativano meno i ricchi patrizi, i quali avevano maggiori estensioni di terre che facevano lavorare dai loro schiavi, e per di più a guerra finita prendevano parte a vantaggiose occupazioni o possessioni dei terreni, i quali, tolti ai popoli vinti, diventavano comunali, dal cui godimento erano esclusi i plebei.

Ne veniva per conseguenza che questi, versando in misero stato, erano costretti a contrarre debiti con ricchi patrizi, dei quali presto si trovarono completamente in balìa, a causa delle leggi o meglio delle durissime consuetudini verso i debitori, per cui quelli che non erano solvibili diventavano schiavi del loro creditore, perdevano i diritti civili, dovevano riscattarsi dal debito col lavoro e potevano essere messi in prigione. La plebe gemeva, oppressa, non solo per la sua inferiorità politica, ma ancora di più per la propria miseria: del suo combattere per la patria, delle vittorie riportate, tutti i vantaggi erano per i patrizi. Alla plebe restavano solo fatiche e povertà.

Un giorno si presentò nel Foro un cittadino attempato, mal vestito, pallido, emaciato, con molti lividi sul corpo dovuti alle percosse. Egli era noto come uomo di valore e molte cicatrici di guerra ne facevano bella testimonianza.

Narrò di essersi ridotto a un tale stato di misero squallore, perché, militando nella guerra sabina, non solo aveva perduto il raccolto, ma gli era stata anche bruciata la casa, depredato il podere, sottratte le mandrie. Gravato dal tributo per aver contratto un debito, ed essendosi accumulati interessi esorbitanti a tasso di usura sul debito stesso, era stato tratto in servitù dal creditore, subendo il carcere e le percosse.

Tale vista, tale racconto infiammarono la plebe…

Secessione sul Monte Sacro. (a.493 a. C.)

Subito si infiammò una ribellione popolare contro i magistrati patrizi, col rifiuto di iscriversi nelle legioni per un’imminente guerra contro i Volsci. Ma i consoli fecero promesse allettanti, e la plebe rabbonita andò in guerra e conquistò Suessa Pometia. Dopo la vittoria le belle promesse furono messe in un angolo e il popolo di nuovo ingannato.

Menenio Agrippa
Menenio Agrippa

Delusi e sdegnati, i plebei, trovandosi ancora sotto le armi, si trasferirono, guidati da Sicinio Belluto, oltre l’Aniene e misero campo sopra un’altura nel territorio di Crustrumerio, risoluti di non ritornare più a Roma.

I patrizi dovettero venire a trattative. Inviarono una delegazione a parlamentare con la plebe sollevata, il cui capo era Menenio Agrippa; questi non con lunghi discorsi, ma con la persuasiva efficacia dell’apologo delle membra e dello stomaco, calmò i ribelli.

La plebe acconsentì a tornare, a patto però che si concedesse l’amnistia a quelli che si erano rifiutati al servizio militare, il condono dei debiti ai poveri, e infine si istituissero rappresentanti che avessero l’autorità di difendere il cittadino plebeo contro il magistrato patrizio, e che a questi deputati si conferissero garanzie col carattere di sacra inviolabilità. Le condizioni furono ammesse, solennemente giurate e sancite con legge riconosciuta appunto come sacra: il luogo in cui fu deciso l’accordo su questa legge si disse da allora Monte Sacro.

Tribuno della Plebe
Tribuno della Plebe

Il tribunato della plebe (a. 493)

La nuova magistratura si denominò tribunato della plebe e segnò un momento nuovo nella storia di Roma: fu un’istituzione che, nata da dei principi piuttosto semplici, portò a grandissime e impreviste conseguenze; alcune positive, altre dannose, giacché a partire da questa istituzione si venne a costituire al tempo stesso, sia il presupposto irrinunciabile della libertà, che la premessa ai successivi squilibri demagogici  che mineranno le fondamenta della Repubblica.

L’ufficio originario dei tribuni della plebe era di proteggere i plebei dagli abusi di potere dei magistrati patrizi. Per garantire l’esercizio di questo diritto di difesa e rappresentanza, i tribuni furono resi indipendenti dall’autorità consolare e rivestiti d’una sacra inviolabilità per cui era punibile, come empio sacrilego, colui che offendesse o molestasse un tribuno nelle sue funzioni.

Questa prerogativa dell’inviolabilità divenne la forza del tribunato, che, sebbene non fosse una vera magistratura ma semplicemente un potere coercitivo o d’opposizione, si fece mezzo d’organizzazione e leva delle forze della democrazia.

Dal primitivo ufficio di difensori del cittadino plebeo, i tribuni divennero rappresentanti e patrocinatori di tutto il ceto popolare; quello che era un semplice diritto di difesa, si mutò in diritto d’intercessione o di veto contro le deliberazioni dei magistrati e del senato.

Oltre quel primo diritto, i tribuni, già dalle origini, ebbero anche quello di far imprigionare chiunque si opponesse loro e quello di trattare con la plebe convocata a riunione.

I primi tribuni eletti furono in numero di cinque, più tardi furono portati a dieci. Eleggibili dal tribunato furono sempre soltanto i plebei. La prima elezione si suppone fatta dalle centurie (ma è cosa assai controversa); poco più tardi si trasferì quest’attribuzione e si mantenne sempre nell’assemblea delle tribù.

I Comizi Tributi

Questa nuova forma d’assemblea è pur essa, in gran parte, una conseguenza dell’istituzione del tribunato. La plebe aveva sue riunioni, dalle quali sembra fossero esclusi i patrizi coi loro clienti.

Discussione nella Curia
Discussione nella Curia

In queste riunioni la plebe si consultava per trattare gli interessi del quartiere o della tribù, e poi gli interessi generali della plebe stessa, senza però che le deliberazioni prese avessero valore di legge.

Ma col passare del tempo, queste riunioni acquisirono maggiori attribuzioni: da semplici riunioni della plebe si costituirono come riunioni di tutto il popolo, quali vere e proprie assemblee politiche con poteri elettorale e legislativo.

Questa trasformazione iniziò quando alle riunioni della plebe fu affidata, per proposta di Publilio Volerone nell’anno 271, l’elezione dei tribuni. Un’ulteriore svolta si ebbe nel 449, quando per legge data dai consoli Valerio ed Orazio, le decisioni delle riunioni plebee presero vero valore e obbligatorietà di legge. Allora furono costituite le assemblee o comizii. Le tre assemblee delle tribù.

Le tre assemblee popolari

Coesistevano quindi tre forme di assemblea del popolo romano, cioè:

1 – L’antica assemblea delle Curie popolari.

Ossia delle genti patrizie, che già dai primi tempi della repubblica aveva perduto valore politico.

2 – L’assemblea delle centurie.

Che fu la massima assemblea del popolo romano, in essa – ordinata senza distinzione fra patriziato o plebe, ma secondo il censo – vi predominava interamente coi voti la cittadinanza più ricca: questa assemblea decideva l’elezione dei consoli, come anche di altri magistrati ulteriormente costituiti, e votava le leggi presentate dai consoli o da qualche altro magistrato competente.

3 – L’assemblea delle tribù.

Nelle quali il popolo era raccolto senza distinzione alcuna né di nascita né di censo, e tutti i cittadini, in seno alla propria tribù, vi avevano un medesimo valore. Era questa la vera assemblea democratica romana, che ottenne il diritto di elezione dei tribuni, e poi s’arrogò anche il diritto di votar leggi proposte dai tribuni o da altri magistrati.

Insieme all’assemblea delle centurie si ebbe dunque cosi un’altra fonte di legislazione, ma di carattere veramente democratico, sia per la condizione dei proponenti la legge, sia per la composizione dell’assemblea votante.

Le leggi proposte e votate nell’assemblea delle centurie come in quella delle tribù, prendevano nome dal magistrato o dai magistrati proponenti, (p. e. legge Valeria, leggi Valerie-Orazie, legge Publilia, ecc.) ed erano consolari, dittatorie, tribunizie (e poi anche decemvirali, pretorie), a seconda della carica di chi fosse autore della legge.

Le proposte votate dall’assemblea delle centurie si chiamano leggi; quelle votate dall’assemblea delle tribù si chiamano anch’esse leggi, ma anche plebisciti.

Le leggi votate dal popolo nei primi tempi della repubblica venivano sottoposte all’approvazione del senato, poi questa si mutò in una ricognizione preventiva, premessa alla votazione. Infine anche detta subordinazione fu rimossa, in modo che l’attività legislativa, così come delle centurie o delle tribù era (o poteva essere) del tutto indipendente.

Le leggi scolpite in tavole di bronzo erano esposte in pubblico. I documenti autentici si deponevano nell’erario o nel Tabulario (Archivio di stato) sotto la custodia dei questori.

Edili Plebei

All'edile venivano assegnati due littori quando era in carica. Uno in più di un questore.
All’edile venivano assegnati due littori quando era in carica. Uno in più di un questore.

Insieme col tribunato fu istituita anche la nuova carica degli edili della plebe, i quali erano coadiutori dei tribuni, regolavano certe feste religiose e avevano sorveglianza, quasi ufficio di polizia urbana, sugli edifici, sulle vie e  sui mercati.

Per l’esercizio delle loro attribuzioni i magistrati, i consoli, i tribuni, gli edili ed altri costituiti in seguito, avevano molti subalterni, come loro ufficiali e ministri, detti genericamente apparitori (apparitores), cioè littori, scrivani, araldi; e sotto questi vi erano per i comuni servizi molti schiavi pubblici.

Le magistrature romane erano un servizio da prestarsi in maniera del tutto gratuita, considerate come degli onori; gli uffici subalterni delle varie classi degli apparitori erano invece stipendiati.

(Adattamento da Iginio Gentile. “Storia romana”, 1885)

 Nel prossimo episodio – > :  

Caio Marcio Coriolano è l’eroe romano vincitore dei Volsci e appartenente alla famiglia dei Marcii, il cui antenato era Anco Marcio, quarto re di Roma. Durante la prima secessione della plebe, sostenne coloro che si opponevano ad essa. Conquistò con alcuni alleati, Corioli, che si trovava a sud-est di Roma.

Finché, approfittando delle difficoltà di fornire grano a Roma, tentò di vendicarsi del popolo e propose di sopprimere la magistratura dei tribuni della plebe. Esiliato, passa dalla parte dei Volsci e li persuade a rompere il trattato con Roma e invaderla. Quando le truppe dallo stesso Coriolano assediano la città, le matrone romane, tra cui sua moglie Volumnia e sua madre Veturia, vengono inviate da lui per dissuaderlo dall’attaccare…

POST CORRELATI