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Reading Time: 34 minutesL’ultimo anno di guerra
Verso la fine del nono anno i soldati dell’esercito, stanchi di combattere e privi di provviste, si ammutinarono e solo l’intervento di Achille riuscì a far rientrare la vertenza. Agamennone rapì in quel periodo le quattro figlie di Anio, sacerdote di Delo, le cosiddette Vignaiole, capaci di far scaturire dal suolo l’olio, il grano e il vino con i quali poté rifornire l’esercito.
Tolti di mezzo i primi ostacoli e cominciata di fatto la guerra, Troia sarebbe potuta cadere molto tempo prima, se non ci fossero stati i vari imprevisti e i contrattempi, ma anche se gli interessi particolari e le divisioni non si fossero diffuse nell’armata: è da qui appunto che ha inizio la trama del divino poema, l’Iliade, del grande Omero, che ci narra cinquanta giorni del conflitto: dalla disputa tra Achille e Agamennone, alla morte di Ettore.
Si litiga con gli dei e con gli eroi e sempre per via delle donne
Diviso il bottino, ottenuto con la presa di Tebe, ad Agamennone spettò Criseide, figlia di Crise gran sacerdote di Apollo. Questi si precipitò al campo dei Greci, carico di doni per riscattare sua figlia, ma Agamennone che se n’era invaghito, volle risolutamente tenerla presso di sé.
Apollo, sdegnato dell’offesa al suo sacerdote, gettò l’armata nel pieno di una terribile pestilenza. Interrogato l’indovino Calcante sulle ragioni dell’ira del Dio, la risposta fu che il flagello non sarebbe cessato finché non si fosse restituita Criseide al padre.
A questa legittima richiesta Agamennone ostinatamente si rifiutò, cosa che provocò molti dissapori fai capi dell’esercito. Tra questi Achille, il più risentito di tutti, giunse ad inveire minacce contro Agamennone, che alla fine, vinto dalle pressioni di tutti, fu costretto a cedere la prigioniera.
Il generale greco però, per vendicarsi, spedì due araldi alla tenda di Achille per rapire Briseide, schiava del figlio di Peleo, e da costui amata alla follia; ed ecco che andato subito su tutte le furie Achille giurò di non combattere più per la Grecia, se prima non si fossero vendicati i suoi torti.
Teti, fin dal fondo del mare udì le grida del figlio, ed subito volò sull‘Olimpo per indurre Zeus a punire i Greci, accordando la vittoria ai Troiani. Mosso Zeus dalle sue preghiere, inviò ad Agamennone un sogno ingannatore, dal quale egli colse il felice presagio di un assalto vittorioso alla città nemica. Subito si sveglia, balza dal letto, raduna i capi dell’esercito ed espone loro quanto aveva sognato. Ecco che fumano gli altari per implorare il favore degli Dei e le due parti schierate in battaglia vengono alle mani.
La figuraccia di Paride
Nel forte della mischia Paride, causa di questa guerra, uscito dalle file, propose un combattimento corpo a corpo con Menelao, per porre fine così al conflitto. La disfida fu accettata a condizione che il vincitore sarebbe stato riconosciuto come il legittimo possessore di Elena; ma al primo balenare delle armi, Paride che era d’animo vile, cominciò a tremare come una foglia, e prevedendo di dover avere la peggio, si raccomandò alle sue gambe per la fuga.
Il poeta per mitigare questa vergognosa ritirata, l’abbellisce scrivendo che Afrodite avvolse in una nuvola il guerriero da lei protetto e lo ricondusse in città.
I suoi fratelli, i parenti, i Troiani tutti, e la stessa sua sposa lo derisero per questa vigliaccheria. i Greci, dal canto loro, pretesero giustamente l’adempimento del trattato, ma gli Dei che nel frattempo si erano radunati per decidere sulla sorte di Troia, vollero che l’assedio andasse avanti a oltranza. Atena però, non riuscendo a perdonarle i Troiani, da lei odiati per via del giudizio di Paride, discese irritata dalle divine sfere e diresse ella stessa la mano d’un guerriero di Priamo affinché ferisse con una freccia il Re dell’Argolide. Il colpo ferì leggermente Agamennone, il quale per via di tale oltraggio, giurò di nuovo vendetta, schierò il suo esercito e riaccese il combattimento con maggior furore di prima.
Ettore, il vero eroe
L’invincibile Diomede, figlio di Tideo, si distinse per diversi di valore in questa battaglia. Lo Spavento e la Morte camminavano innanzi a suoi passi, sicché il suo braccio si rese formidabile per gli Dei medesimi. Ferì Afrodite, che voleva togliergli davanti Enea, minacciato pericolosamente dalla sua spada, e giunse perfino a colpire il gran Ares, Dio della guerra.
Finalmente Ettore, il solo dei Troiani che avesse il coraggio di fronteggiarlo, prima di venire allo scontro con lui, su consiglio di Eleno suo fratello, tornò in città, ove indusse sua madre e le matrone troiane a recarsi al tempio di Pallade, per implorare la Dea affinché allontanasse Diomede dalla mischia.
Sul punto di tornare al campo, Andromaca, sua sposa, volendo sottrarlo al pericolo che correva, gli presentò il piccolo figlio Astianatte: ma l’Eroe, dopo aver abbracciato il bambino e la spose, si precipitò di nuovo al combattimento, portando lo scompiglio nelle file dei Greci.
Le beghe degli dei
Atena avversa ed Apollo favorevole ai Troiani, scontratisi sulla terra, decisero di comune accordo che si combattesse un corpo a corpo tra Ettore e il più forte dei Greci. Ettore stesso propose il duello, ma la sfida sgomentava i nemici, dei quali il solo Menelao l’avrebbe accettata, se Agamennone l’avesse permesso.
Finalmente nove guerrieri animati dal saggio e vecchio Nestore si fecero innanzi e gettarono i loro nomi in un elmo: la sorte cadde su Aiace figlio di Telamone. Questi allora corse alla combattimento, che si rivelò terribile e dall’esito incerto; finché i due guerrieri, ormai spossati, accettarono una tregua per aver campo libero per rendere gli onori della sepoltura ai cadaveri degli estinti.
Frattanto tutti gli Dei, che avevano preso maggior interesse per questa guerra, furono convocati nell’Olimpo. Zeus ordinò che nessuno in seguito prendesse partito per l’una o per l’altra parte. Quindi egli montò sul suo carro e si recò sul monte Ida per essere spettatore del conflitto.
Agamennone disperava di poter prevalere sui Troiani, e già pensava di levare l’assedio: quando i Greci, avutone sentore, si sollevarono con forza, protestando contro quell’atto di viltà. Ciascuno di loro diceva essere meglio persuadere Achille a tornare a combattere, facendogli presente, quanto fosse indecoroso desistere dalla battaglia e quanto necessario era il suo braccio alla vittoria. Fu dato pertanto tale incarico ad Odisseo e ad Aiace, che subito partirono. Odisseo chiese ad Achille di impegnarsi a favore della Grecia e gli promise da parte di Agamennone, dieci talenti di oro, venti vasi dello stesso metallo, sette tripodi , altrettante fanciulle di Lesbo e quella che gli era più cara: Briseide. Tante grandiose promesse, accompagnate dall’eloquenza del messaggero, furono inutili: Achille rimaneva inflessibile.
Nel giorno seguente le due armate si schierarono in ordine di battaglia. Zeus, che voleva dare la vittoria ai Troiani, inviò Iride ad Ettore con l’ordine che si ritirasse dal campo e vi ricomparisse allorchè Agamennone, una volta ferito, fosse obbligato a ritirarsi nella sua tenda. Così fu fatto, e la presenza di Ettore animò talmente i Troiani, che essi ruppero gli schieramenti dei Greci, costringendoli a rifugiarsi nei loro vascelli. Agamennone parlò nuovamente di togliere l’assedio, venendone ancora una volta dissuaso da Odisseo.
Mentre Zeus dal monte Ida proteggeva i Troiani, l’implacabile Era all’opposto, cercava di distruggerli con tutti i mezzi. La Dea chiese ad Afrodite la sua cintura, ornata con la quale si presentò al cospetto di Zeus. Il Re dell’Olimpo, non potendo resistere a tale incantesimo d’amore e sensualità, dimenticò i suoi protetti e corse fra le braccia della moglie, tra le quali poi fu preso tranquillamente dal sonno. Dormiva Zeus, ma vegliava Poseidone a danno dei Troiani, che in quel momento riportarono forti perdite. Quando il Re degli Dei si destò e vide tutto il suo disegno sconvolto per mano di Era, dopo averla aspramente redarguta, spedisce Iride da Poseidone con l’ordine di allontanarsi; nello tempo stesso comanda ad Apollo di recarsi alla tenda di Ettore, ferito da Aiace figlio di Telamone, per incoraggiarlo. L’eroe si era già ristabilito, ma Febo gli ispirò un coraggio quasi divino e sotto la sua guida, egli abbatté le trincee dei Greci, i quali per la seconda volta dovettero rifugiarsi sulle loro navi. I Troiani erano al punto di appiccarvi il fuoco, ed Ettore stesso con la fiaccola in mano già s’era accostato ad uno dei vascelli più grandi, quando sopraggiunse arditamente Aiace, per opporsi al figlio di Priamo.
Patroclo, coraggioso e avventato
Patroclo intanto vedendo in tal modo minacciata la flotta, corse subito ad implorare l’aiuto di Achille, il quale, benché il giovane gli rivolgesse le più appassionate preghiere, non riuscì tuttavia ad indurre a prendere le armi in soccorso dei suoi. Ottenne da lui soltanto il permesso di potersi servire delle proprie armi e dei suoi soldati, a condizione però che non si sarebbe occupato di altro che della sola difesa della flotta. Indossate dunque Patroclo le armi di Achille e seguito dai valorosi Tessali, si getta in mezzo ai nemici che credendolo il figlio di Peleo, sono presi dallo spavento, volgendosi in fuga.
La morte di Patroclo
Reso superbo dal terrore e dalla morte che spargeva intorno, arrivando a colpire Sarpedone re della Licia, ignorò l’ordine del suo amico combattendo ulteriormente i Troiani col desiderio di avanzare ancora, quando Apollo venuto in soccorso di quelli , si oppose alla sua furia. Ettore spinto dal Dio a combattere per la terza volta, andò a scontrarsi col furibondo nemico. Si accese un’ostinata lotta fra i due valorosi che si contesero per lungo tempo il campo e la vita: alla fine Patroclo fu ucciso e nel morire predisse al vincitore che sarebbe caduto per mano di Achille. Ettore si burlò del presagio e lo spogliò delle sue armi.
L’ira di Achille
Come giunse ad Achille la notizia della morte dell’amico, il suo dolore non ebbe limiti e volle subito vendicarlo. Si tormentava inconsolabilmente però di essere ormai privo dell’armatura, quando Teti seduta a fianco del vecchio Nereo, intese il pianto di suo figlio e si affrettò ad asciugarne le lagrime, promettendogli una nuova armatura per il giorno seguente.
Le nuove armi fabbricate da Efesto
Infatti recatasi la Ninfa dal Dio Efesto (Vulcano), fabbro ferraio di tutti gli Dei, lo implorò, che durante la notte le fabbricasse tutto l’occorrente. Così Achille armato come prima, ricomparve al mattino fra i capi dell’esercito, davanti ai quali dichiarò di dimenticare ogni ingiuria precedentemente ricevuta. Dal canto suo Agamennone per non lasciarsi vincere in generosità, rimandò alla tenda di Achille l’involata Briseide, carica di quei doni che aveva inutilmente offerto prima.
Impaziente il Pelide di spegnere il suo dolore nel sangue dei Troiani, diede ai Greci appena tempo di prendere il necessario riposo. Fu deciso che di buon mattino si sarebbe data di nuovo battaglia. Arrivato il momento di riprendere le armi, si combatté molte ore con indicibile furore, schierati in battaglia, dall’una o dall’altra parte, persino gli stessi Dei contro i soldati.
Achille frattanto, benché sacrificasse in nome dell’ombra dell’amico ucciso chiunque gli si parasse dinanzi, pure non si sarebbe dato mai pace finché non fosse giunto a versare il sangue di Ettore.
Achille ed Ettore: Mezzogiorno di fuoco
Alla fine i due guerrieri si scontrarono e si combatterono valorosamente. Achille, per superiorità o per fortuna, alla fine ne uscì vincitore e il triste ricordo del suo amico perduto lo rese inesorabile fino alla ferocia. Negò all’avversario moribondo pure la consolazione di sapere se le sue spoglie mortali sarebbero state restituite al suo anziano padre.
Il Pelide legò quindi il cadavere del vinto per piedi al suo carro, trascinandolo intorno alle mura della città, funesto spettacolo agli occhi di un vecchio genitore, di una madre, d’una sposa. Priamo, Ecuba, Andromaca dalle torri d’Ilio ebbero il cordoglio di veder quello scempio dell’infelice Ettore , intriso di sangue e immerso nella polvere. Le lacrime di dolore e le grida arrivarono al Cielo : l’aria risuonava dei lamenti delle donne, l’intera città era in lutto inconsolabile.
Funerali di Patroclo
Dopo tale vittoria, la prima preoccupazione di Achille fu di celebrare i funerali all’amico Patroclo, per il quale levò un immenso rogo sulla riva del mare, allestendo con grande cura tutte le consuete cerimonie. In primo luogo la bella chioma del defunto fu recisa e data alle fiamme. Poi insieme al cadavere arsero quattro dei suoi più belli destrieri, numerosi cani e furono sacrificati anche dodici prigionieri troiani tra i più valorosi , appartenenti a famiglie della prima nobiltà. Dopo che il fuoco ebbe consumato tutto, furono raccolte le ceneri e rinchiuse dentro un’urna d’oro per portarle nella tenda di Achille. A celebrare con ancora maggior magnificenza la memoria dell’estinto, si organizzarono dei giochi e finti combattimenti, mettendo in palio premi preziosissimi per incitare la competizione fra i combattenti.
Achille cede alle preghiere di Priamo
Tutto questo però non bastò ancora a soddisfare la collera dell’Eroe greco. Per lo spazio di nove giorni trascinò tre volte intorno alla città il cadavere del nemico, che Apollo coprì col suo scudo, perché non si lacerasse in quello strazio. Alla fine dopo ripetute preghiere del vecchio Priamo, che venne in persona a domandarne le spoglia mortali, e che per ottenerle offrì ricchissimi dopi, rifiutati dal vincitore, si decise a cedergli quel trofeo del suo valore e della sua profonda ferocia.
Morte di Achille
Pentesilea, regina delle Amazzoni, figlia di Ortrera e di Ares, sbarcò a Troia col suo esercito di donne guerriere in aiuto a Priamo. Il suo intervento provocò la morte di molti Greci, come Macaone. Secondo alcune versioni del ciclo, Pentesilea riuscì anche nell’impresa di uccidere Achille, ma poiché questi era un supereroe, fu resuscitato dalla madre Teti. Pentesilea si scontrò quindi (o di nuovo) con Achille, che nel frattempo si era innamorato di lei, ma la uccise comunque.
Tersite era un soldato pavido e codardo, brutto d’aspetto, gobbo, zoppo, con le gambe arcuate, ma abile oratore e incallito giocatore di dadi. Parlava troppo e a vanvera, per cui cominciò a prendere per i fondelli Achille per questo suo amore verso Pentesilea. L’eroe Pelide non lo sopportava ormai più (come chiunque altro nell’armata greca) e lo uccise mollandogli un pugno in faccia. .
Intanto anche Memnone, re d’Etiopia e di Persia, arrivò in soccorso a Priamo, con un esercito di etiopi, persiani, assiri e indiani. Indossava anche lui un’armatura forgiata da Efesto. Nelle battaglie successive, Memnone uccise Antiloco e poi affrontò Achille, ma Zeus favorì la vittoria di quest’ultimo.
Achille poi morì per mano del più vigliacco dei figli di Priamo. L’eroe si era unito a Polissena, figlia del Re di Troia, che aveva visto affacciata alle mura, e ne aveva chiesto la mano al padre, con la promessa di rivolgere le armi a difesa del suo regno. Priamo accettò l’offerta, ma durante la celebrazione di queste nozze, Paride scoccò una freccia che Apollo diresse dritta sul tallone di Achille. Era questa la sola parte rimasta vulnerabile nel suo corpo, poiché Teti, sua madre, allorquando lo immerse nelle acque di Stige, per dargli una tempra invulnerabile alle ferite, lo tenne per il tallone e perciò non potè bagnare anche questa parte del corpo nelle onde del fiume.
Subito dopo, mentre esultava dalla vittoria, Paride fu ucciso da una freccia di Filottete, con lo stesso dardo di Eracle intriso nel sangue di Idra.
Achille morì presto in seguito alle conseguenze della ferita. I Greci per potergli apprestare gli onori della sepoltura, furono obbligati a riscattarne il corpo alle stesse condizioni che già erano state da loro imposte a Priamo per ottenere il corpo del figlio Ettore.
Nel corso di diciassette giorni furono celebrate l’esequie dell’eroe, cui parteciparono Teti la madre e le Nereidi. Fu eretta una superba tomba sul le rive dell’Ellesponto presso il promontorio Sigèo , sulla quale dopo la presa di Troia, il figlio del Pelide, Pirro, immolò in memoria del padre, Polissena, innocente vittima.
Secondo un’altra versione, Achille venne ucciso da una coltellata, sempre mentre sposava Polissena, nel tempio di Apollo, il luogo dove qualche anno prima aveva ucciso Troilo. Dopo la morte, come Aiace, sarebbe vissuto nell’isola di Leuco dove avrebbe sposato l’anima di Elena.
Le profezie di Calcante o di Eleno
Al decimo anno di guerra risale l’episodio della profezia da Calcante, o di Eleno, che Troia non sarebbe crollata senza l’arco e le frecce di Eracle, conservate da Filottete nell’isola di Lemno. Odisseo e Diomede dunque recuperarono Filottete, la cui ferita nel frattempo era guarita. Secondo altri, venne guarito dai medici Macaone e Podalirio. Tornato a Troia, Filottete uccise Paride come abbiamo già visto. Calcante rivelò che Eleno era in grado di profetizzare il modo in cui avrebbe dovuta essere conquistata Troia. Odisseo quindi lo catturò e lo costrinse a rivelare agli Achei il segreto: la città sarebbe caduta se si fossero trovate le ossa di Pelope, se fosse andato in guerra anche Neottolemo, figlio di Achille, e se si fosse trafugato il Palladio dal tempio troiano di Atena.
Si litiga di nuovo a causa di Elena
I fratelli di Paride, Eleno e Deifobo, si contesero il matrimonio con Elena, rimasta nel frattempo vedova. Priamo assegnò la donna a Deifobo; Eleno, furioso, abbandonò la città e si stabilì sul monte Ida, ospite di Arisbe, moglie ripudiata di Priamo.
Requisiti minimi per la vittoria
I Greci recuperarono le ossa di Pelope e Odisseo si recò a Sciro, presso il re Licomede, per recuperare Neottolemo. Nello stesso tempo, Euripilo, il figlio di Telefo, venne in sostegno dei Troiani con un esercito di Ittiti o Misiaci. Travestito come un mendicante, Odisseo entrò all’interno di Troia: venne riconosciuto da Elena, che gli offrì il suo aiuto. Così il re d’Itaca e Diomede riuscirono a rubare il Palladio.
La contesa per le armi di Achille
Aiace figlio di Telamone ed Odisseo si contesero le armi del defunto Achille al cospetto di tutta l’armata, dove si decise che venissero affidate al secondo. Aiace ne fu talmente addolorato che perse completamente il senno in preda all’ira, giungendo ad inveire contro una moltitudine di porci e a scannarli credendo di massacrare con essi Agamennone e tutti i Greci. Ritornato in sé, gli rimase tanta vergogna per questo episodio, che si diede egli stesso la morte e quindi fu tramutato in fiore.
Il Cavallo di legno
I principi della Grecia stanchi ormai di anni dieci di assedio, che li teneva lontani dalla patria abbandonata, escogitarono, su consiglio di Odisseo, uno stratagemma militare per impadronirsi di Troia. Costruirono adunque un cavallo di legno di straordinaria mole e vi rinchiusero nel suo ventre cavo, progettato apposta, i loro più valorosi guerrieri. Quindi finsero di sciogliere l’assedio e salparono apparentemente per tornare a in patria, in realtà si nascosero dietro l’isola di Tenedo.
Credono allora i Troiani di essere sicuri, ed eccitati per la gioia, corrono a vedere lo smisurato cavallo che i Greci lasciarono nel luogo dove si erano accampati. Questa macchina immensa suscita ammirazione, stupore e pensieri e sentimenti contrastanti: alcuni ritengono che sia da gettare in mare, altri che le si debba dare fuoco, altri ancora che la si debba introdurre in città.
Laocoonte, quello che parlava troppo. Sinone, il dritto.
Laocoonte fra gli altri, sacerdote di Nettano, è dell’avviso che si debba abbattere il mostruoso cavallo; egli stesso gli lancia con tutta la forza una lancia nel fianco.
Intanto i Troiani hanno catturato un certo giovane greco, di nome Sinone, che andava errando per la campagna. Egli è in realtà un impostore che inganna i Troiani con un racconto costruito ad arte: vuole far credere di essere stato crudelmente perseguitato dai suoi e poi racconta che il cavallo di legno è un’offerta fatta dai Greci ad Atena, prima di partire, per placarla e assicurarsi un buon viaggio di ritorno. Sinone consiglia i troiani di introdurre il cavallo in città e li persuade che conservando un tal pegno, si troveranno sotto la protezione della Dea diventando inespugnabili.
Mentre i Troiani ancora esitavano, avvenne un fatto terribile e prodigioso: Laocoonte che aveva scagliata la sua asta contro il cavallo, sul punto di fare un sacrificio a Poseidone, fu assalito da due grossi serpenti usciti dal mare. Questi rettili mostruosi si attorcigliarono anche ai corpi dei due figli del Sacerdote e poi stritolarono anche lui stesso che si era lanciato a soccorrerli.
I Troiani interpretarono questo come un segno manifesto della collera degli Dei, che gradivano le offerte de Greci ma erano invece pieni d’ira per il sacrilegio di Laocoonte. Quindi, prestata fede al perfido Sinone, venne abbattuta un’ala delle mura per introdurre, trainato dalla forza di molti uomini, il cavallo fatale nella città. Tutti si ritirano poi, rassicurati in cuor loro, e furono allestite feste e banchetti.
Attacco di sorpresa
Intanto al far della notte, i Greci ritornano con la flotta verso Troia e sbarcate le truppe, penetrano nella città dalla breccia creata dagli stessi troiani per far passare il cavallo. L’astuto Sinone aprì un piccolo uscio che era al fianco del cavallo di legno e ne fa uscire i guerrieri greci che vi stavano nascosti: in un istante l’infelice città è piena di soldati che mettono tutto a ferro e a fuoco, spargendo ovunque violenza, terrore, sangue, morte e desolazione.
Durante questo attacco, buona parte degli abitanti ancora dormiva tranquillamente : dormiva anche l’eroe Enea. L’ombra di Ettore gli appare in sogno, lo avverte dell’arrivo dei Greci e dell’imminente sterminio di Troia. Enea vorrebbe morire con le armi in pugno ed alla testa di pochi valorosi amici si spinge contro i Greci; ma la difesa è ormai tardiva e inutile.
I suoi, essendosi serviti delle stesse armi tolte ai nemici nella mischia, restano allo stesso tempo invischiati fra i Greci e i loro i concittadini che non li riconoscono. Pertanto Enea corre in soccorso di Priamo, che non riesce neppure a salvare. Infatti il re è già assediato nel suo palazzo e viene sorpreso ed ucciso da Pirro e dai suoi compagni.
La fine di Troia: Enea, il nuovo eroe
Enea allora accorre in difesa della sua sposa Creusa, del figlio Ascanio e di Anchise suo padre. Raccolti gli Dei Penati e consegnatili in mano ad Anchise, carica il venerando anziano sulle sue spalle e attraversando l’ incendiata città, volge i suoi passi verso il monte Ida, dove parecchi suoi compagni lo stavano aspettando.
Fuori le porte, inseguito da Greci, smarrisce Creusa e, come se ne accorge, ritorna indietro sui suoi passi, cercandola in mezzo alle fiamme, chiamandola a gran voce. Ma invece di Creusa gli appare l’ombra della donna: ella gli annuncia di essere ormai morta, consolandolo e incitandolo a fuggire; gli predice inoltre che andrà per lungo tempo ramingo per il mare e che, approdato finalmente in Italia dove il fato lo chiama, vivrà finalmente felice.
Enea, radunati il padre, il figlio e i suoi compagni, fa costruire in fretta un’imbarcazione con gli alberi tagliati sul monte Ida, poi prende il mare in fuga dalla patria ormai caduta. I suoi discendenti fonderanno una nuova grande città: Roma.
Sappiamo che 54 eroi greci perirono durante questa guerra, contro 201 eroi troiani.
Continuate a seguirmi, perché nell’articolo seguente parleremo delle interessanti teorie di studiosi e archeologici sulla veridicità delle leggende intorno alla Guerra di Troia