La Lingua greca antica
Poiché ormai il turismo spaziale è una realtà e presto tutti o quasi potremmo permetterci un volo low cost nello spazio, ho pensato che, chissà, forse altrettanto presto la tecnologia permetterà anche i viaggi nel tempo e dunque il turismo nel passato.
Se la vostra meta prescelta dovesse essere l’Antica Grecia, forse vi potrà essere utile un’infarinatura sulla lingua, un po’ come quando andiamo in un paese straniero e cerchiamo di imparare qualche parola dal frasario per i turisti.
Solo una piccola avvertenza per i signori: se pensate, durante il vostro viaggio temporale nella Grecia Antica, tra una cosa e l’altra, di flirtare con qualche fanciulla, cercate di stare attenti a non sceglierne una sposata (avvertimento che vale anche al giorno d’oggi, senza scomodare le macchine del tempo): l’ultimo antico greco di cui si abbia notizia che abbia fatto una cosa del genere era un tal Paride, che rapì Elena, moglie di Menelao re di Sparta (la signora comunque ci stava, ci stava…) e scatenò una rosetta da niente come la guerra di Troia. Io vi ho avvertito, eh?
Quella che gli studiosi chiamano “il greco antico” è una lingua indoeuropea, sorta appunto in Grecia fra il IX e il VI secolo d.C. Essa si sviluppa attraverso il periodo arcaico ( tra il IX e il VI secolo a.C.), il periodo classico (V-IV secolo a.C.) e il periodo ellenistico (III secolo a.C. – IV secolo d.C.).
Come ricorderete, il periodo arcaico è il periodo successivo al crollo della civiltà Minoica di Creta, ed è al tempo stesso l’era delle grandi migrazioni e colonizzazioni elleniche.
Si fa presto a dire lingua greca, il realtà ce ne sono almeno tre!
La lingua greca antica può essere suddivisa in tre gruppi:
- Il greco dorico: veniva parlato dalle genti che vivevano per la maggior parte nella Grecia continentale (Peloponneso ad esempio), nella Doride e sulle isole di Cipro e Creta.
- Il greco ionico: era parlato dalle popolazioni che abitavano quasi tutte le isole più piccole, o sulla costa est della Grecia continentale (come ad Atene ad esempio) e infine sulla costa sud-ovest dell’Asia Minore.
- Il greco eolico: un po’ meno noto rispetto agli altri due, era la lingua degli elleni che risiedevano nella parte settentrionale del Mar Mediterraneo (che chiamavano Mar Egeo), in Tessaglia, in Beozia e sulla costa nord-ovest dell’Asia Minore, nell’Elide, nelle isole Cicladi, a Lesbo.
Anche i greci, proprio come noi, avevano i loro dialetti a seconda della regione o dei luoghi di appartenenza (e questi esistevano anche all’interno dei tre gruppi linguistici summenzionati).
A Roma noi diciamo “Ahò! Famo a capisse!”
E infatti, come ad esempio oggi gli abitanti della città di Roma sono in grado di comprendere quelli di Napoli anche quando questi ultimi parlano nel loro dialetto (le cose si complicano se invece un genovese si mette a cantare ad un romano Creuza de mä di Fabrizio De André), così gli antichi elleni si capivano gli uni con gli altri anche nel caso in cui comunicassero tra di loro ciascuno nel proprio dialetto.
- Il dialetto della polis di Atene era ad esempio il dialetto attico (o ionico-attico).
- Il dialetto nord-occidentale, era parlato i parte del Peloponneso, nella Grecia centrale, in Macedonia, e in Epiro (i popoli di queste due regioni erano considerati dei greci quasi a fatica dal resto dell’Ellade, che appena poteva li metteva nel mucchio fra tutti gli altri “barbari”).
- Il dialetto arcado-cipriota, eco del dialetto miceneo, parlato appunto in Arcadia e a Cipro.
- Il dialetto panfilio, che deve appunto il suo nome alla Panfilia, piccola regione dell’Asia minore.
Nel film kolossal Alexander, diretto nel 2005 da Oliver Stone, Colin Farrell, l’attore che interpreta Alessandro Magno, parla con il suo naturale accento irlandese (un po’ alleggerito in verità, potete ascoltarlo cliccando qui ) e così fanno anche tutti gli attori che nel film ricoprono i ruoli degli ufficiali macedoni (che sono quasi tutti americani, irlandesi o scozzesi, a parte Anthony Hopkins).
Anche Val Kilmer, che in realtà è di Los Angeles, e che interpreta nel film il padre di Alessandro, Filippo, su richiesta del regista, si sforzò di parlare con lo stesso accento
Invece per interpretare i greci continentali (ad esempio gli Ateniesi) furono scelti attori inglesi o che comunque parlavano con accento britannico (ovviamente tutte queste sfumature si perdono completamente nel doppiaggio italiano o in altre lingue).
“Questi uomini sono macedoni, non greci acculturati e istruiti.” dichiarò il regista in un’intervista dell’epoca. “Quindi, nella mia mente, occupavano una posizione simile a quella occupata da irlandesi e scozzesi durante l’Impero Britannico”.
Questa è stata una felice scelta registica, in modo da mostrare così allo spettatore moderno che sebbene tutti questi personaggi parlassero greco, i macedoni dovevano avere invece necessariamente un accento rurale, un po’ più rozzo rispetto alla raffinata lingua dei greci di Atene. (Piccola curiosità, all’epoca fu molto criticata invece l’interpretazione di Angelina Jolie nel ruolo di Olimpia, madre di Alessandro: mentre quasi tutti i macedoni hanno nel film appunto un accento irlandese o simile, il suo sembra piuttosto russo. Se avete curiosità di ascoltarlo, potete cliccare qui).
Questo accorgimento non è in realtà nuovo nel cinema: il regista Stanley Kubrick utilizzò tutti attori statunitensi per interpretare gli schiavi e quasi tutti britannici invece nei ruoli degli antichi romani, nel suo film “Spartacus” del 1960.
Ma tornando al greco antico, ricordiamo poi che esisteva anche un dialetto esclusivamente letterario e mai davvero parlato da alcuna popolazione (un po’ come l’italiano, o meglio, il volgare di Dante): il dialetto omerico.
Era la lingua canonica della poesia epica; un misto di ionico, eolico, e un pizzico di dialetto miceneo.
Signori, il poema è servito!
L’alfabeto greco
Il greco era l’inglese dei tempi più antichi: se sapevi parlarlo, potevi farti capire da chiunque in quasi ogni angolo del Mediterraneo.
E la diffusione della lingua ellenica fu favorita in parte dall’utilizzo della scrittura, iniziata all’incirca a partire dal 750 a.C. e utilizzata per registrare le transazioni commerciali e i trattati.
La scrittura è infatti un metodo per riprodurre il suoni di ogni lingua in simboli, come ben sappiamo.
In questo caso fu ideato l’antico alfabeto greco, composto da 24 simboli che rappresentavano lettere o gruppi di lettere, come alfa α e beta . La Figura 1-2 mostra le lettere del Alfabeto greco.
L’antico alfabeto greco era fortemente influenzato dal mondo orientale e dall’antica Mesopotamia.
Infatti, inizialmente i greci scrivevano da destra verso sinistra, come succede nell’arabo moderno.
Successivamente, a partire dal periodo classico, cioè quando videro la luce le grandi opere letterarie che conosciamo e che leggiamo ancora oggi, i greci introdussero lo stile di scrittura da sinistra a destra che poi passò a tutto l’occidente latino e che è arrivato fino a noi.
Le versioni moderne degli antichi scritti greci riportano accenti e segni, detti anche “spiriti”, per indicare al lettore di oggi le inflessioni e i ritmi da tenere quando si legge ad alta voce, rispettando le aspirazioni.
Inizialmente i greci non usavano neppure la punteggiatura (si sviluppò più tardi, durante il periodo ellenistico), ma già usavano gli spazi tra le righe per indicare un cambio di argomento e dunque facilitare la comprensione nella lettura.
Questi spazi erano noti come paràgrafos (παράγραϕος) e da qui derivano i nostri “paragrafi” che utilizziamo allo stesso scopo ancora oggi (vi viene in mente subito Microsoft Word, vero?).
Il greco antico era una lingua fonetica (ogni lettera dell’alfabeto rappresenta un singolo suono) ma venivano impiegati a volte degli accenti, specialmente su vocali.
Per lungo tempo, dopo la fine del mondo antico, la pronuncia greca dei testi classici che veniva adottata, fu quella usata dagli intellettuali di origine bizantina.
Fu solo dopo, che l’umanista olandese Erasmo da Rotterdam riscoprì e rilanciò in occidente la pronuncia originale del greco antico, quella che noi utilizziamo ancora oggi nell’approccio con i testi scritti in questa lingua.
Traduzioni di classici greci
Il repertorio di testi in greco antico è ovviamente enorme.
Ce ne è per tutti i gusti: teatrale, letterario, storico, poetico, filosofico, scientifico, mitologico… esiste perfino un repertorio di barzellette!
Naturalmente non si è costretti a leggerli in lingua originale, anche perché la cosa richiederebbe una ottima conoscenza degli studi classici, a livello proprio universitario, non certo alla portata di tutti.
Naturalmente sono disponibili innumerevoli traduzioni molto diverse tra di loro.
C’è chi sostiene che questi classici siano davvero apprezzabili solo leggendoli in lingua originale (cosa in generale vera anche per tutte quelle opere letterarie scritte in una qualsiasi altra lingua straniera, anche moderna), ma a parte che dovremmo conoscere nello stesso modo approfondito anche la lingua latina e tutte quelle altre in cui furono scritte dei capolavori (praticamente tutte; non basterebbe una vita e neppure tutti i soldi e i Berlitz di questo mondo), se invece noi cerchiamo delle traduzioni accurate e autorevoli (e ce ne sono di numerosissime) che riescono davvero a mantenere e a riprodurre fedelmente ed efficacemente l’atmosfera e i significati originali, così come il ritmo e il tono in poesia, vedrete che tutta questa preziosa letteratura ellenica riuscirà ugualmente a far breccia nel vostro cuore!
Sappiate ovviamente che a noi non sono giunti i testi originali di tutta questa preziosa collezione.
È solo grazie all’opera dei monaci medievali, che ne realizzavano pregevoli copie con zelo e con cura, che possediamo ancora oggi queste opere straordinarie (ricordate l’Abbazia del romanzo Il Nome della Rosa di Umberto Eco, dove i monaci studiavano e ricopiavano, tra gli altri, il volume del grande filosofo Aristotele, dedicato alla Commedia? Sì lì c’era anche qualche frate che finiva assassinato, ma questa è un’altra storia!) .
Il consiglio più importante che si possa dare poi, è quello di scegliere delle traduzioni il più possibile moderne, che sappiano essere sì fedeli allo spirito del testo, ma che sappiano al tempo stesso renderlo più accessibile a noi contemporanei.
Se ci si approccia per la prima volta ai poemi omerici, ad esempio, è sconsigliabile rivolgersi subito alla classica e pur ottima traduzione dell’Iliade di Vincenzo Monti de 1810, reperibile facilmente anche in versione gratuita su internet, perché è una versione che risente molto dei gusti estetici e dei canoni dell’Ottocento, scritta in un linguaggio aulico, antiquato e altisonante, sinceramente troppo lontano dai gusti e dalla mentalità moderne.
Un esempio? Già i primi versi:
“Cantami, o Diva, del Pelíde Achille
L’ira funesta che infiniti addusse
Lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco
Generose travolse alme d’eroi,
E di cani e d’augelli orrido pasto
Lor salme abbandonò (così di Giove
L’alto consiglio s’adempía), da quando
Primamente disgiunse aspra contesa
Il re de’ prodi Atride e il divo Achille.”
Un lettore neofita, non parliamo poi di un giovane, che legge queste prime righe, è probabile che richiuda subito il libro, lo riponga sullo scaffale e non ci pensi più.
Pur trattandosi di testi che sono alla base dell’intera cultura occidentale di tutti i tempi, essi rimangono pur sempre come testimonianza o traccia di un mondo che oramai non esiste più; e siccome è la comune appartenenza ad un stesso mondo che rende possibile la comprensione in generale, sarà quindi necessario un processo a due fasi: il primo dovrà tentare di ricostruire detto mondo passato e dunque il tempo dal quale l’opera è emersa; nel secondo si dovranno prendere tutti gli elementi che abbiamo trovato nell’opera così considerata e fargli violenza, per così dire, cioè portarli in rapporto al nostro ambiente e al nostro tempo, per farci dire quel che possono dirci ancora oggi.
Ecco perché molti registi di teatro o di cinema contemporanei sembrano a prima vista fare dei veri e propri abusi quando ad esempio trasferiscono le vicende del teatro greco e in generale i testi della letteratura classica, al giorno d’oggi.
La sfida non è nella bellezza, che non si raggiunge sempre, ma nel costringere il testo a rivelare la sua verità nascosta, quel nocciolo indistruttibile che rimane intatto nei secoli e che sta al di là della fascinazione immediata per un’estetica scomparsa ma rievocata più o meno fedelmente, e che sarebbe poco più di una curiosità filologica mista al gusto del diverso se tutto si riducesse solo a questo.
I classici non sono tali perché sono decorativi e non li si frequenta per darsi un tono in società (“Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana, e la razza umana è piena di passione.” Come diceva il professor Keating, il compianto Robin Williams, nel film “L’attimo fuggente”).
I classici ci rivelano chi siamo noi ancora oggi, meglio dell’introspezione, della psicoanalisi e sicuramente meglio degli oroscopi o delle fattucchiere che ancora ti leggono la mano o le carte con i loro banchetti nei Luna Park o ai bordi delle strade.
Noi siamo ancora “nani sulle spalle di giganti” come disse il filosofo medioevale Bernardo di Chartres, proprio parlando del nostro rapporto con i classici.
Possiamo grazie a loro vedere un po’ più in là rispetto al passato, ma i giganti restano sempre essi, e noi, nonostante tutta la nostra scienza e tecnologia, siamo e forse saremo sempre dei nani.
Nel prossimo episodio – > : Conosceremo la civiltà minoica fiorita nel Mar Egeo tra il 3000 e il 1100 a.C. Il suo nome deriva da quello del mitologico Re di Cnosso, Minosse (ma secondo alcuni archeologi, questo era solo un titolo dato ai re). Lo scopritore di questa civiltà fu l’inglese Arthur Evans.