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INFANZIA, ADOLESCENZA E ISTRUZIONE NELL’ANTICA GRECIA

EDUCAZIONE DEI RAGAZZI IN GRECIA

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L’educazione

La scuola nell'Antica Grecia - Figurina Liebig

Per la maggior parte dei Greci, l’infanzia durava poco. Nessuno ti regalava niente e appena eri abbastanza grande da saper fare un lavoro qualsiasi, stai pur sicuro che ti mettevano lì al chiodo dalla mattina alla sera. Il pane te lo dovevi cominciare a guadagnare molto presto.

Tuttavia esistevano un certo numero di privilegiati, a vari livelli, che prima di essere “introdotti nel mondo del lavoro” diciamo (o nella guerra), potevano usufruire prima di una decente, buona, ottima, e se erano davvero fortunati, perfino eccellente educazione.

Non esisteva la scuola dell’obbligo, quindi neppure una precisa età scolare. Lo Stato non forniva nessuno tipo di istruzione, neppure elementare. Le lezioni erano dunque a carico del kurios o del tutore del ragazzo, anche se il dovere di provvedere all’educazione dei fanciulli era in qualche modo previsto.

Le leggi di Solone obbligavano i genitori a mandare i figli a scuola non prima dell’alba e a portarli a casa prima del tramonto, per evitare il pericolo della strada buia e vietavano ai giovani e agli stranieri di entrare nella scuola quando vi si trovavano i bambini, e per combattere la pederastia.

La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle, Robert Flacelière Nonostante l’assenza di un obbligo scolastico, i magistrati della città e gli strateghi si interessavano all’educazione dei bambini. Un decreto del demo di Eleusi, del IV secolo, ricorda lo stratega Derchilo per il modo in cui aveva si era impegnato per fornire una buona educazione ai ragazzi del demo.

Molti ragazzi ricevevano quindi un qualche tipo di istruzione tra i 5 o 6 anni fino a 16 circa. 

Le famiglie più ricche avevano dei precettori che vivevano e lavoravano in casa, impartendo lezioni a intere classi di bambini della stessa.

I più abbienti o gli aristocratici avevano anche uno schiavo, chiamato paedagogos, che accompagnava il giovane ovunque, insegnandogli le buone maniere; doveva essere molto convincente perché portava con sé un bastone di betulla per assicurarsi di essere obbedito.

Per tutto il tempo in cui il ragazzo stava a scuola, il pedagogo rimaneva in classe, seduto da una parte a gambe incrociate su uno sgabello. Il maestro invece sedeva su una sedia a gambe corte con lo schienale. Gli assistenti e gli alunni avevano sgabelli scomodi privi di schienale. Non c’erano tavoli o banchi e tutti scrivevano su di una tavoletta di cera tenuta  sulle ginocchia.

Gli alunni impararono a recitare l’alfabeto: alfa, beta, gamma, delta, ecc. Poi imparavano a leggere e a scrivere, a volte con la cera su una tavoletta, a volte con uno stilo su fogli di papiro. La lettura dei testi era difficile, perché i greci non lasciavano spazi tra le parole e non c’erano virgole o punti e neppure paragrafi, tutte cose che vennero introdotte solo dopo. Gli alunni leggevano sempre ad alta voce.

Le materie di insegnamento erano le seguenti, le cui lezioni erano impartite dai rispettivi professori:

  • I Grammatisti (grammatistes, γραμματιστής,) insegnavano materie come lettura, scrittura, aritmetica e geometria. Si studiavano a memoria principalmente  le opere di Omero, ma anche di altri poeti. I greci ritenevano che le grandi opere letterarie fornissero una formazione morale attraverso l’esempio fornito dai personaggi delle vicende narrate.
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  • I Citaristi (kitharistés, κιθαριστής) insegnavano musica e poesia. I ragazzi imparavano a suonare la lira e a eseguire i canti.
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  • I Pedotribi (paidotribes, παιδοτρίβης) insegnavano la ginnastica e l’educazione fisica in generale, molto probabilmente nella palaestra (παλαίστρα) o nel campo di allenamento. 

Le lezioni erano quotidiane (salvo nei giorni di festa), e spesso ci si doveva spostare in luoghi diversi per seguirle. I giovani più ricchi, proseguivano gli studi ad un livello superiore. Frequentavano i corsi o pagavano lezioni individuali presso alcuni grandi sapienti, chiamati sofisti, che insegnavano la retorica e l’oratoria, la politica e perfino nozioni scientifiche.

All’inizio del del IV secolo a.C., l’Accademia di Platone e, più tardi, il Liceo di Aristotele, si affermarono come delle vere e proprie università o istituti di ricerca.

Werner Jaeger e la Paideia

La Paideia ( greco classico : παιδεία, derivato da παῖς παιδός «ragazzo». ) era il sistema di istruzione e formazione etica nell’antica Grecia, che comprendeva materie come ginnastica, grammatica, retorica, musica, matematica, geografia, storia naturale e filosofia, miranti alla formazione di un cittadino perfetto e completo, capace di guidare ed essere guidato e svolgere un ruolo positivo nella società.
Il concetto emerse in epoca omerica ed è rimasto sostanzialmente immutato nel corso dei secoli, sebbene le sue forme di applicazione e le discipline coinvolte siano state variate. Il concetto continua ad interessare molti educatori e pensatori contemporanei. Nel 1934, il filologo classico e grecista tedesco Werner Jaeger, pubblica il suo capolavoro Paideia. La formazione dell’uomo greco, in cui egli  “interpreta la genesi, lo svolgimento e l’essenza della “Paideia”, ossia della formazione spirituale dell’uomo greco e ritiene che essa sia da recuperare per superare la crisi spirituale dell’Europa del Ventesimo secolo”.  

 

L’istruzione per i poveri

L’istruzione era costosa. Per i meno abbienti istruzione significava la pura e semplice formazione professionale “on the job” o “full immersion” a lavorare nell’azienda o nella fattoria di famiglia. Si imparava il mestiere, ecco tutto. In questo modo i figli potevano subentrare ai genitori nell’attività. Anche le ragazze potevano essere coinvolte in questa formazione sul lavoro, finché non avessero raggiunto l’età per sposarsi. L’analfabetismo era assai diffuso.

Ragazze che giocano agli astragaloi

Le ragazze? Solo economia domestica!

Non capitava spesso che un padre di famiglia investisse denaro per mandare a scuola le proprie figlie. Ai ragazzi si forniva un’educazione perché dovevano partecipare alla vita pubblica. Ma dato che alle fanciulle, in una società maschilista come quella greca, non era riservato nessun ruolo come cittadine attive, esse potevano ricevere lezioni solo di quelle che una volta si chiamavano “applicazioni tecniche femminili”, cioè la tessitura, il taglio e cucito, la cucina e la gestione della casa in genere. Alcune donne erano molto istruite e nulla impediva loro di apprendere qualche disciplina anche in età adulta, ma erano casi molto rari e non avevano alcuna possibilità di mostrare pubblicamente il loro talento.

Ipazia di Alessandria

Rachel Weisz nel ruolo di Ipazia nel film Agorà, 2009Abbiamo più volte rimarcato quanto fosse mortificante la condizione femminile in Grecia, e quanto esse fossero escluse dalla politica e dall’istruzione. Tuttavia non si deve credere che, nonostante tutto, non siano emerse personalità di spicco tra le donne elleniche. Aspasia era un’etera che divenne compagna e consigliera politica di Pericle. Artemisia, regina della Caria, fu a capo della propria flotta che guidava in operazioni militari ardite e brillanti. Diotima di Mantinea era una grande sacerdotessa che istruì Socrate ai misteri del dio Eros.

Ma la più famosa di tutte rimane Ipazia di Alessandria, scienziata, insegnante, filosofa neoplatonica, vissuta tra il 355 e il  415 d.C.  che ha contribuito notevolmente allo sviluppo della matematica e dell’astronomia. Le sue opere purtroppo sono andate tutte perdute.

Suo padre, Teo d’Alessandria, un famoso matematico e astronomo, che  insegnò presso la Biblioteca di Alessandria,  vi allevò anche sua figlia introducendola allo studio delle scienze. La stessa Ipazia apprese la storia della religione, la retorica, la filosofia e l’arte dell’insegnamento, e soggiornò ad Atene e a Roma. I discepoli accorrevano per seguire le lezioni di Ipazia dai luoghi più remoti. Uno dei suoi allievi fu Sinesio di Cirene, vescovo di Tolomeo, che lasciò testimonianze su Ipazia e le sue opere. Anche Esichio l’ebreo un altro suo discepolo, scrisse su di lei, e riferì che i magistrati l’avevano incontrata per consultarla su varie questioni amministrative

Nell’anno 412 il vescovo Cirillo di Alessandria fu nominato patriarca di Alessandria. Poiché era cristiano e aborriva il paganesimo e l’ eresia, accusò Ipazia di essere solo una volgare ammaliatrice. Nell’anno 415, la studiosa fu uccisa da una banda di fanatici, che ne ingiuriarono il corpo e poi lo bruciarono.

L’Asteroide 238 Ipazia è stato così chiamato in onore di Ipazia di Alessandria.

Nel 2009, il regista Alejandro Amenábar realizza un film, Agorà ispirato alla figura storica di Ipazia con Rachel Weisz nel ruolo della scienziata e filosofa.

 

E i giocattoli?

Giocattoli AteniesiI bambini ateniesi avevano molti giocattoli con cui giocare: sonagli, carri, cavalli su ruote, maiali, colombe, mobili, palle, nacchere e altri giochi. Tenevano come animali domestici cani, anatre, topi, donnole e cavallette.

Platone ritiene opportuno lasciar giocare i bambini fino ai 6 anni, indirizzando tuttavia i loro giochi all’apprendimento di un mestiere per il futuro.

Aristotele scrive nella Politica-.

Bisogna che i bambini si occupino e a giusta ragione si considera una bella invenzione di Archita (di Taranto, filosofo e uomo di stato) le nacchere (platagé) che vengono date ai bambini perché, mentre le usano, non rompano niente in casa, perché i bambini non possono restare fermi neanche un momento e la platagé  è un giocattolo loro adatto.

I bambini si divertivano anche col gioco della palla (sphaira) e quello dei dadi (astragali) che era praticato anche dagli adulti.

I più piccoli giocavano anche con piccoli carri, come quelli di oggi con le macchinine.

Nelle Nuvole di Aristofane, il vecchio Strepsiade rinfaccia a suo figlio Fidippide, l’acquisto di uno di essi quando egli era piccolo:

Obbediscimi  perché anch’io un giorno, me ne ricordo ancora, ti ho obbedito quando avevi sei anni e balbettavi ancora. Il primo obolo che ho ricevuto come eliasta, l’ho usato per comprarti alle feste di Zeus un piccolo carro.

La schiavitù era una pratica accettata nell'antica Grecia, come in altre società dell'epoca. Alcuni scrittori dell'antica Grecia (tra cui, in particolare, Aristotele) descrissero la schiavitù come naturale e persino necessaria. Questo paradigma è stato messo in discussione in particolare nei dialoghi socratici; gli Stoici produssero la prima condanna documentata della schiavitù. L'uso principale degli schiavi era in agricoltura, ma erano usati anche nelle cave o miniere di pietra e come domestici. Atene aveva la più grande popolazione di schiavi, con ben 80.000 nel V e VI secolo aC, con una media di tre o quattro schiavi per famiglia, tranne che in quelle povere. Agli schiavi era legalmente vietato partecipare alla politica, che era invece riservata ai cittadini.

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