La parola Titano, in greco antico: Τιτάν, plurale Τιτάνες, deriva dalla mitologia greca e, nel linguaggio comune, denota un essere gigantesco e potente. Nella mitologia, Titano è appunto uno dei dodici Titani e Titanidi. Sono insieme ai Ciclopi e agli Ecatonchiri (giganti dalle cento braccia), figli e figlie di Urano, il dio del cielo, e Gea, la terra, anche se altri miti narrano che Gea o Gaia li generò di sua spontanea volontà. Urano e Gea erano la seconda coppia di divinità più arcaiche dell'antichità classica, dopo Nyx ed Erebo. I Titani erano giganti, veri e propri assaltatori del cielo. Furono gettati nell'abisso del Tartaro, dal loro padre Urano, quando iniziò a sentirsi minacciato da loro. Gea covò un profondo rancore per questo gesto. Quando Urano fu mutilato, con le sue gocce di sangue la dea concepì e produsse in lei i Giganti.
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La notte in cui Rea partorì l’unico bimbo sfuggito alle fauci di Crono, ella giunse fino a Litto, nell’isola di Creta; nell’oscurità delle tenebre, nascose il neonato nella grotta del monte Aigaion. Ma Zeus era anche nato in Arcadia (un dio si può permettere benissimo nascite multiple, e figuriamoci poi il re degli dèi!), sul monte Liceo, all’interno di un recinto sacro. Sulla cima della montagna, c’era un luogo consacrato a Zeus Liceo (Zeus-lupo), e si dice che in questa zona niente proiettasse la propria ombra sul terreno.
Rea fece il bagnetto al divino pargolo alla sorgente del fiume Neda, sorto proprio poco prima, tanto per provvedere alla toeletta dell’infante. A Creta, il piccolo fu affidato all’asilo nido delle ninfe del frassino, le Diktaiai Meliai (cioé le Melie Dittèe, “che sono amiche dei Coribanti” ricordate nell’inno dedicato a Zeus di Callimaco), che gli fecero da baby sitter.
Queste ninfe erano le fidanzate dei Cureti o Coribanti, che saranno di lì a venire i bodyguard del piccolo Zeus.
Sin dall’antichità il giro turistico di Creta prevedeva la visita a diverse grotte che avrebbero fatto da scenario alle tre fasi più importanti dei primi anni di Zeus. Una era la grotta del monte Aigaion (monte Capra) che sarebbe stata proprio la sala parto di Rea; in un’altra grotta sarebbero avvenuti invece l’allattamento e lo svezzamento.
Zeus ebbe anche diversi animali che si occuparono di nutrirlo: cioè una capra, una scrofa, delle api e alcune colombe.
Rea aveva anche già tre figlie, che forse, essendo femmine, non erano state divorate per questo motivo da Crono: Estia, Demetra ed Hera. Dapprima fu Hera che volle fare da madre adottiva del piccolo fratello. E qui esiste una versione differente dei fatti che non prevede figli inghiottiti, ma direttamente buttati di qua e di là.
Crono, padre non molto amorevole, aveva già scaraventato Ade nel Tartaro. A Poseidone invece aveva riservato un trattamento diverso: lo aveva buttato direttamente in mare.
In questa versione Crono è meno scemo di quanto non appaia in quella ufficiale, perché ordina sì a Rea di mostrargli subito anche l’ultimo suo prodotto della cucciolata, e lei cerca sempre di rifilargli la solita pietra avvolta nelle bende, ma quando Crono se la spara giù come fosse una cozza nel guscio…avverte…una leggera…pesantezza di stomaco!
Insomma, Crono si accorge subito del bidone che gli ha rifilato la moglie, e si mette immediatamente alla ricerca di Zeus, rivoltando ogni angolo della terra “Dove sei…dove sei…Vieni dal paparino!”
La dea Hera intanto aveva preso in consegna il fratellino, portandolo a Creta. Qui Amaltea appese la culla di Zeus al ramo di un albero. E il divino fanciullo era dunque in salvo: non si trovava infatti né in cielo, né sulla terra, né in mare. Prova a trovarlo Crono, se ti riesce! Non solo non è in nessuno dei quattro angoli della terra, ma neppure appunto nei cieli e negli oceani!
Per nascondere alle orecchie di Crono i vagiti del neonato, Rea (o Hera scegliete voi a versione che preferite), chiamò dei ragazzi, gli diede degli scudi e delle lance di bronzo e chiese loro di danzare, cantare e fare un gran baccano con le armi, in un continuo girotondo intorno all’albero: Questi giovani erano i famosi Cureti o i Coribanti cui abbiamo già accennato.
Adrastea fece dono al bambino di una culla d’oro e di una palla dorata anch’essa. Ma Adrastea e Ide che vengono accreditate come le prime tate di Zeus, in realtà sarebbero altri nomi di Rea stessa, che tanto per non complicare troppo le cose, si chiamava anche Meter Idaia. Comunque sia, Adrastea (l’Ineluttabile) o Rea che fosse, i suoi doni, della culla e della palla d’oro, presagivano il futuro di Zeus: essere il Master of the Universe.
No, no…c’è pure chi giura che le cose non andarono affatto così. Costoro sostengono invece che furono Amaltea e Melissa, figlie di un re cretese di nome Melisseo, a nutrire il bambino. Melissa gli diede non pappette o omogeneizzati, ma miele (e te credo! il suo nome significa “ape’); da qui la leggenda di Zeus nutrito delle api.
Leggenda? Ma quale leggenda! È tutto vero (o quasi) e ci sono pure le prove! La sacra grotta (un’altra!) delle api sacre, nutrici di Zeus; si trovava ovviamente a Creta e nessun dio e o essere mortale poteva accedere a quel luogo. Zeus riconoscente verso le api, donò a quelle il colore dell’oro e la loro forza. Una volta l’anno da questa sacra grotta usciva fuori un grande fuoco, alimentato dal divino sangue versato durante il parto del dio.
Un giorno, quattro giovinastri, Laio, Celeo, Cerbero ed Egolio, pensarono una bella mascalzonata e anche molto pericolosa: rubare il divino miele di queste nutrici di Zeus. Ma ai quattro temerari incoscienti, la precauzione di aver indossato armature di bronzo non servì proprio a nulla.
Quando questi scriteriati videro le fasce di Zeus e il sangue, le loro stesse armature gli caddero magicamente di dosso e vennero subito attaccati da uno sciame di enormi api. Zeus per punire i quattro ladri di miele li trasformò in uccelli e non li fulminò all’istante solo perché in quella grotta nessuno doveva morire.
Ma la famosa Amaltea allora? Chi era? Una capra una donna o…Non si sa bene. Quel che certo è che iniziò il fanciullo ai piaceri dell’alcol, perché gli dava bere presumibilmente del vino da un corno di toro: il rhyton. Il corno di Amaltea non si esauriva mai e dunque la sbronza era garantita.
Ma ovviamente c’é chi ha altre versioni pure su questo dettaglio e il corno sarebbe della capra di nome appunto Amaltea che nutriva Zeus con il proprio latte. Era figlia del Sole, ma aveva davvero un aspetto spaventoso, tanto che gli dèi pregarono Gea di nasconderla in una grotta. Quindi questa capra sarebbe stata affidata alla ninfa Amaltea (da qui il suo nome o la confusione dei nomi delle due) che con il suo latte nutrì Zeus.
Quando il futuro signore dell’universo sarà ormai grande e dovrà combattere contro i Titani, egli li affronterà con indosso solo la pelle della capra Amaltea, che lo renderà l’invulnerabile, e sulla quale portava anche un’egida: il terribile volto di una gorgone. Forse su indicazione di un oracolo o forse nel corso di un incidente, Zeus dovette infatti uccidere la capra.
Uno dei figli di Amaltea (intendendo proprio l’ovino e non la ninfa), di nome Egipan, cioè il dio Pan caprone, sarebbe stato allattato insieme a Zeus. Diventati poi entrambi grandi, avrebbero affrontato insieme i Titani. Pan diffondeva il panico (da qui il “timor panico”), facendo risuonare il suo potente corno a spirale.
Ma oltre a capre, api e via dicendo, vi era anche un’aquila: Aetos, (cioé l’«aquila» appunto) era un fanciullo nato dalla terra, anche egli amico d’infanzia di Zeus. Era talmente bello che Hera lo trasformò… in un’aquila, perché lei sarà sempre gelosa del suo fratello e sposo, e lui sempre sarà fedifrago e all’occorenza…bisessuale. Questa storia poi si confonderà con quella di Ganimede, rapito dall’aquila di Zeus per via della sua bellezza, per farne il coppiere degli dèi.