- Enea va a salvare Priamo
- Venere appare a Enea
- La fuga di Anchise
- Il fantasma di Creusa
- Arrivo in Tracia
- Delo e Creta
- La visione di Enea
- Celeno, l'Arpia
- Salvataggio di Achemenide
- La tempesta
- Arrivo in Libia
- Didone ed Enea
- Enea e Didone amanti in una grotta
- Enea alla corte di Didone
- Morte di Didone
- Giochi funebri
- Apparizione di Anchise
- La Sibilla Cumana
- Arrivo nel Lazio
- Guerra con i Latini
- Storia di Camilla
- Eurialo e Niso
- L'armatura
- L'arrivo di Enea
- Il tradimento di Giunone
- La prodezza di Enea
- Morte di Turno
- Progenie di Enea
Avete forse già letto di come i Greci entrarono nella città di Troia nel cuore della notte, massacrarono gli abitanti e incendiarono i bellissimi edifici che erano stati l’orgoglio e la gioia del loro re. Ora vedrete come Virgilio racconta la fuga di alcuni troiani dalla distruzione generale.
Ignaro del pericolo imminente, Enea, figlio di Venere e Anchise, giaceva profondamente addormentato nel suo palazzo; ma gli dèi non lo avevano condannato alla morte e mandarono l’ombra di Ettore ad avvertirlo in sogno di alzarsi, lasciare la città e fuggire in qualche terra lontana.
“Ah, nato dalla dea”, mi avverte, “scappa!
Fuggi da queste fiamme:
Non pensare alle pretese del re o della patria:
patria e re, ahimè, sono solo nomi;
se Troia avesse potuto
essere salvata da mani di uomini,
questa mano l’avrebbe salvata già allora.
Gli dèi dei suoi santuari domestici
che la patria affida alle tue cure:
accoglili ora, per condividere la tua sorte;
fornisci loro dimore forti e grandi, le mura della città,
che il cielo ha voluto, al di là dei mari
che tu dovrai ancora costruire”.Virgilio, Eneide, II
Enea va a salvare Priamo
Svegliato finalmente dal tumulto sempre più crescente, Enea prese le armi e si affrettò, accompagnato da molti concittadini, ad accertare la causa di quella grande sommossa. Pochi minuti dopo scoprì che l’esercito greco era entrato in città e stava massacrando tutti, saccheggiando e bruciando le dimore e i templi senza pietà.
Gli uomini furono tutti uccisi, ma le donne più belle furono trascinate via per essere vendute come schiave in Grecia; e tra queste Enea vide nelle mani dei soldati di Agamennone la sfortunata figlia di Priamo, Cassandra, che gli dei avevano dotato di poteri profetici, ma che nessuno volle ascoltare.
Enea, vedendo che non c’era più speranza di difendere la città condannata, si travestì rapidamente con un’armatura greca strappata al cadavere di uno dei suoi nemici e si precipitò a palazzo, sperando di salvare l’anziano re che, al primo allarme, aveva impugnato le armi, deciso a combattere fino all’ultimo.
Ecuba, sua moglie, si stava aggrappando a lui, implorandogli di restare, quando improvvisamente Polite, il loro figlio, si precipitò al loro cospetto, seguito da vicino da Pirro, o Neottolemo, figlio di Achille, che conficcò la sua spada nel corpo giovane, e poi uccise anche Priamo“.
“Così le sorti di Priamo si conclusero alla fine:
Così cadde, vedendo come cadeva
la sua Troia in fiamme, la sua torre reale
ridotta in polvere dalla potenza ostile,
lui che un tempo fiero di terre e di popoli
si è seduto in trono, mentre l’Asia si inchinava davanti a lui:
Ora, sulla riva, giace morto,
un tronco senza nome, una testa senza tronco”.Virgilio , Eneide, II
Enea, arrivato troppo tardi per impedire questa spaventosa catastrofe, si ricordò improvvisamente che una sorte simile incombeva sull’anziano padre Anchise, la moglie Creusa e il figlioletto Iulo, che si trovavano in casa senza alcun protettore vicino a loro.
L’eroe si fece quindi forsennatamente strada tra i nemici e si precipitò attraverso il palazzo, un tempo magnifico, che ora era stato spogliato dei suoi tesori più preziosi e profanato dal calpestio del nemico.
Venere appare a Enea
Lì, in una delle sale abbandonate, vide Elena, la vera causa di tutta questa guerra e di tutto questo spargimento di sangue, che, dopo la morte di Paride, aveva sposato Deifobo, suo fratello, e per un attimo decise di toglierle la vita; ma prima che potesse farlo, Venere, sua madre, gli fermò la mano e gli fece ricordare che gli dei immortali avevano da tempo decretato la caduta della città e che Elena era solo il pretesto usato per indurre le nazioni rivali a volare alle armi.
Per convincerlo della veridicità delle sue affermazioni, gli permise di vedere ciò che era nascosto agli occhi dei mortali: Nettuno, Minerva, Giunone e persino Giove che combattevano e spianavano le mura con colpi poderosi. Allora implorò con veemenza il figlio di abbandonare questa scena di carneficina e di fuggire, con la sua famiglia e i suoi seguaci, in qualche luogo sicuro fuori dalla città, da dove avrebbe potuto imbarcarsi e salpare verso una terra più fortunata; e le sue suppliche alla fine ebbero la meglio.
La fuga di Anchise
Enea si precipitò a casa e disse al padre di prepararsi a lasciare Troia; ma Anchise si rifiutò ostinatamente di lasciare il suo posto, finché non vide una fiamma luminosa librarsi per un attimo sopra la testa del nipote, segno che interpretò come un presagio di sopravvivenza della sua razza. Non resistette più e, poiché era troppo debole per camminare, Enea gli ordinò di tenere i Lari e i Penati e, caricatolo sulle spalle, lo portò via, mentre con una mano conduceva il figlioletto e ordinava a Creusa di seguirlo da vicino.
“Vieni, monta sulle mie spalle, caro mio sire:
Con questo carico la mia forza non si stancherà mai.
Ora, che la fortuna sorrida o ci volti le spalle,
Il rischio oppure la salvezza saranno nostri.
Mio figlio viaggerà al mio fianco,
Mia moglie guiderà i suoi passi al mio fianco,
a distanza sicura”.Virgilio, Eneide, II
Il fantasma di Creusa
Per i suoi servi era già stato fissato un luogo di incontro vicino a un tempio in rovina e Enea vi si diresse. Quando vi giunse, ne trovò molti ad attenderlo e li contò attentamente per accertarsi che non ne mancasse nessuno.
C’erano tutti tranne Creusa, la sua giovane e amata moglie; ed egli tornò sui suoi passi con ansia, sperando di trovarla ancora viva. Ma sulla soglia della sua casa, un tempo felice, incontrò il suo spirito disincarnato e sentì che lo invitava a cercare le rive del Tevere, dove una bella e giovane sposa lo avrebbe consolato per la sua perdita.
Terminato il discorso, il fantasma di Creusa svanì e Enea tornò mestamente al tempio in rovina, dove trovò molti fuggitivi pronti a seguirlo ovunque andasse e desiderosi di obbedire a ogni suo comando. I preparativi per la partenza furono rapidamente completati, le vele furono spiegate e il piccolo gruppo di esuli perse presto di vista le coste di Troia.
Piangendo ho lasciato il porto, la riva,
le pianure dove prima sorgeva Ilio,
e senza fissa dimora mi allontano dalla terraferma,
Figlio, amici e dei della patria al mio seguito”.Virgilio, Eneide, III
Arrivo in Tracia
Sebbene fossero sfuggiti alle fiamme di Troia ormai ridotta in cenere e alle spade dei Greci, le prove per Enea e i suoi erano appena iniziate. Dopo molti giorni di navigazione, sbarcarono in Tracia, esplorarono il paese, e decisero di stabilirvisi, cominciando a tracciare le fondamenta di una nuova città, che decisero di chiamare Eneade, in onore del loro capo.
La loro successiva preoccupazione fu quella di offrire un sacrificio agli dei; ma quando Enea, con le dovute cerimonie, tagliò un ramoscello, fu sorpreso nel vedere il sangue sgorgare dal fusto reciso. Nello stesso momento si udì una voce misteriosa che gli intimava di non farlo, perché il suo vecchio amico Polidoro, inviato in Tracia per nascondere alcuni tesori, era stato ucciso lì da un re avaro, e questo boschetto di alberi era germogliato dalle punte di lancia conficcati nel suo infelice petto.
Delo e Creta
Dopo aver celebrato i consueti riti funebri per placare l’anima del suo sfortunato amico, Enea convinse facilmente i suoi seguaci a lasciare quelle coste inospitali e a cercare un altro luogo di riposo. Essi remarono sopra le onde fino a giungere a Delo, dove si fermarono per consultare l’oracolo, che li invitò a cercare la culla della loro stirpe e a stabilirsi lì.
“Cuori dardani, il regno della terra
dove nacque la vostra nazione,
quel regno ora vi riaccoglierà:
Andate, cercate le tracce della vostra antica madre.
Lì la casa di Enea, rinnovata
per secoli, regnerà su un mondo sottomesso”.Virgilio, Enedide III
Questo oscuro comando li lasciò incerti sulla rotta da seguire, finché l’anziano Anchise si ricordò che uno dei suoi antenati, Teucro, aveva regnato a Creta. Vi salparono e sperarono di stabilirvisi, ma una terribile pestilenza si abbatté su di loro e decimò le loro già esigue schiere.
La visione di Enea
Una notte Enea ebbe una visione in cui gli dèi della sua casa lo esortavano a cercare le coste dell’Italia o dell’Esperia; e quando, al risveglio, comunicò questo consiglio ad Anchise, quest’ultimo si ricordò di una profezia di Cassandra, da tempo dimenticata, in cui si diceva che si sarebbero stabiliti lì e che Dardano, il loro primo progenitore, sarebbe venuto proprio da quella regione.
“C’è una terra, presso la Grecia di un tempo
chiamata Esperia, fertile e ricca,
i suoi figli coraggiosi e liberi:
I notri sono stati i suoi coloni: la fama
ora dà alla stirpe il nome del suo capo,
e la chiama Italia.
Qui nacque Dardano, il nostro re,
e il vecchio Iasio, da cui proveniamo:
Qui la nostra sede autentica”.Virgilio, Eneide, III
Celeno, l’Arpia
Dopo molti giorni, Enea e i suoi fidati seguaci si ritrovarono di nuovo a galla, costretti a combattere contro le feroci tempeste inviate da Giunone per ostacolare la loro avanzata.
Esausti, approdarono alle isole Strofadi, dove si proposero di recuperare le forze con un lauto pasto; ma non appena la tavola fu imbandita, le carni furono divorate e distrutte dalle ripugnanti Arpie. Una terribile profezia pronunciata da Celeno, uno di questi mostri, metà donna e metà uccello, li spinse a imbarcarsi di nuovo in gran fretta e a remare fino all’Epiro, dove sbarcarono di nuovo.
In questo paese incontrarono la dolente Andromaca, vedova di Ettore, schiava del re Eleno, che li intrattenne degnamente e li rimise in viaggio, con molti ammonimenti a guardarsi dai Ciclopi e a evitare Scilla e Cariddi circumnavigando l’intera isola di Sicilia.
Salvataggio di Achemenide
Questo consiglio fu seguito da Enea che, mentre girava intorno a uno dei promontori dell’isola, vide e salvò Achemenide, uno dei compagni di Ulisse, lasciato accidentalmente indietro quando erano sfuggiti alla furia di Polifemo, il ciclope. Questo gigante scese a riva e fu visto con orrore dai Troiani, nascosti alla sua vista, che si allontanarono in fretta e furia.
Poco dopo, Enea ormeggiò le sue navi nei porti di Sicania e Drepanum, e mentre si trovava lì perse l’anziano padre Anchise.
Lì Perdo il mio sostegno
E ogni cosa cara,
Il mio sire Anchise!.Virgilio, Eneide, III
Giunone, nel frattempo, non era stata con le mani in mano e gongolava per i pericoli che aveva fatto correre agli infelici Troiani durante i sette anni trascorsi da quando erano salpati da Troia. Tuttavia, non si era ancora stancata di perseguitarli e, non appena li vide di nuovo a galla, si precipitò da Eolo e gli ordinò di liberare i suoi figli più feroci e di disperdere la flotta con una terribile tempesta.
O Eolo, da quando il Sire di tutti
ha fatto sì che il vento obbedisse al tuo richiamo
per sollevare o posare la schiuma.
Una razza che odio ora solca il mare,
trasportando Troia in Italia e gli dèi della patria
che sono stati privati della loro casa:
Sferza i tuoi venti, le loro navi affonderanno,
o gettale in balia delle onde del mare.Virgilio, Eneide, I
La tempesta
La richiesta fu immediatamente accolta. Le navi, sballottate di qua e di là, si persero di vista. Alcune si arenarono, altre affondarono, ma la tempesta continuava a infuriare senza sosta e la morte guardava in faccia agli infelici Troiani.
L’agitazione degli abissi destò infine Nettuno, che giunse in superficie giusto in tempo per vedere tutte le disgrazie che avevano travolto Enea. Egli allontanò imperiosamente i venti e diede una mano a far riprendere il largo alle navi arenate. Così gridò Nettuno al vento, suddito di Eolo:
Torna subito dal tuo padrone e fuggi!
E digli, che non a lui ma a me
Il tridente imperiale del mare
è caduto in premio della sorte!Virgilio, Eneide, I
I Troiani, grati per il suo tempestivo aiuto e rassicurati dalla calma che ora regnava sovrana, si diressero verso il porto più vicino, dove ancorarono le loro sette navi, tutto ciò che rimaneva della loro flotta un tempo numerosa.
Arrivo in Libia
Enea e Acate, suo fedele amico, si misero subito in viaggio per osservare il territorio e in breve tempo incontrarono Venere, travestita da mortale, che li informò di essere approdati sulla costa libica, che era sotto il dominio di Didone, fuggita da Tiro. Il marito di Didone, Sicheo, re di Tiro, possessore di ricchezze incalcolabili, era stato assassinato da Pigmalione, suo cognato; ma la regina era rimasta completamente all’oscuro di questo crimine, finché non fu visitata in sogno dall’ombra di Sicheo, che le intimò di fuggire con i suoi tesori, di cui solo lei conosceva il nascondiglio.
Didone obbedì agli ordini del fantasma e, accompagnata da un certo numero di fedeli sudditi, sbarcò sulla costa libica, dove pregò gli abitanti di venderle tanta terra quanta ne poteva contenere una pelle di bue.
Questa richiesta, apparentemente modesta, fu subito esaudita; ma i libici si pentirono di averla accontentata quando videro la pelle di bue tagliata in piccole strisce, che racchiudevano un considerevole tratto di terra: il sito della bella capitale di Didone, Cartagine.
Didone ed Enea
Venere consigliò al figlio di andare a chiedere la protezione della regina. Enea e Acate si affrettarono obbedienti ed entrarono in città senza essere visti, perché Venere li aveva avvolti in una nebbia. La loro attenzione fu dapprima attratta dall’aspetto festoso della gente riunita e dalla bellezza della regina, che dava udienza ad alcuni dei loro compagni, miracolosamente scampati alle onde.
Questi uomini parlarono alla regina del loro rinomato capo, la cui fama era già giunta alle sue orecchie; ed ella promise volentieri di inviare una squadra di ricerca per ritrovarlo e aiutarlo se necessario:
Manderò qualcuno
a perlustrare la costa da un capo all’altro,
Nel caso egli, vagando su e giù,
si sia fermato presso un bosco o in una città.Virgilio, Eneide, I
A queste gentili parole, Enea si fece avanti, la nebbia svanì ed egli si presentò alla regina in tutta la sua virile bellezza. Enea si presenta dichiarandosi “trojus Aeneas” , cioè “l’Enea il troiano”. Specifica anche “Lybicis ereptus ab undis” : “strappato alle onde libiche”. Ringrazia subito Didone perché ha avuto pietà della terribile sorte dei Troiani.
Didone condusse quindi i suoi ospiti nella sala del banchetto, dove raccontarono le loro avventure per terra e per mare, gustando le vivande e i vini che venivano loro offerti. Durante la cena, Cupido, su richiesta di Venere, assunse il volto e le sembianze di Iulo, il giovane figlio di Enea, e, reclinandosi sul petto della regina, le conficcò segretamente uno dei suoi dardi nel cuore, facendola innamorare di Enea.
La regina, da parte sua, per tutta quella sera soffrì
con il desiderio che il sangue del suo cuore alimentava,
una ferita o un fuoco interiore che la divorava.Virgilio, Eneide, IV
Enea e Didone amanti in una grotta
La regina Didone dunque si innamora di Enea e viene convinta dalla sorella Anna a rivelare i suoi sentimenti al principe troiano.
Conosco i segni dell’antica fiamma.
Agnosco veteris vestigia flammae.
Virgilio, Eneide, IV
All’alba, viene organizzata una caccia grandiosa; i Cartaginesi più nobili scortano la loro regina sontuosamente abbigliata, mentre i Frigi e Iulo accompagnano Enea, che sembra Apollo in persona.
Durante il piacevole svolgimento della caccia, molto emozionante per il giovane Ascanio, si scatena una tempesta che costringe tutti i partecipanti a cercare riparo in ogni direzione.
Didone ed Enea si rifugiano nella stessa grotta; e alla presenza di Tellus e Giunone… viene celebrato un finto matrimonio, al quale Didone aderisce senza alcuna riserva, ignara della sventura che l’attende.
Il quel momento, un intenso rombo iniziò a risuonare nel cielo,
un forte boato, poi una nuvola, mista a grandine.La scorta di Tiro, i giovani troiani e nipoti dardani di Venere,
sopraffatti dalla paura, cercano riparo ovunque
suii campi i torrenti si riversano dalle montagne.Didone e il capo dei Troiani si rifugiano nella stessa grotta.
Tellus per primo, e Giunone che presiede agli Imenei, danno il segnale;
Il fulmine e l’etere, complici, brillare
Questo giorno fu il primo a causare la morte di Didone e le sue disgrazie.Lo chiamò matrimonio,
usando questa parola per nascondere il suo senso di colpa.Virgilio, Eneide, IV
(La simbologia è fin troppo chiara: pioggia che si riversa sulla terra che l’accoglie in grembo, Tellus dio maschile del suolo, che sconvolge con i suoi sconquassi e Giunone, detta appunto Pronuba, cioé colei che presiede alle unioni. Il fulmine, altro simbolo di potenza virile e l’etere, lo spazio vuoto…si usano accenni, metafore, si parla di matrimonio e gli si dà l’aspetto di un rituale. Ma Enea e Didone fondamentalmente in quella grotta fanno l’amore. Galeotti furono Tellus, Giunione e Virgilio che quei versi scrisse)
Enea alla corte di Didone
I Giorni seguivano i giorni, trascorsi tra i dolci discorsi, i baci, i fiori e le primizie dell’amore, e ancora Enea si perdeva tra le braccia di Didone, nel suo letto regale, dimentico del nuovo regno che era destinato a fondare. Trascorse così un anno intero e gli dèi, impazienti per questo ritardo, mandarono infine Mercurio a ricordare a Enea il suo dovere.
Per evitare le lacrime e le recriminazioni di Didone, l’eroe mantenne il segreto sui preparativi per la partenza e infine egli salpò mentre lei era avvolta nel sonno. Quando si svegliò e si affacciò alla finestra del suo palazzo, fu solo per vedere la nave dell’uomo amato scomparire sotto l’orizzonte.
Morte di Didone
Nascondendo il suo dolore e fingendo un’ira che non provava, ordinò ai suoi servi di preparare una pira funeraria e di mettervi sopra tutti gli oggetti che Enea aveva usato durante il suo soggiorno nel suo palazzo; poi, in cima a tutto, pose un’effigie del suo falso amante, diede fuoco alla pira, si gettò in mezzo alle fiamme e lì si trafisse.
Eppure lasciatemi morire: così, così me ne vado
esultando verso le ombre degli inferi.
Che il falso Dardano senta la fiamma
che mi bruciava lacrimando al suo sguardo,
e che porti con sé, per rallegrare il suo cammino,
il funebre presagio di oggi.Virgilio
Dall’albero della sua nave Enea vide la colonna di fumo che si alzava e il suo cuore sprofondò dentro di sé, poiché egli dall’albero della sua nave Enea vide la colonna di fumo che si alzava e il cuore gli sprofondò nel petto, perché sospettava il sua gesto fatale e piangeva sinceramente la morte della bella regina.
Giochi funebri
I Troiani proseguirono la navigazione fino a quando le nubi minacciose li indussero a rifugiarsi nel porto di Sicania, dove celebrarono i consueti giochi per commemorare la morte di Anchise, avvenuta lì appena un anno prima.
Mentre gli uomini erano impegnati nelle consuete gare navali, a piedi e a cavallo, nel pugilato, nella lotta e nel tiro con l’arco, le donne si riunirono e, istigate da Giunone, iniziarono a lamentarsi della dura sorte che le costringeva a incontrare nuovamente i pericoli del mare.
Il loro malcontento raggiunse infine un tale livello che diedero fuoco alle navi. Quando Enea venne a sapere di questa nuova disgrazia, si precipitò a riva, si strappò le sue preziose vesti sa cerimonia e gridò al cielo di aiutarlo nel momento del più grave bisogno.
Temibile sire, se la terra di Ilio è così triste
ma non merita ancora il tuo odio totale,
se fedele rimani alla tua antica missione
di prestare soccorso ai mortali in difficoltà,
Oh, che la flotta sfugga alle fiamme!
Oh, salva dalla morte il nome morente di Troia!Virgilio, Eneide, IV
Apparizione di Anchise
Questa preghiera fu immediatamente esaudita da un’improvvisa e violenta pioggia, che spense le fiamme che stavano ormai divorando le navi. Poco dopo questo miracolo, Anchise apparve ad Enea e gli ordinò di lasciare le donne, i bambini e gli anziani in Sicilia e di recarsi a Cuma, dove avrebbe consultato la Sibilla, visitato le regioni infernali e lì avrebbe ricevuto ulteriori consigli da lui.
Prima di cercare le sale di Dite qui sottoterra,
passa la profonda valle dell’Averno e incontra
Tuo padre nel suo rifugio”.Virgilio, Eneide, IV
Enea obbedì doverosamente; ma quando Venere lo vide di nuovo pronto a prendere il mare, si precipitò da Nettuno e gli chiese di vegliare sul suo sfortunato figlio. Nettuno ascoltò molto benevolmente il suo appello e promise di proteggere Enea. Ma il prezzo del viaggio sarà caro: gli dei si prenderanno comunque una vita. È il sacrificio imposto da Nettuno.
Nella notte, il dio Sonno assume le sembianze di Forbante, compagno di Enea. Può così avvicinarsi a Palinuro, il pilota della nave. Si offre di sostituirlo al timone. Palinuro rifiuta. Il sonno però lo addormenta e lo getta in acqua al largo delle coste lucane. Enea scopre improvvisamente la scomparsa del suo amico e si rattrista, rendendosi conto che gli dei lo hanno sacrificato. Quindi prende il controllo della nave.
La Sibilla Cumana
La flotta raggiunse la costa cumana in sicurezza; Enea si affrettò a raggiungere la grotta della Sibilla, le manifestò il suo desiderio di visitare l’Ade e la pregò di fargli da guida in quel pericoloso viaggio. Ella acconsentì, ma allo stesso tempo lo informò che doveva prima procurarsi un ramoscello d’oro, che cresceva in una foresta oscura.
Nessuno può raggiungere le ombre senza
Il lasciapassare di quel germoglio d’oro.Virgilio, Eneide, VI
La Sibilla rivelò ad Enea che doveva anche trovare il corpo di uno dei suoi amici scomparsi. Enea ei suoi amici organizzarono dunque una ricerca e scoprirono il corpo senza vita di Miseno.
Quasi disperato, Enea pregava ora l’aiutato dei numi, perché come avrebbe potuto trovare un piccolo ramoscello d’oro in mezzo al fitto fogliame della foresta senza l’aiuto degli dei? In risposta a questo appello, Venere, sempre attenta al figlio, mandò due delle sue colombe nivee a fare da guida e a posarsi sull’albero, dove Enea trovò subito l’oggetto della sua ricerca.
Armati di questo ramo come fosse una chiave d’accesso, lui e la Sibilla entrarono audacemente nelle Regioni Inferiori, dove videro spettacoli e udirono terribili suoni da ogni parte. Caronte li traghettò rapidamente oltre l’Acheronte, sulla cui riva videro l’ombra errante di Palinuro, che non aveva un obolo per pagarsi il passaggio, e quella di Didone, con una ferita aperta nel petto. Enea cerca di dire qualcosa alla regina, ma essa si allontana. Ha ritrovato suo marito nell’Ade e sembra non riconoscere Enea.
Non si fermarono, tuttavia, finché non raggiunsero i Campi Elisi, dove trovarono Anchise che teneva in alto onore, tra le anime non ancora nate, quelle destinate ad animare la sua razza e a renderla illustre in futuro. Li indicò con cura a Enea, predicendo le loro future conquiste, e chiamò per nome Romolo, Bruto, Camillo, i Gracchi, Cesare, e tutti gli eroi della storia romana”.
Arrivo nel Lazio
Dopo un lungo colloquio con il padre, Enea tornò dai suoi compagni e li condusse alla foce del Tevere, di cui seguirono il corso fino a raggiungere il Lazio, dove le loro peregrinazioni dovevano cessare.
Mentre Enea, Iulo ei suoi compagni si preparano a consumare un pasto, scoprono di essere così affamati che mangiano persino le mense, piatti di focaccia dura, su cui ponevano il cibo. La profezia delle arpie si è avverata: esse infatti avevano annunciato ad Enea che quando egli sarebbe arrivato nelle nuove terre avrebbe mangiato appunto perfino le mense. Enea capisce di aver trovato la terra tanto agognata. La saluta: Salve fatis mihi debita tellus (“Salve, terra che il destino mi doveva.”). Decide di andare alla scoperta del luogo.
I dintorni sono occupati dai latini. Enea invia ambasciatori a riferire al palazzo del re. Sono accolti da Latino, re dei Latini, figlio di Fauno, discendente del dio Saturno. Latino li riconosce come Dardanidi. I Troiani gli fanno doni in nome di Enea. Latino poi ripensa all’oracolo di Fauno che gli aveva predetto un genero straniero. Latino accetta i doni e invita Enea a incontrarlo e gli promette la mano di sua figlia Lavinia.
Lavinia era molto bella e aveva già avuto molti pretendenti, tra i quali Turno, un principe vicino, che vantava il rango più elevato. La regina Amata favorì in modo particolare la candidatura di questo giovane e il re lo avrebbe accolto volentieri come genero, se non fosse stato avvertito due volte dagli dèi di riservare la figlia a un principe straniero, che ora era apparso.
Nonostante gli anni trascorsi da quando Paride aveva rifiutato le sue attrattive e le sue promesse, Giunone non aveva ancora spento il suo odio per la razza troiana e, temendo che il percorso del suo nemico si rivelasse troppo agevole, inviò Aletto, la Furia, sulla terra per fomentare la guerra e spingere Amata alla follia. La Furia eseguì entrambi gli ordini e Amata fuggì nei boschi, dove nascose la figlia Lavinia, per tenerla al sicuro per Turno, che preferiva a Enea.
Guerra con i Latini
Poiché Iulo e alcuni compagni avevano sfortunatamente ferito la cerva di Silvia, figlia del capo pastore, si scatenò una rissa che, fomentata da Aletto, si trasformò presto in una guerra sanguinosa.
Una notte Tiberino, un vecchio, apparve in sogno ad Enea. Prevede che l’apparizione di una scrofa bianca e dei suoi maialini segnerà la posizione della futura Albalonga, una città che sarà fondata dal figlio Ascanio.
Al suo risveglio, Enea parte per recarsi da Evandro, un nativo di Argo che era, ani prima sbarcato sulle coste tirreniche del Lazio e vi aveva fondato una città. Lungo la strada, l’eroe scopre una scrofa bianca e i suoi piccoli. La previsione si è avverata: Enea ha scoperto l’ubicazione della futura Alba.
Evandro lo accoglie con favore, gli assicura il suo sostegno e lo invita a recarsi, insieme a suo figlio Pallante, a Cerveteri dagli Etruschi, dai quali Enea ottiene sostegno contro i Rutuli.
Essendo così iniziate le ostilità, Turno, con i vari capi latini, chiese immediatamente a Latino di aprire le porte del tempio di Giano. Questi si rifiutò; ma Giunone, temendo che anche ora i suoi piani potessero essere vanificati, scese dall’Olimpo e con la sua stessa mano spalancò le porte di bronzo. Questa inaspettata apparizione accese l’ardore generale; nuove truppe si arruolarono e persino Camilla, la fanciulla guerriera volsca, venne a offrire il suo aiuto a Turno.
L’ultima marcia per il bene del Lazio
Camilla, la bella fanciulla volsca,
al suo seguito un drappello di cavalieri
in un fasto di acciaio scintillante;
Regina guerriera severa!”.Virgilio, Eneide, VII
Storia di Camilla
Quando era ancora una bambina, Camilla era stata portata via dal padre, che fuggiva davanti alle truppe volsche. Quando giunse al fiume Amaseno, trovò gli inseguitori alle sue calcagna.
Legando la figlia neonata alla lancia, la scagliò sulla riva opposta che, grazie all’aiuto di Diana, raggiunse incolume, mentre il padre si tuffava nelle onde per raggiungerla. Nella sua gratitudine per averla trovata sana e salva, la dedicò a Diana, che la educò all’amore per la caccia e per tutte le attività virili.
Sorpreso dal fatto che le amichevoli offerte di ospitalità di Latino fossero state ritirate così all’improvviso, Enea fece rapidi preparativi per la guerra e navigò più a monte del Tevere per assicurarsi l’aiuto di Evandro, re dei Toscani, nemico ereditario dei Latini. Questo monarca, troppo vecchio per guidare le sue truppe di persona, promise comunque il suo aiuto e inviò l’amato figlio Pallante al suo posto per comandare le truppe che forniva.
Eurialo e Niso
Giunone, ancora implacabile, aveva nel frattempo inviato Iride per informare Turno della partenza di Enea e per esortarlo ad appiccare il fuoco al resto della flotta, suggerimento che Turno accolse con gioia. I Troiani, guidati dal giovane Iulo, figlio di Enea, si difesero con il consueto coraggio; ma, vedendo che il nemico li avrebbe presto sopraffatti, inviarono Eurialo e Niso , due dei loro, ad avvertire Enea del pericolo e a pregarlo di affrettarsi con i suoi rinforzi.
Questi sfortunati giovani attraversarono l’accampamento senza essere visti, ma più avanti caddero nelle mani di un drappello di cavalieri volsci, che li misero crudelmente a morte e poi si affrettarono con i Rutuli a prestare soccorso a Turno. In seguito, alcune navi troiane vennero incendiate dal nemico; ma, invece di essere consumate dalle fiamme, furono trasformate in ninfe dell’acqua dall’intervento degli dèi e, navigando lungo il Tevere, incontrarono Enea e lo avvisarono di affrettarsi a soccorrere il figlio.
Le sue navi cambiano veste,
e tutte come nereidi si alzano.Virgilio, Eneide, IX
L’armatura
Nel frattempo Venere, amica dei Troiani, aveva cercato la detestata dimora di Vulcano e lo aveva convinto a forgiare una bella armatura per Enea. Sullo scudo, descritto minuziosamente in uno dei libri del celebre poema epico di Virgilio, l’Eneide, erano raffigurate molte delle scene emozionanti della vita dei futuri discendenti di Enea, gli eroi della storia romana. Non appena l’armatura fu completata, Venere la portò al figlio, che la indossò con visibile piacere e, incoraggiato dalle parole della madre, si preparò ad affrontare i Latini e a tenergli testa.
Venere e Giunone non erano le uniche divinità interessate all’imminente lotta; tutti gli dei, infatti, avendo osservato la carriera di Enea, erano in ansia per la sua sorte. Vedendo ciò, e temendo che la loro interferenza potesse mettere ulteriormente in pericolo l’eroe da lui prediletto, Giove riunì gli dèi sull’Olimpo e proibì loro severamente di prendere parte attiva alla lotta imminente, pena il suo severo disappunto.
L’arrivo di Enea
Enea e i suoi alleati toscani arrivarono sul luogo della battaglia giusto in tempo per dare il sostegno necessario ai Troiani quasi esausti; a questo punto la lotta infuriava più ferocemente che mai e si compivano prodigi di valore da entrambe le parti, finché alla fine il giovane Pallante cadde, ucciso da Turno.
Alla notizia della morte di questo giovane e promettente principe, il cuore di Enea si riempì di dolore, perché poteva immaginare il dolore dell’anziano Evandro quando avrete visto il cadavere del figlio portato a casa per la sepoltura; e allora fece voto solenne di vendicare la morte di Pallante uccidendo Turno, e subito si affrettò a mantenere la parola data.
Il tradimento di Giunone
Nel frattempo Giunone, sospettando quale sarebbe stato il suo scopo e temendo che Turno si scontrasse con un antagonista così temibile come Enea, aveva deciso di attirare il suo favorito lontano dal campo.
Per farlo, assunse le sembianze di Enea stesso, sfidò Turno e, non appena questi iniziò il combattimento, fuggì verso il fiume e si rifugiò su una delle navi, inseguita da vicino da lui. Non appena vide il capo dei Rutuli al sicuro a bordo, sciolse la nave dai suoi ormeggi e la lasciò andare alla deriva lungo la corrente, portando Turno lontano dal luogo della battaglia.
Consapevole dell’inganno subito, Turno inveì e accusò gli dèi, poi cercò con impazienza un’occasione per sbarcare e tornare, da solo e a piedi, sul luogo del conflitto.
La prodezza di Enea
Durante l’assenza involontaria di Turno, Enea aveva percorso tutto il campo di battaglia alla sua ricerca e aveva incontrato e ucciso molti guerrieri, tra cui Lauso e il suo anziano padre Mezenzio, due alleati di Latino, che si erano particolarmente distinti per il loro grande valore.
I morti e i moribondi ricoprivano ormai il campo, quando Latino, stanco dello spargimento di sangue, convocò un consiglio e cercò di nuovo invano di stipulare una pace. Ma i suoi sforzi furono inutili.
La guerra riprese più ferocemente che mai e, nello scontro successivo, Camilla, la coraggiosa fanciulla volsca, cadde infine, lanciando una fervente invocazione a Turno affinché si affrettasse a soccorrere il suo popolo disperato, se non voleva vederli tutti uccisi e la città in mano ai Troiani.
“Va’: l’ultimo incarico che ho dato a Turno
è di affrettarsi a soccorrere il suo popolo disperato,
di incalzare e respingere
I Troiani dalla città. Addio!Virgilio, Eneide, XI
Morte di Turno
Enea, riapparso sul campo di battaglia, si imbatté finalmente nel tanto ricercato Turno, che era tornato indietro e ora stava viaggiando sul suo carro, gelosamente sorvegliato dalla sorella Giuturna, che, per meglio vegliare sulla sua sicurezza, aveva preso il posto del suo cocchiere.
I due eroi, imbattutisi l’uno nell’altro, si scontrarono immediatamente in un combattimento mortale; ma, nonostante il coraggio di Turno, questi fu infine costretto a soccombere, e si accasciò a terra, riconoscendosi francamente sconfitto mentre esalava l’ultimo sospiro
Vostra è la vittoria: le tribù degli Ausoni
mi hanno ormai visto tendere le mani imploranti:
La sposa Lavinia è tua, pietà ti chiedo
Così si spenga l’odio del nemico.Virgilio, Eneide, XII
Progenie di Enea
Con la morte di Turno la guerra ebbe fine. Fu stipulata una pace duratura con Latino e il coraggioso eroe troiano, le cui pene erano ormai finite, si unì in matrimonio con Lavinia. Di concerto con Latino, governò i Latini e fondò una città, che chiamò Lavinia in onore della sua sposa e che divenne per un certo periodo la capitale del Lazio.
Come gli dei avevano previsto, il figlio di Enea Ascanio o Iulo, fondò Alba Longa, dove i suoi discendenti regnarono per molti anni e dove una della sua stirpe, la Vestale Rea Silvia, dopo essersi unita a Marte, diede alla luce Romolo e Remo, i fondatori di Roma.
(Libera traduzione da H. A. Guerber. Myths of Greece and Rome, 1893, con aggiunte e integrazioni)