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La guerra sociale, guerra alleata o guerra marsica, fu un conflitto armato che ebbe luogo tra il 90 e l’88 a.C. C., in Italia, tra la Repubblica Romana (Roma e le altre città italiche dotate di cittadinanza romana) e gli altri suoi alleati italici (socii) ancora privi di cittadinanza, insoddisfatti di non aver ancora ricevuto la cittadinanza romana, nonostante il loro fondamentale contributo nel conquista delle province repubblicane, essendo tutti loro i soldati che sono membri dell’alae sociorum.
Il carattere di Silla
Lucio Cornelio Silla di illustre stirpe patrizia ma di famiglia caduta in povertà, fu uno dei caratteri più singolari di tutta la storia antica. Dotato di grande capacità militare e politica, conoscitore dei propri tempi e senza scrupoli nel procurarsi i mezzi per conseguire i suoi fini, ambizioso, crudele incostante e appassionato nell’amore come nell’odio, fu detto l’uomo favorito dalla fortuna, ed ebbe il soprannome di Felice (Felix).
Non aveva un aspetto attraente, anche nella fisionomia del volto, con i capelli rossi e con la faccia chiazzata. Nella sua giovinezza frequentò spesso gente equivoca, come istrioni mimi e ballerini, e nessuno avrebbe detto di lui che in futuro sarebbe diventato il padrone e il riformatore della repubblica; benché uomo coltissimo, fine conoscitore della letteratura greca ed egli stesso scrittore accurato ed elegante.
Il primo conflitto con Mario
Primipilus e aquilifero dell’esercito romano. Foto: Legio X Fretensis, i.pinimg.com
Compare sulla scena politica come questore di Mario nella guerra numidica ed è il protagonista principale nel tradimento che diede Giugurta in mano ai Romani, quindi come suo luogotenente nella guerra cimbrica in Provenza e poi di Lutazio Catulo in Italia contro quegli stessi barbari. Ma dove si distinse maggiormente, fu nella guerra sociale per cui fu eletto console e destinato alla guerra mitridatica. Mentre si preparava a partire con l’esercito proprio per questo conflitto, fu richiamato a Roma da dei moti popolari scatenati dal vecchio Mario e dal tribuno Sulpizio Rufo, divenuti i veri padroni di Roma, nel corso dei quali il popolo aveva nel frattempo tolto a Silla ed affidato a Mario il comando supremo della spedizione contro Mitridate. Silla, resosi conto di essere in pericolo di vita, non tardò a ritornare a Roma alla testa dell’esercito che avrebbe dovuto condurre in Oriente. Vi entrò con le armi alla mano, disperdendo con una vera e propria battaglia entro le mura i partigiani di Mario, il quale si salvò solo con la fuga.
Silla padrone di Roma
Silla, divenuto arbitro e signore di Roma, cominciò a regolare i conti con i suoi nemici, procedendo tuttavia con moderazione. Nel riformare il governo con indirizzo favorevole all’aristocrazia romana, di cui era il vero capo, non dimenticò del tutto gli interessi economici dei poveri e dei proletari.
Fuga di Mario
Mario e Sulpizio con altri dieci altri, furono proscritti; il primo, ormai settantenne, si vide nella necessità di fuggire a piedi e senza seguito, davanti a coloro che lo incalzavano, ormai già dichiarato nemico della patria.
Mario, dopo aver errato per qualche tempo in mezzo a cento pericoli e dopo esser stato più volte vicino nel rischio di cadere in mano ai nemici, andò a nascondersi nelle paludi di Minturno, dove rimase una notte intera in mezzo ad un pantano, immersovi fino alla collo. Il giorno dopo, si incamminò verso il mare, sperando di trovarvi qualche nave con la quale fuggire. Ma fu sorpreso, riconosciuto e condotto in prigionia di nuovo a Minturno, con una corda al collo. Qui fu spogliato dei suoi abiti e ancora coperto di fango, venne messo in prigione.
Il governatore della città per non disobbedire agli ordini del Senato, mandò uno schiavo cimbro perché uccidesse Mario. Ma non appena lo schiavo entrò nel carcere, rimase atterrito dall’aspetto feroce del vecchio condottiero, il quale con voce terribile gli gridò “Oseresti tu dunque uccidere Caio Mario?” A queste parole il Cimbro non osò rispondere; gettò la spada e uscì gridando che non gli era possibile assassinare il grande Mario.
Il governatore vide in questo terrore del soldato un presagio del fatto che Mario sarebbe tornato all’antica potenza: dunque non solo lo lasciò libero, ma gli fornì anche un vascello affinché potesse rifugiarsi fuori dall’Italia.
Mario in Sicilia e in Africa
Una furiosa tempesta fece però naufragare Mario sulle spiagge della Sicilia, dove un questore romano tentò di arrestarlo. Approdò quindi in Africa vicino a Cartagine; colmo di tristezza si sedette sulle rovine di quella desolata città, un tempo così fiorente. Da qui dovette però prontamente allontanarsi ed andare esule in varie terre, sempre braccato e sempre in pericolo di vita, finché gli eventi non lo ricondussero a Roma e gli restituirono l’antica potenza, il che avvenne durante l’assenza di Silla, partito con l’esercito dall’Italia per muovere guerra a Mitridate.
Mitridate
Mitridate re del Ponto fu il primo nemico veramente pericoloso che abbia avuto Roma in Oriente. La storia gli diede il nome di Grande e nella tradizione viene rappresentato come un uomo di grandi meriti per un principe barbaro.
Discendente dalla reale famiglia di Dario d’Istaspe e proclamato re a undici anni, ebbe una giovinezza travagliata, esposta alle insidie dei suoi stessi parenti, per sottrarsi alle quali dicono avesse vagato per sette anni in ogni parte del vasto suo regno, abituando progressivamente il suo corpo ai veleni e creando egli stesso parecchi antidoti.
Dotato di grande valore personale, di statura imponente e di grande forza, provetto cavaliere, abilissimo come auriga, cacciatore coraggioso e veloce corridore. Parlava fluentemente tutte le lingue dei popoli del suo regno, senza aiuto di interprete ed era un grande conoscitore della cultura greca, cosa della quale si serviva per accattivarsi i numerosi Greci dell’Asia minore e del Ponto Eusino.
Ma nei fatti, egli non era che un sultano orientale nel pieno senso della parola: crudele non tanto per indole, quanto per calcolo e per ambizione, dissimulatore e simulatore profondo, pieno di sospetti, perfido, senza fede e senza convinzioni, dominato per giunta da una fortissima superstizione.
Odio per Roma
Nemico naturale di Roma, di cui era alleato e quasi vassallo, si adoperò con ogni mezzo e in segreto, a preparare armi ed eserciti per combattere l’Urbe, ampliando contemporaneamente il suo regno in Asia ed in Europa, senza che il senato romano si desse pensiero di lui, troppo occupato nella guerra cimbrica, nella guerra sociale e dai moti interni di Roma.
La guerra mitridatica (89 a.C. – anno 666 dalla fondazione di Roma)
Mitridate interferì spesso negli affari della Bitinia, contro il re Nicomede III, nonostante i generali di Roma avessero interdetto proprio a Mitridate di fargli guerra per qualunque motivo. Quest’ultimo invece aprì le ostilità contro i Romani e in meno di un anno già si era impadronito dell’Asia minore fino al Meandro, come anche di altre poche terre fortificate oltre.
Strage degli italici
Accecato dalle vittorie, regnò da vero tiranno, ordinando ai governatori dell’Asia minore, da lui occupata, di sterminare inesorabilmente tutti gli Italici che vi si trovavano senza distinzione di sesso ed età; cosicché 80 mila, secondo altri 150 mila, di quegli sventurati, furono trucidati in un giorno solo. Le flotte di Mitridate dominavano il Ponto Eusino e l’Egeo, mentre i suoi eserciti passavano in Grecia che riconosceva la sua autorità, tranne alcune province.
Fine della Prima guerra mitridatica
Finalmente Roma aprì gli occhi e mandò a combattere contro il re del Ponto, Lucio Cornelio Silla, il quale quasi privo di fondi per pagare i soldati e senza flotta, vinse comunque l’esercito di Mitridate tre volte più numeroso del suo, in due grandi battaglie. Quindi prese e saccheggiò Atene e inseguì il re in Asia, che, spaventato dai successi di Silla, mandò un’ambasciata a presentargli proposte di pace. Il generale romano gli concesse la tregua, a condizione che rimettesse le cose a posto in Asia minore, cioè nello stato in cui erano prima della guerra. Silla pretese da Mitridate anche la consegna di tutta la sua flotta e il pagamento di una grossa somma di denaro. Gli premeva infatti tornare in Italia per risollevare la sua fazione, rovesciata dal partito popolare.
Mario di nuovo padrone di Roma
Silla era appena partito dall’Italia con l’esercito, che intanto infiammava a Roma un nuovo moto popolare provocato e diretto da Cinna uno dei consoli di quell’anno.
Cinna
Uomo di origine ignota, distintosi nella guerra sociale, vendutosi al partito di Mario e portato al consolato dalla parte Mariana e dai malcontenti delle riforme di Silla.
Ma assalito e vinto dall’altro console sempre a Roma, nel corso di una strage che vide coinvolti ben 10.000 cittadini, scampato in qualche modo, si alleò con Sertorio e Carbone, due generali del partito di Mario e una volta richiamato Mario stesso dall’Africa, questi quattro generali della rivoluzione si diressero a Roma e la cinsero d’assedio. Pressata dalla fame e dalla peste la città dovette loro cedere.
Crudeltà di Mario
Mario rientrò allora a Roma seguito dalle sue guardie composte di schiavi e pastori. Animato dalla vendetta, fece mettere a morte tutti i suoi avversari, coinvolgendo in quella strage anche molti che non si erano mai apertamente mostrati come suoi nemici. I suoi stessi ufficiali non osavano più avvicinarsi a lui senza terrore.
Console per la settima volta
Vendicatosi in questo modo dei suoi nemici e annullate tutte le leggi promulgate dal suo rivale, si autoproclamò console per la settima volta insieme a Cinna.
Caio Mario in tre frasi
“Nel rumore della guerra non sento il richiamo delle leggi.”
(in risposta a coloro che lo rimproveravano per aver concesso la cittadinanza romana in segno di gratitudine per il suo aiuto ai mercenari barbari che lo servirono nella guerra gallica, violando di fatto il diritto romano).
“Odiato dai suoi nemici e temuto dai suoi amici.”
( L’epitaffio sulla tomba di Mario).
“Se sei un buon comandante tu, obbligami a combattere, anche se non voglio.”
Nota: in risposta a Silo, un generale italico, che gli aveva detto: “Mario, se sei un buon comandante, esci e combatti”.
Fonte: Adrian Goldsworthy, Grandi generali dell’esercito romano, capitolo 5.
Morte di Mario (86 a.C.)
Dato libero sfogo alla crudeltà e all’ambizione e sommersa di sangue quella patria che altre volte aveva salvata, morì il mese dopo, delirante nel proprio letto, per via di una febbre provocata dagli eccessi a tavola e non senza sospetto di avere egli medesimo accelerato la sua fine.
Moriva nel sommo degli onori non meno che della esecrazione: all’annuncio della sua morte, l’Italia di nuovo respirava, come quattordici anni prima, alla notizia delle sue vittorie sui Cimbri. Tanto era cambiata la condotta di Mario da quel tempo ed i sentimenti del popolo a suo riguardo.
Ma prima di morire aveva saldato i conti con l’aristocrazia romana e placato con molto sangue le ombre ancora invendicate dei Gracchi e di Livio Druso.
(Adattamento e riduzione da Manuale di storia romana, Luigi Schiaparelli · 1865)
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Lucio Cornelio Silla è il nuovo indiscusso padrone di Roma. Di origine patrizia, i suoi successi militari e diplomatici gli valsero l’ostilità del suo condottiero Mario. Dal 93 a.C. diventa capo del partito senatoriale e si oppone a Mario che è il capo del partito popolare. La guerra civile condotta dall’88 all’82 a.C. ha visto vincitore di Silla. Il nuovo dittatore massacra i sostenitori del suo ex leader. Dopo aver combattuto vittoriosamente in Oriente contro Mitridate, nominato dittatore perpetuo nell’anno 82 a.C. esercita un potere personale assoluto, accrescendo il ruolo del Senato e riducendo le capacità dei magistrati.