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Zeus invia un sogno ad Agamennone, esortandolo ad attaccare Troia. Agamennone dà ascolto al sogno ma prima decide di mettere alla prova il morale dell'esercito acheo, dichiarando loro di voler tornare a casa. Il piano fallisce e solo l'intervento di Ulisse, ispirato da Atena, interrompe una disfatta. Odisseo affronta e picchia Tersite, un soldato semplice che esprime malcontento per aver combattuto la guerra di Agamennone. Dopo aver consumato il loro pasto, gli Achei si schierano in compagnie nella pianura di Troia. Il poeta Omero coglie l'occasione per descrivere la provenienza di ogni contingente acheo.
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I troiani imbandalziti
Quando i Troiani seppero da una delle loro spie della defezione di Achille, furono incoraggiati dall’assenza di questo valoroso e intrepido condottiero, che temevano sopra tutti gli altri eroi greci; di conseguenza fecero una sortita oltre le mura, e attaccarono con mossa audace i Greci, i quali, sebbene difendessero la loro posizione con grande coraggio e ostinazione, furono, dopo numerose battaglie, scaramucce e scontri personali, completamente sconfitti e respinti nelle loro trincee vicino alle navi.
Finché il vecchio Caronte e il suo traghetto non diventarono un lungo necrologio, e la sua imbarcazione divenne così sovraffollata, da non poter quasi stare più a galla, e lo stesso Traghettatore degli Inferi alla fine protestò: se non volevano che lo Stige diventasse congestionato, era meglio fermare un momento la mischia, finché non avesse recuperato i caduti, e non si fosse trovata una sistemazione per tutte queste anime ancora sanguinanti, che altrimenti non avrebbero avuto un posto dove stare nei secoli.
Così, per dare a questo vecchio demone il tempo sufficiente per mettere in sicurezza la sua barca e adattare gli alloggi affollati dell’Ade alle dimensioni dell’improvvisa impennata di cadaveri, Greci e Troiani, come lui aveva richiesto, per un po’ desistettero.
Quando ripresero le ostilità I due grandi eserciti, si trovano schierati in battaglia nella pianura davanti alle mura della città. I Troiani si muovevano con gran fracasso, che Omero paragona al fragore di stormi di gru.
Paride sfida tutti a duello…anzi, no
Non appena i battaglioni furono abbastanza vicini l’uno all’altro, quasi di fronte, Paride si precipitò in avanti dalle linee troiane e sfidò i greci a inviare il loro guerriero più valoroso a combatterlo in un singolar tenzone. In apparenza era bello come un dio. Sulle spalle indossava una pelle di pantera. Le sue armi erano un arco, una spada e due lance con la punta di bronzo, che brandiva nelle sue mani. La sfida fu prontamente accolta da Menelao, che balzò dal suo carro non appena vide Paride, rallegrandosi che finalmente fosse giunto il momento di vendicarsi dell’uomo che l’aveva così gravemente offeso.
Come un leone affamato che ha fatto
Preda di una grossa bestia, un cervo con grandi corna
O una capra di montagna: gioisce e con velocità
Lo divora, sebbene segugi veloci e giovani robusti
Premino sul fianco, così si sentiva Menelao
Grande gioia quando Paride, dalla forma divina,
Apparve alla vista, e ora pensò di poter scatenare
La sua vendetta sul colpevole, e dritto
Balzò dal suo carro a terra aiutandosi con le braccia.Omero, Iliade, Libro III.
Ma quando Paride vide chi era venuto a combatterlo, fu preso da una grande paura, e si ritrasse tra le fila dei suoi compagni.
Come uno che incontra in una radura di montagna
Un serpente, e si allontana con improvviso spavento,
E riprende la via a ritroso con le membra tremanti.Omero, Iliade , Libro III.
Così voi sposi fragili ed erranti, con nubi che s’addensano sulla vostra casa, per via di un matrimonio troppo volte messo a dura prova, adesso cercate di rammendare un po’ e metterci qualche pezza sopra, a quei vostri ormai logori, vecchi e consunti corredi nuziali, mentre guardate Menelao affrontare Paride nella pianura.
Paride vs Menelao
Il sentimento della propria colpa e la vista di Menelao, che aveva ferito nel suo onore, resero in quel momento Paride un codardo, e così egli fuggì davanti al volto del furioso re di Sparta. Il nobile Ettore fu profondamente irritato nel vedere la fuga del fratello, e con parole rabbiose lo rimproverò per la sua condotta vergognosa.
Questi ammise che il rimprovero di suo fratello era giusto, e quindi si dichiarò disposto a sfidare Menelao in un duello: il vincitore avrebbe avuto per sé Elena e i suoi tesori. Il coraggioso Menelao ascoltò la sfida con gioia e prontamente l’accettò.
Proprio in quel momento Priamo era seduto su una delle torri di avvistamento delle mura, guardando in basso sulla pianura dove erano radunate le grandi schiere. Con lui c’erano molti dei suoi venerabili capi, ormai troppo vecchi per prendere parte ai combattimenti.
Mentre erano seduti lì, la bella Elena uscì dal palazzo per assistere all’avvicinarsi del conflitto. Le era stato riferito dalla messaggera Iris, la quale, discendendo dal cielo e assumendo le sembianze di Laodice, una delle figlie di Priamo, apparve ad Elena nella sua camera, annunciandole che Paride e Menelao stavano per combattere per lei.
Poi iniziò la lotta. Paride scagliò il suo giavellotto, ma Menelao respinse il colpo con il suo forte scudo di bronzo. A sua volta il re spartano puntava la sua lunga lancia contro il nemico. Nello stesso tempo pregò Zeus perché gli desse forza e vittoria.
Allora Menelao scagliò la sua lancia. Perforò lo scudo e il corsetto di Paride, che avrebbe potuto subire una ferita mortale se non si fosse piegato di lato, e così fosse sfuggito alla piena forza dell’arma. Immediatamente Menelao si precipitò in avanti, spada alla mano, e assestò un potente colpo alla testa del suo nemico. Questa volta Paride fu salvato dall’elmo di bronzo che indossava, perché quando Menelao lo colpì, la lama della sua spada si spezzò in pezzi.
Irritato della sua sfortuna, il guerriero spartano afferrò il suo nemico per la cresta di crine del suo elmo, e cominciò a trascinarlo verso le linee greche; ma a questo punto Afrodite venne in aiuto del suo prediletto. In piedi, invisibile accanto a lui, gli spezzò la cinghia dell’elmo sotto il mento, liberandolo così dalla presa dell’irascibile Menelao. Poi gettò una densa nebbia attorno al principe troiano e, trasportandolo in città, lo depose nella sua camera, nel suo proprio palazzo. Anche Elena la dea condusse al palazzo, dalla torre di guardia in cui, dopo aver parlato con Priamo, era rimasta ad assistere al combattimento in pianura. Non appena Elena vide Paride, anche lei gli rivolse dure parole.
Intanto il re spartano, furioso come un leone, camminava su e giù per il campo alla ricerca di Paride, ma nemmeno i troiani sapevano dove fosse. Se fosse stato tra loro non l’avrebbero nascosto, perché non lo amavano, sapendo che era lui la causa di tutte le sofferenze che la lunga guerra aveva portato su di essi.
(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)
Atena, la guerriera dea della saggezza accende l'animo di Diomede che uccide un gran numero di guerrieri troiani, finché Pandaro non lo ferisce con una freccia. Diomede quindi prega Atena che gli offre una vista speciale per distinguere gli dèi dagli uomini e gli chiede di ferire Afrodite se mai verrà in battaglia. Lo avverte anche di non ingaggiare battaglia con nessun altro dio. Egli continua a far strage tra i Troiani. Infine, Enea (figlio di Afrodite) chiede a Pandaro di salire sul suo carro in modo che possano combattere insieme Diomede. Questi, poiché deve eseguire l'ordine di Atena, ordina a Stenelo di rubare i cavalli mentre affronta i due. Pandaro viene ucciso ed Enea è rimasto solo a combattere contro Diomede, che raccoglie un'enorme pietra e lancia contro il suo nemico. Enea sviene e viene salvato dalla madre prima che Diomede possa ucciderlo. Memore degli ordini di Atena, Diomede corre dietro ad Afrodite e le ferisce il braccio. Lasciando cadere il figlio, la dea fugge verso l'Olimpo.
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