Le origini e l’ascesa di Milziade
Milziade, un nobile ateniese, figlio minore di Cimone e nipote di Milziade il Vecchio, che aveva fondato una tirannide nel Chersoneso durante la dittatura di Pisistrato ad Atene. A Milziade il Vecchio successe Stesagora, il figlio maggiore di Cimone, e alla morte di queste successe a sua volta il giovane Milziade.
La prima missione importante a cui Milziade prese parte fu nell’anno 515 a.C., durante la spedizione scita di Dario, quando i comandanti greci, che sorvegliavano il passo del Danubio, si consultarono per decidere se tagliare la ritirata del re persiano. Milziade propose di distruggere il ponte e, sebbene la sua opinione non abbia avuto la meglio, non è eccessivo supporre che sia stato motivato ad avanzare questa proposta proprio dalle stesse ragioni per cui essa fu respinta.
Un politico astuto come Milziade non poteva fare a meno di osservare che l’annientamento della potenza persiana equivaleva, stando alle parole di Istias, a una dismissione di tutti i tiranni delle singole città. Vent’anni dopo Milziade fu chiamato a un ruolo più importante. Ipparco, uno dei figli di Pisistrato, era caduto per mano di Armodio e Aristogitone; e Ippia, l’altro figlio, che era stato cacciato da Atene soprattutto con l’aiuto degli Spartani, si era rifugiato alla corte persiana.
La battaglia di Maratona: il trionfo di Milziade
Nella Ionia, l’incendio di Sardi fu seguito da una guerra che durò sei anni e nella quale sembrava che ciascuna delle due parti coinvolte avesse imparato una lezione: i Persiani. che il loro nemico non era affatto da disprezzare e i Greci, che senza unità di progetto non c’era speranza di vittoria.
Nell’anno 492 a.C.Mardonio guidò la prima flotta persiana, che fu dispersa dalla burrasca nei pressi della penisola di Atos. Nel 496 a.C. fu inviata contro la Grecia una nuova flotta, capitanata da Dati e Artaferne, che fece rotta verso Nasso e da lì verso l’Eubea. Dopo aver saccheggiato l’intera isola di Eubea in pochi giorni, salpò per la costa dell’Attica e, guidata da Ippia, che conosceva tutti i punti più importanti, sbarcò a Maratona.
Questa pianura si estende su tutto il territorio dal mare alle montagne, dove si restringe in una valle stretta dai contrafforti di due montagne, ma si allarga oltre la base di queste e tra di esse e il mare. Ha la forma di una T, la cui parte superiore rappresenta la parte che confina con il mare, mentre la gamba corrisponde alla valle, che è divisa a lungo da una corrente montuosa.
Attraverso questa valle correva la strada per Atene e l’esercito ateniese era schierato sul lato orientale della collina. Secondo l’usanza, l’esercito era comandato da dieci capitani, ognuno dei quali comandava un giorno a turno. Uno dei dieci era Milziade, che era stato appena assolto dall’accusa di tirannia, forse più per il modo politico in cui aveva usato il suo potere nel Chersoneso che per un reale merito della sua condotta.
Aveva un potente alleato in Callimaco il polemarco, che, in virtù della sua carica, comandava l’ala destra e aveva un voto uguale a quello dei dieci generali. Poiché i generali erano divisi sull’opportunità di combattere o meno, Callimaco con il suo voto decise per il sì; e quando il turno di comando toccò a Milziade, la battaglia ebbe luogo.
L’esercito persiano era molto più numeroso di quello greco che, secondo i calcoli più comuni, ammontava a 10.000 uomini.
Al centro dell’esercito persiano furono collocati i soldati migliori, una precauzione necessaria per dare una certa stabilità a un esercito composto da quaranta o cinquanta tribù diverse, ma dannosa perché li esponeva proprio agli stratagemmi che Milziade era solito praticare e che questa volta non dimenticò, schierando i suoi soldati in modo che il centro rimanesse debole, ma le ali forti.
Il centro persiano sfondò allora quello dei Greci e li inseguì fino alle montagne, ma su ogni ala gli Ateniesi, che avevano effettuato la carica con una rapidità doppia, dispersero gli avversari davanti, girarono dietro l’esercito e spezzarono i Persiani vittoriosi. Così la battaglia fu decisa.
I vinti perirono a migliaia, trafitti a fil di spada, cercando inutilmente di salvarsi sulle navi. Gli Ateniesi e i Platei, loro alleati, rimasero padroni assoluti del campo. Erodoto stima in 6400 il numero dei Persiani uccisi e in 192 quello degli Ateniesi.
Le tattiche utilizzate in questa battaglia sono tanto più degne di osservazione in quanto completamente contrarie al progetto dorico di mantenere una falange stretta e impenetrabile, e molto più simili alle tattiche moderne.
Fama e declino
Forse non c’è mai stata una battaglia che abbia portato tanta gloria al capitano vittorioso quanto quella di Maratona a Milziade; anche se si può notare che colui che è stato considerato in ogni epoca come un difensore della libertà, iniziò la sua carriera come un sovrano assoluto e combatté solo una volta nella sua vita per la libertà; ma come il corso degli eventi umani ha spesso dimostrato, lo stesso uomo può benissimo essere il liberatore del suo paese e il despota in un altro.
La battaglia di Maratona pose fine alla spedizione guidata da Dati e Artaferne e la carriera di Milziade si concluse poco dopo. Si diresse quindi a Paro, che assediò con sessanta navi ateniesi. Gli assediati si difesero valorosamente e, se dobbiamo credere a Erodoto, Milziade ricorse alla magia, praticando la quale si ferì, tanto che gli Ateniesi dovettero ritirarsi. Tornato ad Atene, mentre la ferita era ormai incancrenita, venne accusato, processato e condannato per aver ingannato il popolo.
La sua pena fu poi commutata in una multa; ma non possedendo nulla non poté pagarla e morì in prigione.
Una figura complessa
Non possiamo giudicare esattamente il carattere di Milziade per mancanza di informazioni storiche. L’identikit che ci rimane tuttavia, è tale che, se fosse completato, sembrerebbe corrispondere al vero modello di un fortunato statista in un’epoca in cui il primo ministro di Atene era anche il capo dell’esercito. Heeren, storico tedesco, ci ha fornito un breve resoconto della transizione nel carattere degli statisti ateniesi dal guerriero come Temistocle e Milziade al retore bellicoso come Pericle, per poi passare all’oratore, il cui valore retorico non corrisponde a quello militare.
Milziade, oltre al suo valore bellico, dimostrò grande forza come statista e anche un po’ come oratore. Ciò era conforme all’epoca in cui visse. Ma è impossibile per noi stabilire se egli fosse davvero un patriota, animato dai più nobili principi. Compì una grande impresa, che ebbe un esito molto importante per il suo Paese.
L’infelice conclusione della sua carriera può essere considerata da alcuni come un esempio dell’ingratitudine delle democrazie; ma forse uno storico accorto non trarrebbe una simile conclusione, soprattutto per la scarsità di informazioni che abbiamo sulla vita di questo illustre ateniese.
(Liberamente tratto da Nuova enciclopedia popolare, G. Pomba e comp., 1847)