Durante la guerra civile, pur essendo lontano da Roma, Cesare rimase in contatto con i suoi sostenitori e fece intraprendere numerose riforme. Tornato a Roma, Cesare ottenne diversi trionfi e nel 45 a.C. ottenne la dittatura per dieci anni. Finalmente padrone del potere assoluto, perdonò i suoi nemici. Per dare lavoro ai Romani, abbellì Roma, fece scavare un porto alla foce del Tevere e concesse terre ai suoi soldati veterani e ai poveri di Roma. Cesare salvò Corinto e Cartagine dalla loro rovina, riformò le leggi e fece adottare un nuovo calendario.
Continua a leggere... »
Cesare aveva i suoi acerrimi nemici personali, che non cessavano mai di tramare per la sua caduta. C’erano tra di loro anche sinceri amanti dell’antica repubblica, che desideravano vedere ripristinata le libertà che il conquistatore aveva infranto.
Cominciò a prevalere l’impressione che Cesare volesse farsi re. Marco Antonio gli offrì più volte una corona in pubblico, ma egli, visto il manifesto disappunto del popolo, la respinse ogni volta. Tuttavia non c’è dubbio che in segreto la desiderasse. Si dice che si proponesse di ricostruire le mura di Troia, da cui era nata la stirpe romana, e di fare di quell’antica capitale la sede del nuovo impero romano.
Altri diffondevano voci secondo cui le arti e il fascino dell’egiziana Cleopatra, che gli aveva dato un figlio a Roma, lo avrebbero spinto a fare di Alessandria il centro di un nuovo regno di stampo ellenistico-orientale. Così, molti, per amore di Roma e della vecchia repubblica, furono portati a cospirare contro la vita di Cesare assieme a coloro che cercavano di liberarsi del dittatore per altri motivi personali.
Le Idi (15 marzo) del 44 a.C., giorno in cui si riuniva il Senato, furono ritenute il momento propizio per l’assassinio. Al complotto parteciparono settanta o ottanta congiurati, capeggiati da Bruto e Cassio, che avevano entrambi ricevuto particolari favori da parte di Cesare. Gli indovini dovevano essere a conoscenza dei piani dei congiurati, perché avevano avvertito Cesare di “guardarsi dalle Idi di marzo”.
Quel giorno, mentre si recava alla riunione del Senato, gli fu messo in mano un foglio che lo avvertiva del pericolo; ma, non sospettandone l’urgenza, non lo aprì.
Mentre entrava nella sala dell’assemblea, osservò l’astrologo Spurinna e gli disse con noncuranza, riferendosi alla sua predizione: “Le Idi di marzo sono arrivate”. “Sì”, rispose Spurinna, “ma non sono passate”.
Non appena Cesare ebbe preso posto, i congiurati si affollarono intorno a lui come per presentare una petizione. Al segnale di uno di loro furono sguainati i pugnali.
Per un momento Cesare si difese; ma vedendo Bruto, al quale aveva elargito doni e favori, tra i congiurati, si dice che abbia esclamato con rimprovero: “Et tu, Bruto!”. – “Anche tu, Bruto!”, quindi si coprì il volto con il mantello e ricevette senza resistenza gli ulteriori colpi dei cospiratori. Trafitto da ventitré pugnalate, si accasciò privo di vita ai piedi della statua di Pompeo.
“Le ultime ore di Cesare”
- 44 a.C.: Cesare nomina Ottaviano magister equitum destinatus.
- 14 gennaio 44 a.C.: Cesare è imperatore, console e dittatore. Anche Antonio è console.
- 26 gennaio 44 a.C.: Giulio Cesare torna a Roma.
- 14 febbraio 44 a.C.: in una seduta del Senato, Cesare diventa dittatore a vita. Questo potere non era previsto dall’organizzazione costituzionale.
- 15 febbraio 44 a.C.: durante la cerimonia dei Lupercalia si verifica un fatto inatteso. Il console Marco Antonio guida lo sfarzo e arriva nel foro con il corteo. Cesare viene fatto sedere sulla Tribuna dei Rostri. Marco Antonio si accinge di incoronarlo, ma il dittatore rifiuta la corona reale che è stata fatta portare in Campidoglio. Alcuni reagiscono con indignazione all’idea del potere regale. Altri esortano il conquistatore ad accettare. Ma Giulio Cesare, irritato, non cede. Questo incidente, indicativo dell’ascesa al potere di Cesare, potrebbe essere stato la causa dell’evento fatale del 15 marzo 44 a.C.
- 14 marzo 44 a.C.: Cesare cena con Marco Lepido, suo magister equitum. Uno degli argomenti di conversazione è la morte. Uno degli ospiti potrebbe aver voluto avvertire Cesare e metterlo in guardia.
- 15 marzo 44 a.C.:Calpurnia (moglie di Cesare) ha un incubo nella notte. Nel suo sogno, il tetto della casa di Cesare crolla. Vede il marito morire tra le sue braccia. Secondo la tradizione, la donna vide in sogno il pinnacolo della casa che si spezzava.
- Cesare ebbe una strana visione o un sogno poco prima dell’alba. Vedeva sé stesso in sogno volare nell’aria. Poi arrivava a stringere la mano a Giove.
- La mattina del 15 marzo 44 a.C., Cesare si trovava nella sua casa. È turbato perché Calpurnia è agitata. Gli auguri vengono a fargli visita. Gli dicono che i presagi sono sfavorevoli. Cesare prende in considerazione la possibilità di non uscire e di rimandare la seduta del Senato e vuole che Antonio lo vada a dichiarare a tutti. Decimo Bruto si reca da Cesare e riesce a fargli cambiare idea, poiché il dittatore si fida di Bruto. Egli si reca dunque in Senato deciso però a rimandare le discussioni importanti. Diversi messaggeri cercarono di avvertirlo, invano. Tra loro c’era uno schiavo che arrivò troppo tardi a casa di Cesare. Artemidoro di Cnido cercò anche egli di avvertire Cesare, ma arrivò troppo tardi alla Curia. Secondo Plutarco, riuscì a consegnare una messaggio a Cesare che lo avvertiva del pericolo imminente, a casa di quest’ultimo e non nella Curia. Ma Cesare non avrebbe letto il biglietto.
- Cesare tiene ancora in mano il messaggio mentre entra nella Curia. Svetonio racconta questo strano episodio. Prima di entrare appunto nella Curia, Cesare viene avvicinato dall’aruspice Spurinna, il quale gli aveva già fatto una predizione durante un sacrificio. Qualche tempo prima gli aveva anche parlato di un pericolo. Secondo le sue previsioni, il rischio non poteva andare oltre le Idi di marzo. Quel periodo era quindi pericoloso. Cesare si prende gioco di Spurinna. Sempre secondo Svetonio, il dittatore fa notare all’augure che le Idi di marzo erano ormai giunte e che non era successo nulla. Spurinna rispose che le Idi erano sì arrivate, ma non ancora trascorse.
- Ci sono testimonianze ambigue su quello che sarebbe successo in Senato prima della sessione. Il cospiratore Casca fu davvero interrogato da uno sconosciuto? Secondo la leggenda, un uomo gli prese la mano e gli disse qualcosa in segreto.
- Giulio Cesare viene assassinato durante la seduta del Senato. Cicerone scrive nelle Filippiche che Antonio viene trattenuto fuori dalla Curia da Trebonio. Secondo Plutarco, nella sua Vita di Cesare, fu invece Decimo Bruto a non far entrare Antonio con una scusa. La versione di Cicerone è generalmente quella ritenuta più probabile. Plutarco scrive nella Vita di Cesare che quando egli entra nella stanza, i congiurati si dividono in due gruppi. Gran parte dei cospiratori si stabilisce intorno al seggio di Cesare.
- Cesare è seduto. Plutarco scrive che un uomo lo stava implorando: è Tullio Cimbro. I congiurati intanto si sono già avvicinati al dittatore. Il fatto è riportato sia da Plutarco che da Svetonio. Il primo dei due storici, aggiunge che essi si unirono tutti alle suppliche di T. Cimbro non appena arrivò Cesare, accompagnandolo finché egli non prese il suo posto. Secondo Svetonio, Cesare si rifiutò di ascoltare Cimbro.
- Plutarco aggiunge anche che Cimbro tirò la toga di Cesare, scoprendo così il suo collo. Questo sarebbe stato il segnale concordato tra i cospiratori. I congiurati si precipitano improvvisamente addosso a Cesare e lo uccidono. Svetonio spiega che il dittatore tentò di difendersi con un piccolo pugnale. Cesare allora gridò quindi rivolto a Cimbro: “Ma questa è violenza!”. Nello stesso momento, Casca tirò fuori il suo pugnale e diede un colpo secco al collo del dittatore. Cesare si girò rapidamente e afferrò Casca per un braccio. Secondo Plutarco, disse: “Casca, scellerato, cosa stai facendo?”. Questi, spaventato, gridò contemporaneamente: “Fratello! Aiutami!” (In greco antico: ἀδελφέ, βοήθει, cioé adelphe, boethei). Sebbene Cesare riuscisse a scagliare violentemente Casca lontano da sé, Gaio Servilio Casca, l’altro fratello, lo pugnalò al fianco.
- Prima di morire, Cesare gridò a Bruto (genero di Catone di Utica), che era uno degli assassini: Tu quoque, fili mi (Anche tu, figlio mio!). O secondo un’altra versione: Tu quoque, Brute, fili mi (Anche tu, Bruto, figlio mio!). Altri riportano che la frase fu formulata in greco: “καὶ σύ, τέκνον?” (transliteratto “Kai su, teknon?”, “Anche tu figlio?”)
- Si dice che Cesare sia stato pugnalato 23 volte. I cospiratori sarebbero stati più di sessanta. Alcuni storici ritengono che Cicerone fosse coinvolto nel complotto. Cassio è considerato il vero istigatore della cospirazione. Plutarco scrive infatti che fu Cassio a convincere Bruto ad uccidere Cesare. Anche i fratelli Casca presero parte alla congiura.
- I congiurati pensarono di gettare il corpo di Cesare nel Tevere, ma alla fine lasciarono il suo cadavere lì dove era. La salma di Cesare venne poi portata a casa dagli schiavi.
- 20 marzo 44 a.C.: il corpo di Cesare viene esposto nel Foro, su un letto funebre. Nel Campo Marzio viene allestita una pira. Gli onori tributati annunciano l’istituzione del culto del Divo Giulio.
- Il testamento di Cesare lascia tre eredi: i due nipoti, Lucio Pinario e Quinto Pedio, e Ottaviano, che riceve i tre quarti dell’eredità.
«Si decise di murare la Curia in cui fu ucciso, di chiamare Parricidio le Idi di marzo e che mai in quel giorno il Senato tenesse seduta.» (Svetonio, Vite dei Cesari, I, 88.)
Orazione funebre di Marco Antonio
I congiurati, o “liberatori”, come si definivano, pensavano che il Senato avrebbe confermato e il popolo avrebbe applaudito il loro atto. Ma sia il popolo che i senatori, colpiti dallo sgomento, tacevano. I volti degli uomini impallidirono quando si ricordarono le proscrizioni di Silla e si vide nell’assassinio di Cesare il primo atto di un ripristino di quello stesso regime del terrore.
Quando i congiurati uscirono dalla sala delle assemblee ed entrarono nel Foro, tenendo in mano i loro pugnali insanguinati, invece delle acclamazioni previste furono accolti da un silenzio minaccioso. I liberatori si affrettarono per mettersi al sicuro nel tempio di Giove Capitolino, recandosi lì apparentemente per ringraziare gli dèi della morte del tiranno.
Il giorno fissato per le esequie del dittatore, Marco Antonio, il fidato amico e segretario di Cesare, salì sul rostro del Foro per pronunciare la consueta orazione funebre.
Raccontò le grandi gesta di Cesare, la gloria che aveva conferito al nome dei Romani, si soffermò sulla sua liberalità e sui suoi munifici lasciti al popolo, e ai beni lasciati anche ad alcuni che ora figuravano fra i suoi assassini; e quando ebbe portato i sentimenti della moltitudine alla massima tensione, sollevò la veste di Cesare e mostrò i segni dei pugnali dei congiurati.
Cesare era sempre stato amato dal popolo ed era idolatrato dai suoi soldati. Ora erano tutti quasi impazziti per il dolore e l’indignazione. Impugnando armi e torce, si precipitarono per le strade, giurando vendetta sui cospiratori.
I discorsi di Bruto e Antonio dopo la morte di Cesare secondo Shakespeare
La tragedia Giulio Cesare è un’opera teatrale scritta da William Shakespeare, il celebre drammaturgo inglese vissuto in età elisabettiana, probabilmente nel 1599. Ricrea la cospirazione contro il dittatore romano, il suo assassinio e le sue conseguenze, così come l’ambientazione dell’antica Roma. È una delle numerose opere shakespeariane basate su eventi storici.
Nell’Atto III, Scena II dell’opera, Bruto – dopo l’assassinio di Cesare – parla davanti a un gruppo di “cittadini”, o gente comune di Roma. Spiega loro perché Cesare doveva essere ucciso: per il bene stesso della Repubblica.
Poi viene il turno di Antonio, ed è lui ora ad arringare la folla. Egli si dimostra un esperto della natura umana di gran lunga migliore di Bruto. Antonio infatti, riesce abilmente a mettere la folla contro i congiurati raccontando le buone opere di Cesare e la sua preoccupazione per il popolo, come dimostrato dal testamento del sovrano ucciso: egli ha lasciato tutte le sue ricchezze al popolo.
Mentre Antonio incita i cittadini a inseguire gli assassini e a ucciderli, viene a sapere che Ottaviano è arrivato a Roma e che Bruto e Cassio sono fuggiti.
Ecco i due discorsi, tradotti da una riduzione in inglese moderno dal sito myshakespeare.com:
Discorso di Bruto (da Shakespeare)
Abbiate pazienza finché non avrò finito. Romani, concittadini e amici, ascoltatemi mentre vi spiego le mie ragioni e fate silenzio per poter ascoltare. Credetemi sul mio onore, e rispettate questo onore affinché mi crediate. Giudicatemi con la dovuta saggezza e risvegliate i vostri sensi perché possiate giudicarmi con maggiore imparzialità. Se in questa assemblea c’è qualche caro amico di Cesare, gli dico che il mio amore per Cesare non è inferiore al suo. Se poi quell’amico mi chiederà perché io sono insorto contro Cesare, questa è la mia risposta: non è che io amassi di meno Cesare, ma che amavo di più Roma. Preferireste che Cesare fosse vivo e voi moriste tutti come schiavi, o che Cesare fosse morto e voi poteste vivere come uomini liberi?
Cesare mi amava, perciò piango per lui; Cesare ebbe la gloria, perciò la celebro; Cesare era valoroso, perciò lo onoro; ma Cesare era anche ambizioso, perciò l’ho ucciso. Ecco: lacrime per il suo amore, esaltazione per le sue vittorie, onore per il suo valore e morte per la sua ambizione. Chi è così vile da vivere volentieri da schiavo? Se c’è qualcuno, che parli, perché io l’ho offeso. Chi è così barbaro da non voler essere un romano? Se c’è qualcuno, che parli perché io l’ho offeso. Chi è così vile da non amare il proprio Paese? Se c’è qualcuno, che parli perché io l’ho offeso. Mi fermo in attesa di una risposta.
Tutti
Nessuno, Bruto, nessuno.Bruto
Allora non ho offeso nessuno di voi. Non ho fatto a Cesare più di quanto voi fareste a me. La sua morte è stata registrata in Campidoglio. Le glorie di cui era degno in vita non sono state sminuite, né i torti per cui è stato ucciso sono stati esagerati.[Entrano Antonio e altri, con il corpo di Cesare]
Ecco che arriva il suo corpo, pianto da Marco Antonio che non ha avuto alcun ruolo nella sua morte, ma che ne riceverà i benefici: la cittadinanza nella Repubblica, come del resto chi non la riceverà? Con queste ultime parole io vi lascio: così come ho ucciso il mio migliore amico per il bene di Roma, ho qui lo stesso pugnale per me stesso, quando il mio Paese avrà bisogno della mia morte.
Tutti
Vivi, Bruto! Vivi, vivi!
Discorso di Antonio (da Shakespeare)
Amici, romani, compatrioti, prestatemi attenzione. Sono venuto a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno continua a vivere dopo la loro morte, ma il bene da loro compiuto viene spesso sepolto con le loro ossa. Questo è il caso anche di Cesare. Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso. Se fosse vero, era una grave colpa, e Cesare ha pagato assai per questo. Con il permesso di Bruto – perché Bruto è un uomo d’onore, e tutti anche tutti gli altri sono uomini d’onore – vengo a parlare al funerale di Cesare.
Egli era mio amico, fedele e giusto con me. Ma Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è un uomo d’onore. Ha riportato a Roma molti prigionieri il cui riscatto ha arricchito tutti noi. Questo è sembrato ambizioso in Cesare? Quando i poveri piangevano, Cesare anche piangeva: l’ambizione dovrebbe essere fatta di una materia più dura. Eppure Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è un uomo d’onore. Avete visto tutti che durante la festa dei Lupercali gli ho presentato per tre volte una corona regale, che lui ha rifiutato per tre volte. Questa era forse ambizione?
Eppure Bruto dice che egli fosse ambizioso, e sicuramente Bruto è un uomo d’onore. Non parlo per smentire quello che ha detto Bruto, ma solo per dire quello che so. Tutti voi avete amato Cesare un tempo, e con buone ragioni. Quale ragione vi trattiene allora dal piangerlo? Avete perso il giudizio? Vi siete tramutati in animali bruti mentre come uomini avete smarrito la ragione! Scusate! Abbiate pazienza. Non fate caso a quel che dico: il mio cuore è rimasto lì nella bara con Cesare, e devo fermarmi finché esso non torna a me. […]
Solo ieri, una sola parola detta da Cesare era la più importante del mondo. Ora egli giace qui morto e non c’è nessuno abbastanza umile da piangerlo. Oh, amici, se volessi suscitare nei vostri cuori e nelle vostre menti la ribellione e la rabbia, farei un torto a Bruto e Cassio, che – lo sapete tutti – sono uomini d’onore. Non lo farò. Preferirei fare un torto ai morti, a me stesso e a voi, piuttosto che farlo ad uomini così onorevoli.
Ma ecco un documento con il sigillo di Cesare, che ho trovato nella sua stanza privata: è il suo testamento. Se solo la gente comune potesse ascoltare le sue ultime volontà e il suo testamento – che, scusatemi, non intendo leggere – andrebbe a baciare le ferite di Cesare morto. Immergerebbero i loro fazzoletti nel suo sangue sacro come ricordo, implorerebbero di avere uno dei suoi capelli come reliquia, e lascerebbero quei capelli ai loro figli nei loro testamenti come preziosi cimeli. […]
Abbiate pazienza, nobili amici; non dovrei leggerlo. Non è opportuno che sappiate quanto Cesare vi abbia amato. Non siete fatti di legno o di pietra; siete uomini ed essendo uomini, sentendo le volontà di Cesare, vi infurierete. Tutto ciò Vi farà impazzire. È bene che non sappiate di essere suoi eredi, perché se lo sapeste, oh, cosa ne verrebbe fuori? […]
Questa fu la ferita più crudele di tutte, perché quando Bruto lo pugnalò, fu l’ingratitudine di Bruto, più che le pugnalate delle armi dei traditori, a finirlo. Fu allora che il suo potente cuore scoppiò; e lì, ai piedi della statua di Pompeo – che per tutto il tempo aveva grondato sangue – il grande Cesare cadde. Che morte fu quella, miei compatrioti! Voi e io e tutti noi siamo stati sconfitti insieme a lui, mentre il sanguinario tradimento ha trionfato. Ora state piangendo, sentendo la pietà; queste sono lacrime gentili che versate. Anime gentili, cosa, piangete quando vedete solo il mantello insanguinato di Cesare. Guardate qui!
[Toglie il mantello]
Ecco Cesare stesso, come potete vedere, ferito dai traditori! […]
Non ho l’arguzia, il vocabolario, l’autorità, i gesti, le frasi, né le figure retoriche per eccitare gli uomini, parlo solo direttamente. Mi limito a dirvi quello che già sapete, a mostrarvi le ferite dell’amato Cesare e a chiedere a queste povere bocche senza parola di parlare per me. Ma se io fossi Bruto, e Bruto fosse me, quello sì che sarebbe un Antonio in grado di agitare i vostri spiriti e di riuscire a far dono della parola ad ogni ferita di Cesare in modo da far sollevare le pietre stesse di Roma alla ribellione.
I “liberatori”, tuttavia, si sottrassero alla furia della folla e fuggirono da Roma, mentre Bruto e Cassio si rifugiarono in Grecia.
(Libera traduzione da “Ancient History, Greece and Rome” di Philip Van Ness Meyers, Toronto, 1901 con aggiunte e integrazioni)
Nel prossimo episodio: IL SECONDO TRIUMVIRATO »