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LA GUERRA DI TROIA – 34 – LA MORTE DI PARIDE

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Filottete era stato amico e scudiero di Eracle , e alla sua morte ricevette le sue frecce mortali (avvelenate con il sangue dell'Idra ) e l'arco. Salpò come uno dei capi dalla parte dei Greci verso Troia. Durante il tragitto, però, fu morso da un serpente, probabilmente una vipera. Quando i Greci non poterono più sopportare le sue grida di dolore e l'odore nauseabondo della sua ferita che non si sarebbe rimarginata, Odisseo lo abbandonò nell'isola di Lemno . Filottete rimase solo per dieci anni, pieno di rabbia perché era stato abbandonato. Odisseo sapeva che Filottete non lo avrebbe seguito volentieri nella battaglia contro Troia. Quindi rubò segretamente le armi di Eracle e tornò all'accampamento di Agamennone. Questo fece infuriare Filottete che seguì Odisseo fino a Troia. Arrivato sul campo di battaglia, le sue ferite furono sanate da Asclepio o dal figlio Macaone e poco dopo fu coinvolto nelle prime battaglie con i Troiani.
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Presto i Troiani ricominciarono ad avventurarsi in aperta pianura, pensando che i Greci non fossero ora così pericolosi poiché il terribile Achille non si trovava più alla loro testa. Il loro nuovo generale in capo era Paride.

Filottete si era, come abbiamo detto riconciliato con Agamennone e unito di nuovo alle schiere dei Greci, in uno scontro avvenuto poco dopo, si trovò davanti in battaglia proprio Paride; quindi lo puntò con una delle sue frecce avvelenate e lo trafisse alla spalla. Paride ferito fu immediatamente riportato in città, soffrendo un intenso dolore, poiché il veleno iniziava rapidamente a fare effetto. 

Egli richiamò alla mente la predizione di un oracolo, in base alla quale solo Enone  avrebbe potuto curarlo se fosse stato ferito, Quindi finalmente il pensiero di Paride si volse alla bella Enone, che vent’anni prima aveva lasciato con dolore e solitudine sul monte Ida. Ricordava ancora le sue parole: che un giorno si sarebbe rivolto a lei per chiedere aiuto. 

Illustrazione tratta dalla rivista -Once a Week-, 29 dicembre 1860, dalla poesia -La morte di Enone-. Raffigura Enone che osserva il suo amante Paride ferito a morte che non è in grado di guarire.
Illustrazione tratta dalla rivista -Once a Week-, 29 dicembre 1860, dalla poesia -La morte di Enone-. Raffigura Enone che osserva il suo amante Paride ferito a morte che non è in grado di guarire.

Sperando dunque che la ninfa avesse pietà di lui, e che forse potesse curarlo della sua ferita, poiché era stata istruita nella medicina da Apollo, ordinò ai suoi servitori di portarlo dove lei viveva ancora alle pendici dell’Ida e la implorò, con il ricordo del loro passato amore, di salvargli lavita. Ma nessuno aveva dimenticato come egli l’avesse crudelmente abbandonata, e così Enone, consapevole solo dei suoi torti, si rifiutò di usare la sue arti per curare Paride, represse dal suo cuore ogni sentimento di pietà e compassione, e gli ordinò severamente di andarsene. Ben presto, tuttavia, tutto il suo antico amore verso il marito si risvegliò in lei. Quindi lo seguì in tutta fretta, scendendo fino a Troia. Ma al suo arrivo in città trovò solo il cadavere di Paride già adagiato sulla pira funebre accesa, e presa dal rimorso e dalla disperazione, Enone si gettò sul corpo esanime del marito e perì anche essa tra le fiamme.

Si alzò e scese lentamente,
al rombo sempre più profondo del torrente,
camminava seguendo, come incantata, il grido silenzioso.
. . . . . . .
Poi, avanzando rapidamente finché il calore
le colpì la fronte, alzò una voce
di stridente supplica: “Chi brucia sulla pira?”
Al che i più vecchi e i più audaci dissero,
“Colui che tu non vuoi guarire!” e subito
La luce mattutina del matrimonio felice proruppe
attraverso tutti gli anni offuscati della vedovanza,
e cingendosi col velo il capo e il suo bel viso, 
Gridando “Marito!”, saltò sulla pila funeraria,
e si unì a lui immergendosi nel fuoco.

Tennyson , La Morte di Enone

Illustrazione xilografica per la poesia
Illustrazione tratta dalla rivista -Once a Week-, 29 dicembre 1860, dalla poesia -La morte di Enone-.

(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)

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La rischiosa missione di Odisseo di rubare il Palladio (un idolo di legno di Atena che proteggeva i Troiani) fu tra le sue missioni più difficili. Il feticcio era nascosto in un santuario dietro le mura di Troia. Una notte, travestito da mendicante, egli riuscì ad entrare a Troia inosservato. Odisseo fu riconosciuto solo da Elena , che ora era sposata con uno degli altri figli di Priamo. La donna desiderava ardentemente ritornare nella sua patria, Sparta, e così fu che rivelò ad Odisseo l'esatta ubicazione del Palladio e gli diede informazioni sul numero delle guardie. Il re di Itaca si insinuò quindi nel santuario e sorprese silenziosamente le guardie. Con il Palladio riposto al sicuro, tornò all'accampamento. D'ora in poi i Troiani avrebbero dovuto difendersi senza questa assistenza divina.

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