Teti, nella mitologia greca, figlia di Nereo, moglie di Peleo e madre di Achille. Era a capo delle cinquanta nereidi, e abitò nelle profondità degli abissi degli oceani, con suo padre e le sue sorelle. Quando Dioniso si tuffò in mare per sfuggire a Licurgo, re degli Edoni – popolazione della Tracia – che lo inseguiva, e quando Efesto fu scagliato giù dal cielo da Zeus, entrambi furono gentilmente ricevuti da Teti. Ancora una volta, quando Era, Atena e Poseidone minacciarono di legare Zeus stesso in catene, la nereide mandò in suo aiuto il gigante Egeone, che liberò il sovrano dell’Olimpo dalle mani dei suoi rapitori. Teti si sposò contro la sua volontà con Peleo, e il suo nome è anche un epiteto utilizzato dai poeti latini semplicemente per indicare il mare
Teti, tutti la vogliono
La Teti dai piedi d’argento e dai capelli biondi, che svolge un ruolo importante nella mitologia greca, era la figlia di Nereo, o come alcuni affermano, di Poseidone. La sua grazia e bellezza erano così notevoli che Zeus e Poseidone cercarono entrambi di unirsi a lei; ma, poiché però era stato predetto che un suo figlio avrebbe ottenuto la supremazia su suo padre, rinunciarono tutti e due alle loro intenzioni ed ella divenne la moglie di Peleo, figlio di Eaco.
Successivamente sposò Teti, la Nereide. Zeus e Poseidone si erano contesi la sua mano; ma quando Temi profetizzò che da Teti sarebbe nato un figlio più forte di suo padre, entrambi si arresero. C’è chi racconta che al tempo in cui Zeus fu colto da una grande passione per Teti, fu invece Prometeo a predire che il figlio che ella avrebbe partorito sarebbe diventato il re del cielo; altri, invece, sostengono che Teti si rifiutò di unirsi a Zeus perché era stata allevata da Era; così Zeus, furioso, volle che la ninfa sposasse una mortale.
Pseudo-Apollodoro, Biblioteca III, 13, 5
La mutante domata
Come Proteo, Teti possedeva il potere di trasformarsi in una varietà di forme diverse, e quando fu corteggiata da Peleo, esercitò questo potere per eluderlo. Ma, sapendo che la perseveranza alla fine avrebbe avuto successo, egli la tenne stretta a sé finché lei non assunse di nuovo la sua vera forma.
Chirone aveva consigliato a Peleo di afferrare Teti e di tenerla stretta, anche se la Nereide assumeva forme strane. Peleo dunque la spiò e la portò via. Teti si trasformò in fuoco, acqua e in una bestia feroce, ma Peleo non lasciò andare la sua preda prima che la Nereide avesse ripreso il suo aspetto originale. La futura sposa salì dunque il monte Pelio; tutti gli déi parteciparono alle loro nozze, cantando inni. Chirone offrì a Peleo una lancia di legno di frassino, Poseidone i destrieri Balios e Xanthos, che erano immortali.
Pseudo-Apollodoro, Biblioteca III, 13, 5
Ma è Ovidio a narrarci la scena nella forma più bella:
C’è in Tessaglia un golfo a forma di mezzaluna, che estende i suoi due bracci nel mare: se le sue acque fossero più profonde, offrirebbe un sicuro asilo alle navi; ma il mare viene a coprire appena la sabbia laggiù. La rena del suolo non vi tiene alcuna impronta e non ritarda il viaggiatore. Le alghe non hanno mai coperto la riva lì. Nelle vicinanze si trova un boschetto di mirti con bacche di due colori; nel mezzo c’è una grotta. È stata l’arte o la natura a crearla? Nessuno non può dirlo con certezza; eppure sembra che debba di più all’arte. È in questo luogo che spesso, nuda e portata da un delfino, ti riposavi, o Teti! Fu lì che Peleo ti sorprese, sopraffatto dal sonno; hai resistito alle sue preghiere, lui ricorre alla forza e ti abbraccia. Soccomberesti se, ricorrendo ai tuoi trucchi, non avessi preso nuove forme: uccello veloce, ti trattiene; albero alto, si aggrappa alla tua corteccia. Infine prendi la forma di una tigre con la pelle maculata; terrorizzato, il figlio di Eaco ti lascia scivolare dalle sue braccia. L’eroe offre un sacrificio alle divinità del mare; versa il vino sulle onde e brucia su un altare l’incenso e le viscere delle vittime
Ovidio, Metamorfosi, XI
“Ti sei ricordato di invitare Eris? Guarda che quella ti scatena una guerra!”
Le loro nozze furono celebrate con il massimo sfarzo e magnificenza, e furono onorate dalla presenza di tutti gli dei e le dee, ad eccezione di Eris la dea della discordia:
Si dice che Giove abbia invitato alle nozze di Peleo e Teti tutti gli dei tranne Eris o Discordia. Quando la dea venne più tardi e non fu ammessa al banchetto, ella gettò allora una mela attraverso la porta, dicendo che avrebbe dovuto averlo la più bella. Giunone, Venere e Minerva rivendicarono questo premio di bellezza ciascuna per sé stessa. Tra loro scoppiò una grossa lite. Giove ordinò a Mercurio di portarle sul monte Ida da Paride Alessandro, ordinandogli di procedere lui al giudizio. Giunone promise al giovane, se avesse giudicato in suo favore, che egli avrebbe governato su tutta la terra e avrebbe goduto di una grande ricchezza. Minerva gli promise che se ne fosse uscita lei vittoriosa, egli sarebbe stato il più coraggioso dei mortali e il più abile in ogni mestiere. Venere, invece, promise di dargli in sposa Elena, figlia di Tindaro, la più bella di tutte le donne. Paride preferì quest’ultimo dono ai primi, e giudicò Venere la più bella. Per questo Giunone e Minerva erano ostili ai Troiani.
Igino, Fabulae 92
Il giudizio di Paride, favorevole ad Afrodite (Venere), sarà la causa della Guerra di Troia.
Quando Teti salvò le chiappe a Zeus
Teti mantenne sempre una grande influenza sul potente signore del cielo, il quale le era debitore, come abbiamo già accennato. Nel primo libro dell’Iliade infatti, Achille ricorda alla madre il ruolo da lei assunto nel difendere, e quindi legittimare, il regno di Zeus contro un’incalzante ribellione di tre dèi olimpi, ognuno dei quali aveva radici preolimpiche:
Tu sola tra tutti gli dei hai salvato Zeus, re degli oscuri nembi celesti, da un destino inglorioso, quando alcuni degli altri dell’Olimpo – Era, Poseidone e Pallade Atena – avevano complottato per gettarlo in catene … Tu, dea, sei andata a salvare lui da quell’umiliazione. Evocasti subito nell’alto Olimpo il mostro dalle cento braccia che gli dei chiamano Briareo, ma gli uomini Egeone, un gigante più potente anche di suo padre. Si accovacciò presso il Figlio di Crono con tale dimostrazione di forza che gli dei benedetti sgattaiolarono via terrorizzati, lasciando Zeus libero
Omero, Iliade, libro I
Guadagnatasi l’eterna gratitudine del re del’Olimpo, era ovvio che usasse tutta questa sua influenza su di lui in favore del suo famoso figlio, Achille, durante guerra di Troia.
Il tallone d’Achille
Un tallone d’Achille è una debolezza fatale nonostante la grande forza generale, che può portare alla sconfitta. Sebbene il riferimento mitologico si riferisca alla vulnerabilità fisica, il tallone d’Achille può riferirsi metaforicamente ad altri attributi che possono portare al fallimento o alla caduta.
Secondo una leggenda la cui traccia più antica risale al I secolo, nell’Achilleide di Stazio, la madre di Achille, la ninfa del mare Teti, aveva immerso Achille da bambino nel fiume degli Inferi, lo Stige, tenendolo per il tallone. Il bimbo divenne così invincibile dovunque l’acqua fosse stata a contatto con la sua pelle, cioè praticamente in tutto il corpo, tranne che nel calcagno che divenne il suo punto debole. È qui che colpì la freccia di Paride, guidata da Apollo che uccise Achille, in una delle versioni del racconto di questa morte.
Alcione
Quando Alcione, figlia del dio dei venti Eolo, si precipitò in mare disperata dopo il naufragio e la morte del suo sposo re Ceice, Teti trasformò marito e moglie negli uccelli detti Martin Pescatore (Alcedinidi), i quali, con il tenero affetto che caratterizzava gli sfortunati coniugi, volano sempre in coppia.
L’alba è apparsa: Alcione lascia il suo palazzo e va alla riva; visiterà questi luoghi, testimoni della partenza di Ceice. “Là”, disse, “si fermò, e mentre salpavamo l’ancora, pronti a partire, mi diede i suoi ultimi baci su questa riva”. Questi luoghi gli ricordano questi tristi momenti; guarda il mare in lontananza e all’improvviso, sulla pianura liquida, le sembra di vedere qualcosa come un corpo umano. All’inizio non riesce a distinguerlo; ma presto la marea avanza e, nonostante la distanza, Alcione può riconoscere un cadavere. Non di chi sia questo corpo, ma è quello di un naufrago, e questo presagio la turba: gli porta lacrime senza conoscerlo. “Oh! infelice, disse, chiunque tu sia, infelice è tua moglie, se ne hai una». Spinto dalle onde, il corpo si avvicina, e più lo guarda, più si sente turbata. Il cadavere sta già toccando terra; lo riconosce: è quello del marito: “È lui!” esclama; e gli accarezzò il viso, quasi si strappò i capelli, i vestiti, e, allungando le mani tremanti verso Ceice: “Così è così, caro marito, che dovevi essermi restituito!” »
Sul bordo delle acque sorge una diga costruita dalla mano degli uomini, per spezzare la furia delle onde e stancare i loro sforzi. Oh prodigio! là sorge, anzi là vola, e con un’ala appena nata batte l’aria e sfiora le onde. Vola, e dal suo snello becco esce un grido simile a quello del dolore. Cade sul corpo freddo e inanimato di Ceice; abbraccia queste amate membra con le sue ali e dà loro vani baci con il suo becco. E questi baci fanno rivivere Ceice o è l’onda che smuove la sua testa? ne dubitiamo. Ma no, Ceice ha sentito quei baci. Gli dèi, finalmente toccati dalle sue disgrazie, hanno trasformato i due sposi in uccelli; i loro nuovi destini non hanno cambiato il loro amore: uccelli, sono ancora sposati; si uniscono, si riproducono; e, per sette giorni d’inverno, Alcione cova i suoi piccoli nel suo nido sospeso sulle onde; poi l’onda è pacifica, i venti sono contenuti nelle loro profonde prigioni, ed Eolo assicura, in favore dei suoi figli, la tranquillità dei mari.
Un vecchio, che li vede volare insieme sulla superficie dei mari, applaude questi amori fedeli; un altro, o forse lo stesso: “Vedi,” disse, “quell’uccello dai lunghi piedi, dal lungo collo, che tuffa la testa nelle onde?” viene dal sangue dei re: se si volesse risalire alla sua origine, conta tra i suoi antenati Ilo, Assaraco e Ganimede, rapito dall’uccello di Giove, e il vecchio Laomedonte, e Priamo, che vide gli ultimi giorni di Troia; suo fratello era Ettore, e forse, se il destino non l’avesse condannato nella sua primavera, avrebbe portato un nome uguale a quello di Ettore stesso. “
Ovidio, Metamorfosi, XI
L’idea degli antichi era che questi uccelli generassero i loro piccoli in nidi che galleggiano sulla superficie del mare con il tempo calmo, prima e dopo il giorno più breve, quando si diceva che Teti mantenesse le acque lisce e tranquille per il loro particolare beneficio; da qui il termine “giorni felici”, che significa un periodo di riposo e di serena felicità.