- Giovinezza e primo periodo di governo
- Agrippina, dark lady
- Il primo delitto: l’assassinio di Britannico
- Poppea, amore a prima vista
- Non ti preoccupare imperatore, ci pensiamo noi all’Armenia...
- Morte di Agrippina
- Presagi, rivalità ed esilii
- Si eliminano i contestatori ed entra in scena Tigellino
- Divorzio e morte di Ottavia
- Riecco l’Armenia...
- Roma brucia...
- La congiura dei Pisoni
- Cara Poppea, sei bella ma mi hai stufato: t’ammazzo!
- La fedina penale di un imperatore (che tra l’altro, non può averne una…)
- Arriva Apollonio, magro e negromante...
- Gli armeni si sottomettono
- Espansione coloniale? Lascia perdere Nerone, non fa per te!
- La tournée ai Giochi Olimpici
- Trionfo per…un musicista
- Basta! Ci hai stufato, tu e le tue canzoni! Ci ribelliamo!
- La caduta: “Quale artista muore con me!"
- Poeta o impostore?
- Profilo criminale?
- La letteratura sotto Nerone
- Mostro o vittima di calunnie?
Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. (latino Tiberius Claudius Caesar Augustus Germanicus; Lugdunum, 1 agosto 10 a.C. C.n. 2n. 3-Roma, 13 ottobre 54 d.C. ), storico e politico romano, fu il quarto imperatore romano dell'impero, appartenente alla dinastia giulio-claudio , e regnò dal 24 gennaio dell'anno 41, fino alla sua morte nell'anno 54. Nato a Lugdunum, in Gallia, fu il primo imperatore romano nato fuori della penisola italiana. Le sue ceneri furono depositate nel mausoleo di Augusto.
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La Dirce cristiana (particolare) Henryk Siemiradzki, 1897
La gente ama Nerone. Ispira in loro affetto e rispetto. C’è una ragione per questo che Tacito omette. Si può discernere il motivo di questo sentimento popolare: Nerone opprimeva i ricchi ma non gravava mai sulla gente comune. Ma Tacito non dice nulla di questo. Parla solo di crimini. E ne parla con passione. Di conseguenza, sentiamo che è di parte; non ispira più la stessa fiducia. Si è portati a credere che esageri; non spiega nulla e sembra accontentarsi delle caricature.
Napoleone Bonaparte a Henri Gatien Bertrand
Nerone regnò dal 54 al 68 d.C. Era figlio di Cn. Domizio Enobarbo e di Agrippina, figlia di Cesare Germanico e sorella di Caligola. Il nome originario di Nerone era L. Domizio Enobarbo, ma dopo il matrimonio della madre con lo zio, l’imperatore Claudio, fu adottato da questi nel 50 d.C. e fu chiamato quindi Nerone Claudio Cesare Druso Germanico. Claudio ebbe un figlio, Britannico, più giovane di Nerone di tre o quattro anni.
Giovinezza e primo periodo di governo
Nerone nacque ad Antium (Anzio), residenza preferita di molte famiglie romane, sulla costa laziale, il 15 dicembre del 37 d.C. (cfr. Suet. Suet. Nero 100.6, ed. Burmann; Tac. Ann. 12.25, ed. Oberlin, e le note in entrambi). Poco dopo la sua adozione da parte di Claudio, Nerone, allora sedicenne, sposò Ottavia, figlia di Claudio e Messalina. Tra i suoi primi precettori c’era Seneca. Nerone aveva talento e gusto. Era appassionato di arti e componeva versi, ma era indolente e dedito al piacere, e non aveva alcuna inclinazione per gli studi laboriosi. Il suo carattere, naturalmente debole, fu peggiorato dalla sua educazione; e quando fu in possesso del potere mostrò cosa può diventare un uomo che non è stato sottoposto a una severa disciplina e che, in una posizione privata, potrebbe essere non peggiore di altri ricchi e oziosi.
Alla morte di Claudio, nel 54 d.C., Agrippina, che aveva sempre voluto che il figlio succedesse al potere dei Cesari, tenne segreta la morte dell’imperatore per qualche tempo. Subito si aprirono le porte del palazzo e Nerone fu presentato alle guardie da Afranio Burro, prefetto del pretorio, che le annunciò come loro Imperatore. Alcuni di loro, si dice, chiesero dove fosse Britannico; ma non fu fatto alcuno sforzo né per trovarlo, né per proclamarlo come sovrano, e Nerone, portato nell’accampamento del pretorio, fu salutato come imperatore dai soldati e promise loro la consueta donazione. Il Senato confermò la decisione dei militari e le province accolsero tranquillamente Nerone come nuovo imperatore. (Tac. Ann. 12.69; D. C. 61.1, &c.)
Nerone dimostrò fin dall’inizio di non avere tutte le doti che i Romani erano abituati a vedere nei loro imperatori. I suoi discorsi pubblici furono scritti da Seneca, perché Nerone era carente in una delle grandi capacità di un romano, l’oratoria. L’inizio del suo regno non fu peggiore di quanto ci si potesse aspettare da un giovane illuso di diciassette anni; e al senato fu concesso di emanare alcune norme che si riteneva fossero utili (Tac. Ann. 13.4). Gli affari d’Oriente richiedevano attenzione. La Piccola Armenia fu data ad Aristobulo, un ebreo figlio di Erode, re di Calcide. Sofene fu data a Sofonia.
Agrippina, dark lady
Le follie e i crimini di Nerone erano dovuti al suo carattere debole e al temperamento di sua madre. Questa donna ambiziosa desiderava governare in nome del figlio e riceveva tutti i segni esteriori di rispetto che erano dovuti a chi possedeva il potere sovrano. Seneca e Burro esercitarono la loro influenza su Nerone per opporsi ai suoi disegni, e così iniziò una contesa che doveva concludersi con la eliminazione di Agrippina o dei suoi avversari.
Il primo delitto: l’assassinio di Britannico
Nerone cominciò ad assecondare senza freni le sue inclinazioni licenziose e uno dei suoi compagni di ventura fu un abile dissoluto, Otone, che in seguito detenne il potere imperiale per pochi mesi. Nerone assunse il consolato nel 55 d.C., con L. Antistio Veto come collega. La gelosia tra lui e la madre sfociò presto in una lite e Agrippina minacciò di unirsi a Britannico e di fargli prendere il posto del padre. I timori di Nerone lo spinsero a commettere un crimine che segnò subito il suo carattere e tolse ogni speranza futura su di lui. Britannico, che stava per compiere il quattordicesimo anno di età, fu avvelenato per ordine dell’imperatore, in occasione di un intrattenimento al quale erano presenti anche Agrippina e Ottavia. Nerone mostrò il suo temperamento nei confronti della madre privandola della sua guardia romana e germanica; ma una parvenza di riconciliazione si ebbe grazie al comportamento coraggioso di Agrippina nei confronti di alcuni dei suoi accusatori, che Nerone punì. (Tac. Ann. 13.19-22.)
Poppea, amore a prima vista
Quello con Poppea fu un grande matrimonio d’amore. Poppea era intellettualmente curiosa, Nerone anche. Poppea era allegra, Nerone anche. A Poppea piaceva divertirsi, come a Nerone. A Poppea interessava l’Oriente, a Nerone interessava l’Oriente. Poppea proteggeva gli ebrei e Nerone chiuse un occhio sui trambusti che costoro provocavano continuamente dentro e fuori Roma. La loro intesa era perfetta. Nerone aveva abbandonato i suoi vagabondaggi notturni, passava le sere a Palazzo e scriveva poesie per lei, sui suoi capelli «color dell’ambra». Per la prima, e forse unica, volta nella sua vita, Lucio Domizio Enobarbo, alias Nerone, era felice.
Massimo Fini, Nerone: duemila anni di calunnie
Nel 57 Nerone fu console per la seconda volta con L. Calpurnio Pisone come collega e, nel 58, per la terza volta con Valerio Messalla. Nerone, che aveva sempre mostrato avversione per la moglie Ottavia, era ora affascinato dalla bellezza di Poppea Sabina, moglie del suo compagno Otone, una donna nota per la sua condotta dissoluta. Otone si tolse d’impiccio facendosi nominare governatore della Lusitania, dove acquistò un certo credito e trascorse i dieci anni rimanenti della vita di Nerone.
Non ti preoccupare imperatore, ci pensiamo noi all’Armenia…
Le vicende dell’Armenia, che era stata conquistata dai Parti, occuparono i Romani fin dall’inizio del regno di Nerone e Domizio Corbulone fu inviato lì per condurre la guerra. Questo vigoroso comandante ristabilì la disciplina tra le truppe. La lotta principale iniziò nel 58 d.C. con Tiridate, che era stato nominato re dell’Armenia dal re partico Vologete, suo fratello. Corbulone aveva l’ambizione di far trionfare nuovamente le armi romane nei Paesi in cui L. Lucullo e Cn. Pompeo avevano acquisito la loro fama militare. Dopo qualche tentativo di negoziazione, Corbulone proseguì la guerra con grande impegno. Conquistò e distrusse Artaxata, la capitale dell’Armenia; poi, marciando verso la città di Tigranocerta, che i Romani avevano già conquistato sotto Lucullo, prese anche questa roccaforte o, secondo altri resoconti, la città si arrese (Tac. Ann. 13.41, 14.24). La presa di Tigranocerta avvenne nel 60 d.C. e i Romani erano ormai completamente padroni dell’Armenia. Nella prima parte del regno di Nerone, la situazione sulla frontiera renana era abbastanza tranquilla. I soldati romani, sotto Paullino Pompeo, nel basso Reno, erano impegnati a completare gli argini che Druso aveva iniziato sessantatré anni prima per contenere le acque del fiume; e L. Veto aveva formulato il nobile progetto di unire l’Arar (Saona) e la Mosella con un canale, collegando così il Mediterraneo e l’Oceano Germanico con una comunicazione idrica ininterrotta, attraverso il Rodano e il Reno. Ma la meschina gelosia di Elio Gracile, il legato della Belgica, vanificò questo progetto.
Il pronipote di Antonio, Nerone, è sempre alla ricerca di sensazioni sconosciute, e trova a Roma le gioie della “vita inimitabile”. Al calar della notte si traveste, si mette in testa un berretto da liberto, un berretto da ragazzaccio, a volte una parrucca, e parte all’avventura in tutti i bassifondi della capitale. Lo vediamo nelle bische, nei bordelli della Suburra. È accompagnato da guardie del corpo travestite come lui e che lo aiutano nei suoi crimini. La “banda Nerone” è formidabile: sfonda le porte di negozi e case, depreda mercanzie, proprietà private; l’imperatore ebbe il coraggio di allestire una “mensa” nel suo palazzo, dove fece mettere all’asta i proventi dei suoi furti […].
Il gioco sembra ancora più divertente a Nerone perché è sicuro che si divertirà in questo modo in incognito. Pura illusione: tutti in città conoscono i lineamenti dell’imperatore la cui effigie adorna le monete che usano quotidianamente; i romani identificano facilmente anche gli accoliti di Nerone: sono quelli che vedono, al circo, al teatro, nelle cerimonie ufficiali, a formare la guardia d’onore dell’imperatore. Questo spiega anche perché le sfortunate vittime non si difendono con estremo vigore quando riconoscono i loro aggressori come la banda imperiale. Questi divertimenti di Nerone, inoltre, danno spunti ai veri criminali: attaccano e derubano i romani spacciandosi per Nerone e le sue guardie del corpo.Catherine Salles, I bassifondi dell’Antichità, 1982
Morte di Agrippina
La passione di Nerone per Poppea fu probabilmente la causa immediata della morte della madre. Poppea aspirava a sposare l’imperatore, ma non aveva speranze di riuscire nel suo intento finché Agrippina fosse stata in vita, e quindi usò tutte le sue arti per spingere Nerone a togliere di mezzo una donna che lo teneva sotto tutela e che probabilmente mirava alla sua rovina. Che Agrippina abbia tentato di distruggere il figlio, o almeno di dare il potere imperiale a un nuovo marito di sua scelta, è abbastanza probabile; ed è un fatto significativo che troviamo la sua testa e quella di Nerone sulla stessa faccia di una medaglia, e che all’inizio del suo regno le fu impedito a stento di assumere le funzioni imperiali (Tac. Ann. 13.5). Dopo un tentativo fallito di provocare la sua morte in una nave vicino a Baia, fu assassinata per ordine di Nerone (59 d.C.), con l’approvazione almeno di Seneca e di Burro, che videro che era giunto il momento di sopprimere o la madre o il figlio (Tac. Ann. 14.7). La morte di Agrippina fu comunicata al Senato con una lettera redatta da Seneca e tutti, con atteggiamento servile, con l’eccezione di Trasea Peto, espressero le proprie congratulazioni all’imperatore, che poco dopo tornò a Roma. Ma sebbene fosse stato ben accolto, sentiva il castigo della sua coscienza colpevole e diceva di essere perseguitato dallo spettro di sua madre (Suet. Nero 34). Durante i sacrifici per la morte di Agrippina si verificò una grande eclissi di sole e si verificarono altri segni che la superstizione interpretò come segnali dell’angoscia degli dèi (D. C. 61.16, ed. Reimarus, e nota). Nerone affogò le sue angosce in nuovi distrazioni, nelle quali fu incoraggiato da una banda di adulatori. Una delle sue grandi passioni era la guida delle bighe, e ambiva a guadagnare credito come musicista, tanto da apparire come interprete in teatro. Allo stesso tempo, la sua stravaganza stava esaurendo le finanze e preparando la strada per la sua rovina, anche se questa fu solo rimandata di qualche anno.
Presagi, rivalità ed esilii
Nel 60 d.C. Nerone fu console per la quarta volta con C. Cornelio Lentulo come collega. In quell’anno apparve una cometa, che allora, come in tempi più recenti, si riteneva presagisse qualche grande cambiamento. In questo anno Tigrane si insediò come re dell’Armenia e il comandante romano Corbulone, lasciando alcuni soldati a proteggerlo, si ritirò nella sua provincia di Siria. Il timore di Nerone lo indusse a sollecitare Rubellio Plauto, che apparteneva alla famiglia dei Cesari attraverso la madre Giulia, figlia di Druso, a lasciare Roma. Plauto era un uomo di buon carattere e Nerone lo considerava un pericoloso rivale. Si ritirò in Asia, dove fu messo a morte due anni dopo per ordine dello stesso Nerone (Tac. Ann. 14.22; D. C. 62.14). Nel 61 d.C. ebbe luogo la grande rivolta in Britannia sotto Boadicea (Budicca), che fu sedata dall’abilità e dal vigore del comandante romano Svetonio Paullino.
Boudicca era una regina guerriera degli Iceni, che guidò diverse tribù britanniche, inclusi i loro vicini Trinovanti, durante la più grande rivolta della Britannia contro l’occupazione romana, negli anni ’60 nel I secolo, sotto il regno dell’imperatore Nerone. Queste vicende furono narrate soprattutto da due storici, Tacito (nei suoi Annali e nella Vita di Giulio Agricola) e Dione Cassio (nella Storia romana).
Il suo nome significava “vittoria”. È anche conosciuto come Budicca, Buduica, Bonduca o dalla sua forma latinizzata di Boadicea.
Secondo un trattato, alla morte del sovrano degli Iceni, il regno avrebbe dovuto essere diviso equamente fra l’Impero Romano e la famiglia del monarca deceduto, cioé la stessa moglie Boudicca. Ma i romani presero a pretesto il fatto che si potesse trasmettere la successione solo per via maschile, e si impadronirono di tutto il regno. Boudicca e le sue figlie furono esposte al pubblico ludibrio, esponendole nude in pubblico e frustate. Le figlie furono anche stuprate.
Ne seguì una delle più memorabili rivolte della storia dell’impero romano, con una battaglia finale in località Watling Street (nella Britannia centro-meridionale), dove le tribù britanniche ribelli subirono la disfatta da parte delle legioni romane. Boudiccasi si diede di sua volontà la morte, bevendo del veleno, per non cadere in mano nemica, divenendo una martire della lotta dei popoli contro l’oppressione e la tirannia. La sua figura fu rievocata, dopo un lungo oblio, a partire dal Rinascimento fino ai giorni nostri. Oggi è considerata una delle eroine nazionali più antiche della storia della Gran Bretagna.
Si eliminano i contestatori ed entra in scena Tigellino
Il pretore Antistio fu accusato di aver scritto versi scandalosi contro Nerone, fu processato in base alla legge della majestas e solo grazie a Trasea fu salvato dalla condanna a morte da parte del Senato. Antistio fu bandito e i suoi beni resi pubblici. Fabrizio Veiento, che aveva scritto liberamente contro il Senato e i sacerdoti, fu anche lui condannato e bandito dall’Italia. I suoi scritti vennero bruciati, con l’effetto che vennero cercate delle copie clandestine e lette avidamente: quando non furono più proibiti, vennero presto dimenticati, come osserva Tacito (Ann. 14.49), e la sua nota contiene molta saggezza pratica. La morte di Burro (62 d.C.) fu una calamità per lo Stato. Nerone mise al comando delle truppe pretoriane Fennio Rufo e Sofonio Tigellino: Rufo era un uomo onesto e inattivo; Tigellino era un furfante, il cui nome è stato reso infame dai crimini a cui spinse il suo padrone e da quelli che commise lui stesso. Seneca, che vedeva il suo credito andare in fumo, chiese saggiamente di ritirarsi; e il filosofo, che non poteva approvare tutti gli eccessi di Nerone, anche se la sua stessa moralità è quantomeno dubbia, lasciò il suo vecchio allievo a seguire la sua strada e i consigli dei peggiori uomini di Roma.
Divorzio e morte di Ottavia
Nerone era ora più libero. Per poter sposare Poppea, divorziò dalla moglie Ottavia, per un presunto motivo di sterilità, e in diciotto giorni sposò Poppea. Non contento di aver allontanato la moglie, fu istigato da Poppea ad accusarla di adulterio, per la quale non c’era il minimo motivo, e fu bandita nell’isoletta di Pandataria, dove poco dopo fu messa a morte. Secondo Tacito (Tac. Ann. 14.64) Ottavia aveva solo vent’anni; la sua vita infelice e la sua morte prematura furono oggetto di commiserazione generale.
Riecco l’Armenia…
Le vicende dell’Armenia (62 d.C.) erano ancora travagliate e i resoconti degli storici dell’epoca non sono molto chiari. I Parti invasero nuovamente l’Armenia e Tiridate tentò di recuperarla da Tigrane. Sembra che Vologete e Corbulone avessero concordato che Tiridate avrebbe avuto l’Armenia e che le ostilità sarebbero cessate. Ma gli ambasciatori che Vologete inviò a Roma tornarono senza raggiungere l’obiettivo della loro missione e la guerra contro i Parti in Armenia fu rinnovata sotto L. Cesennio Peto. Ma l’incompetenza del generale causò la rovina dell’impresa, ed egli fu costretto a chiedere condizioni di pace a Vologete e ad acconsentire all’evacuazione dell’Armenia (Tac. Ann. 15.16; D. C. 62.21). L’anno successivo Corbulone scese a patti con Tiridate, che rese omaggio al ritratto di Nerone alla presenza del comandante romano (Tac. Ann. 15.30) e promise che si sarebbe recato a Roma, non appena avesse potuto prepararsi per il viaggio, per chiedere all’imperatore romano il trono d’Armenia. In questo anno la città di Pompei, in Campania, fu quasi distrutta da un terremoto. Poppea partorì ad Antium una figlia, che ricevette il titolo di Augusta, che fu dato anche alla madre. La gioia di Nerone fu incontenibile, ma la bambina morì prima di compiere quattro mesi.
Roma brucia…
L’origine del terribile incendio di Roma (64 d.C.) è incerta. È poco credibile che la città sia stata incendiata per ordine di Nerone, anche se Dione e Svetonio attestano entrambi il fatto, ma questi scrittori sono sempre pronti a credere a un qualche racconto scandaloso. Tacito (Tac. Ann. 15.38) lascia la questione in sospeso. L’incendio ebbe origine in quella parte del circo che è contigua ai colli Celio e Palatino, e delle quattordici regiones di Roma tre furono completamente distrutte, e in altre sette rimasero solo alcune case semidistrutte. Furono bruciati una quantità prodigiosa di beni e di opere d’arte di valore, e molte vite andarono perdute. L’imperatore si accinse a ricostruire la città in base ad un piano regolatore migliore, con strade più larghe, anche se è dubbio che la salubrità di Roma sia stata migliorata allargando le strade e rendendo le case più basse, perché c’era meno protezione contro il calore. Nerone trovò il denaro per i suoi scopi, secondo la tradizione, ricorrendo ad atti di oppressione e violenza, e persino i templi furono derubati delle loro ricchezze. Con questi mezzi iniziò ad erigere il suo sontuoso palazzo d’oro, in una scala di grandezza e splendore che quasi supera l’immaginazione. Il vestibolo conteneva una statua colossale alta centoventi piedi (Suet. Nero 100.31; Marziale, Spect. Ep. 2).
La Domus Aurea (La casa d’oro) fu il palazzo fatto erigere nel cuore dell’antica Roma da Nerone, dopo che il Grande Incendio che devastò la città nel 64 travolse le dimore aristocratiche dalle pendici del colle Esquilino. Si racconta che Nerone stesso, quando la reggia fu ultimata e vi entrò per la prima volta, abbia esclamato “Bene! Posso finalmente iniziare a vivere come un essere umano!”
Secondo l’attuale suddivisione amministrativa del centro di Roma, la Domus Aurea si trova nel Rione Monti. Nerone assunse due architetti, Severo e Celero, per progettare la sua nuova residenza e i lavori si protrassero fino alla morte dell’imperatore nel 68 d.C. La Domus Aurea, che si estendeva per 219 ettari, possedeva un lago artificiale, parchi e veri e propri boschi, oltre a una serie di edifici che comprendevano passaggi coperti che collegavano il complesso ai palazzi di Augusto e Tiberio. Sebbene una parte della Domus Aurea sia stata distrutta dopo la morte di Nerone, un’altra discreta porzione fu successivamente interrata per ospitare le terme costruite da Traiano (98-117 d.C.) e si è conservata visibile ancora oggi, completa di intonaci e soffitti.
L’odio per il sospetto di aver fatto appiccare l’incendio, una calunnia che l’imperatore non riuscì mai ad allontanare da sé, egli cercò di gettarlo sui cristiani, che allora erano numerosi a Roma, e molti di loro furono messi a morte crudelmente (Tac. Ann. 15.44, e la nota di Lipsius).
L’incendio di Roma e la prima grande persecuzione contro i Cristiani
Fu nel decimo anno del suo regno che il cosiddetto Grande incendio ridusse in cenere più della metà di Roma. Templi, monumenti ed edifici di ogni tipo furono spazzati via dalle fiamme, che si riversarono come un mare sulla pianura e alla base dei colli occupati dalla città. Il popolo, nello sgomento della situazione, era pronto a credere a qualsiasi voce sull’origine dell’incendio.
Si diceva quindi che Nerone stesso avesse ordinato di far appiccare il fuoco e che dal tetto del suo palazzo si fosse goduto lo spettacolo e si fosse divertito a cantare un poema da lui stesso scritto, intitolato “La presa di Troia ” .
Nerone fece di tutto per screditare queste calunnie… Si recò di persona tra i sofferenti e distribuì denaro dalle sue stesse mani. Per distogliere ulteriormente l’attenzione da sé, accusò i cristiani di aver cospirato per distruggere la città, al fine di favorire le loro profezie.
La dottrina insegnata da alcuni seguaci della nuova setta sulla seconda venuta di Cristo e sulla distruzione del mondo per mezzo del fuoco, dava fondamento a questa accusa.
La persecuzione che seguì fu una delle più famose registrate nella storia della Chiesa. Si racconta che molte vittime furono ricoperte di pece e bruciate di notte, per servire da torce nei giardini imperiali, ma sembrano tutte fake news frutto di Tacito e della successiva patristica cristiana.
La tradizione ricorda i nomi degli apostoli Pietro e Paolo come vittime di questa persecuzione neroniana.
Per quanto riguarda Roma, l’incendio, seppure fu una grave disgrazia, ebbe risultati positivi. Furono fatte richieste di denaro e materiale a tutto il mondo romano per la ricostruzione dei quartieri bruciati. La città si risollevò dalle sue ceneri con la stessa rapidità con cui Atene si risollevò dalle sue rovine alla fine delle guerre persiane.
I nuovi edifici furono resi più resistenti al fuoco e le strade strette e storte divennero degli ampi e bei viali. L’acqua fu distribuita dagli acquedotti in tutte le case e i terreni. Una parte considerevole della zona bruciata fu destinata da Nerone alla costruzione di un immenso palazzo, chiamato “Domus Aurea” (la “Casa d’Oro”). Il palazzo copriva così tanto spazio che la gente continuò nonostante tutto ad alludere malignamente al fatto che Nerone avesse incendiato la vecchia città per farle posto.
“Nerone cercò subito un colpevole e inflisse le più squisite torture a un gruppo odiato per i suoi abomini, che il popolo chiamava cristiani. Cristo, da cui prendono il nome, subì la pena capitale durante il principato di Tiberio per mano di uno dei nostri procuratori, Ponzio Pilato, e questa nefasta superstizione riviveva non solo in Giudea, fonte primordiale del male, ma anche a Roma, dove tutti i vizi e i mali del mondo trovano il loro centro e diventano popolari. Di conseguenza, tutti coloro che si dichiararono colpevoli furono prima arrestati; poi, con le informazioni che fornirono, fu imprigionata un’immensa moltitudine, non tanto per il crimine di aver incendiato la città, quanto per l’odio verso il genere umano. Le loro esecuzioni sono state accompagnate da ogni sorta di scherno. Coperti di pelli di bestie, venivano fatti a pezzi dai cani e morivano, o venivano crocifissi, o condannati al rogo e bruciati per servire da luce notturna, quando il giorno finiva”.
Tacito, Annali
La congiura dei Pisoni
La tirannia di Nerone portò infine (65 d.C.) all’organizzazione di una formidabile congiura contro di lui, che fu scoperta da Milico, un liberto di Flavio Scevino, senatore e uno dei cospiratori. La scoperta fu seguita da numerose esecuzioni. C. Calpurnio Pisone fu messo a morte e il poeta Lucano, vile adulatore di Nerone (Pharsal 1.33, &c.), ebbe il favore di potersi aprire le vene. Plauzio Laterano fu condotto a morte in fretta e furia senza avere il tempo nemmeno di abbracciare i suoi figli. Non è certo che Seneca fosse al corrente della congiura: Dione, ovviamente, dice che lo era. È probabile che i congiurati gli abbiano fatto alcune proposte, ed è probabile che egli abbia rifiutato di unirsi a loro. Comunque sia, per Nerone era giunto il momento di sbarazzarsi anche del suo vecchio tutore e, con i suoi consiglieri Poppea e Tigellino vicino a lui, mandò Seneca l’ordine di darsi la morte. Il filosofo si aprì le vene e, dopo lunghe sofferenze, fu portato in un bagno o in una stanza piena vapore, che lo soffocò. Sembra che Seneca sia morto nel momento in cui fu scoperta la congiura; Lucano e altri morirono dopo di lui. Il senato era riunito, come se stesse per ascoltare i risultati di una guerra vittoriosa, e Tigellino fu premiato con gli onori trionfali. (Tac. Ann. 15.72.)
Cara Poppea, sei bella ma mi hai stufato: t’ammazzo!
Seguì la morte di Poppea. Il suo brutale marito, in un impeto di rabbia, la prese a calci quando era incinta e lei morì sul colpo. Il suo corpo non fu bruciato, ma imbalsamato e posto nel sepolcro dei Giuli. Nerone chiese di sposare Antonia, figlia dell’imperatore Claudio e sua sorella d’adozione, ma lei rifiutò l’onore e fu quindi messa a morte. Nerone, tuttavia, sposò Statilia Messallina, vedova di Vestino, il quale fu messo morte proprio perché aveva sposato Messallina, con la quale Nerone aveva già convissuto.
La fedina penale di un imperatore (che tra l’altro, non può averne una…)
Il catalogo dei crimini di Nerone occupa la maggior parte della sua vita, ma i suoi delitti mostrano il carattere dell’uomo e dei tempi, e a quale stato di abietta degradazione fosse ridotto il senato romano, che fu reso strumento di omicidi legalizzati. Il giurista C. Cassio Longino fu esiliato in Sardegna. L. Giunio Silano Torquato, un uomo di merito, L. Antistio Veto, sua suocera Sestia e sua figlia Pollutia, moglie di Rubellio Plauto, furono tutti sacrificati. La virtù, in qualsiasi forma, era oggetto di timore di Nerone. Per qualche motivo o capriccio, l’imperatore donò una grossa somma, che possiamo supporre fosse denaro pubblico, per ricostruire Lugdunum (Lione), che era stata colpita da un incendio; e la città dimostrò la sua gratitudine, sposando la sua causa quando venne abbandonato da tutti. La sovvenzione, tuttavia, fu concessa solo alcuni anni dopo l’incendio.
Arriva Apollonio, magro e negromante…
Durante il regno di Nerone (66 d.C.) Apollonio di Tiana, mago e filosofo neo-pitagorico, visitò Roma. Era giunto nell’Urbe, come diceva lui, perché voleva vedere «che razza di animale fosse un tiranno», e condannò l’uso dei bagni pubblici. Si dice anche che avesse compiuto dei miracoli. Quando durante una processione funebre, la bara di una fanciulla di una famiglia di un console gli passò davanti, si avvicinò a lei, disse alcune parole magiche, e la fanciulla si alzò e si avviò verso la casa dei suoi genitori. Gli offrirono una grossa somma, ma lui la accettò solo per darla in dote alla fanciulla. Un altro giorno, trovò la folla terrorizzata che guardava un’eclissi di sole nel mezzo di una forte tempesta. Apollonio guardò il cielo e disse in tono profetico: “Qualcosa di grande accadrà e non accadrà”. Tre giorni dopo un fulmine colpì il palazzo di Nerone e fece cadere la coppa che l’imperatore portava alle labbra. Tutti pensarono di vedere in quell’avvenimento il compimento della profezia di Apollonio. Nerone aveva emanato un editto contro i maghi. Quindi Apollonio fu presto condotto davanti al console Telesino, e da Tigellino, il favorito dell’imperatore; il primo dei quali lo licenziò, si dice, per amore della filosofia, e il secondo per timore di un potere magico: quando stava per essere letta l’accusa contro di lui, il foglio divenne bianco e le lettere scomparvero. Apollonio trovò poi il modo di lasciare Roma.
Nerone divenne allora sospettoso di tutti i filosofi e Musonio Rufo, un cavaliere romano e filosofo stoico, fu bandito dall’imperatore. Il frammento del XVI libro degli Annali di Tacito si conclude con il resoconto della morte di Anneo Mella, padre di Lucano, e di C. Petronio, uomo di piacere, ma probabilmente non è lui l’autore del Satyricon. Nerone, come dice Tacito (Ann. 16.21), attaccò ora la virtù stessa nelle persone di Trasea Peto e Barea Sorano. Il crimine di Trasea era la sua virtù: l’accusa contro di lui era di essersi tenuto lontano dal Senato e di aver dimostrato così, con la sua assenza, di approvarne le decisioni. Ragion per cui fu condannato a morte, ma poté scegliere il modo di morire e dunque si aprì le vene. Sorano era ricco e questo probabilmente il suo vero crimine. Fu condannato insieme alla giovane figlia Servilia, che a sua insaputa aveva consultato gli indovini per sapere quale sarebbe stata la sorte del padre. (Tac. Ann. 16.30, &c.) Con la morte di Trasea, che, mentre il sangue gli sgorgava dalle vene, dedicò una libagione a Giove Liberatore, termina il frammento del sedicesimo libro di Tacito, e la sorte dello spregevole tiranno non ci è stata trasmessa dalle parole dell’indignato storico, che è costretto a scusarsi per la sua tediosa cronaca di crimini e spargimenti di sangue. (Tac. Ann. 16.16.)
Gli armeni si sottomettono
Il momento scelto per la morte di Trasea e Sorano fu quello in cui Tiridate si preparava a fare il suo ingresso a Roma. Il re armeno arrivò nell’Urbe via terra con la moglie e i figli. Le province che attraversò dovettero sostenere le spese del suo numeroso seguito. Entrò in Italia dall’Illirico e fu ricevuto da Nerone a Napoli, davanti al quale cadde in ginocchio e lo riconobbe come suo signore. Tiridate fu condotto a Roma, dove si umiliò davanti a Nerone nel teatro; l’imperatore gli concesse la corona d’Armenia e il permesso di ricostruire Artaxata (D. C. 63.6). Tiridate tornò a casa passando per Brundusium. Vologese fu invitato a Roma da Nerone per sottoporsi alla stessa cerimonia, ma declinò l’onore e fece sapere che se Nerone avesse voluto vederlo, sarebbe dovuto venire da lui in Asia. (D. C. 63.7.)
Espansione coloniale? Lascia perdere Nerone, non fa per te!
Nerone fece alcuni progetti per estendere l’impero e si parlò di varie spedizioni, ma egli non era un soldato: non aveva nemmeno l’indole bellica romana. Nell’ultima parte di quest’anno visitò la Grecia, seguito da un grande stuolo di gente, per mostrare agli Elleni la sua abilità di musicista e di auriga e per ricevere gli onori che gli furono liberalmente conferiti. Mentre Nerone si trovava in Grecia, Cestio Gallo, governatore della Siria, gli inviò la notizia della propria sconfitta da parte dei Giudei, che erano in armi; a seguito di ciò Nerone inviò Vespasiano, il futuro imperatore, a continuare la guerra contro di loro e Muciano ad assumere l’amministrazione della Siria.
La tournée ai Giochi Olimpici
Nell’anno 67 d.C. Nerone presenziò ai giochi olimpici, che erano stati rinviati dal 65 per consentire la presenza di un personaggio così illustre. Per commemorare la sua visita egli dichiarò tutta la Grecia libera, cosa che fu proclamata pubblicamente a Corinto, il giorno della celebrazione dei giochi istmici. Ma i Greci pagarono caro ciò che ottennero, poiché il prezzo di ogni genere aumentò in seguito alla visita di Nerone; essi assistettero poi a uno dei suoi atti di crudeltà, quando mise a morte, durante i giochi istmici, un cantante la cui voce oscurava la propria. (Luciano, Nerone, vol. iii. p. 642, ed. Hemst.) Nerone fece anche tappa a Delfi, ottenendo una sorta di predizione con una promessa indiretta di lunga vita; ma le altre notizie su questa visita sono raccontate in modo un po’ confuso da diverse fonti. Progettò anche un canale attraverso l’Istmo, che fu iniziato con grande parata, e Nerone stesso diede il primo colpo sul terreno con una vanga d’oro. I lavori furono portati avanti con vigore per un certo periodo, ma furono poi sospesi per suo stesso ordine. Mentre Nerone si trovava in Grecia, vi convocò Corbulone con una lettera cordiale, ma, quando il vecchio soldato arrivò a Cencrea, Nerone inviò l’ordine di metterlo a morte, cosa che Corbulone anticipò pugnalandosi. Perì così un uomo che aveva servito fedelmente l’impero e l’imperatore, e il cui talento militare e la cui integrità gli conferivano il nome di autentico romano. (Dion. 63.17.)
Trionfo per…un musicista
Nerone aveva lasciato Elio, un suo liberto, ad occuparsi dell’amministrazione di Roma, con piena facoltà di fare ciò che voleva, facoltà di cui abusava. Elio, prevedendo i guai che si stavano preparando per il suo padrone, gli scrisse per chiedergli di tornare a Roma e infine si recò in Grecia per sollecitare la sua partenza. Nerone lasciò la Grecia probabilmente nell’autunno del 67 d.C.. Entrò a Roma in trionfo, come si addice a un vincitore olimpico, attraverso una breccia nelle mura, a cavallo della carrozza di Augusto, con un musicista al suo fianco; ed esibì le numerose corone che aveva ricevuto nella sua visita in Grecia. La musica, la guida dei carri e simili divertimenti occuparono questo folle uomo fino a quando, come osserva ingenuamente lo storico Tillemont, la rivolta in Spagna e in Gallia gli diedero un’altra occupazione.
Basta! Ci hai stufato, tu e le tue canzoni! Ci ribelliamo!
Silio Italico, il poeta, e Galerio Tracalo furono consoli nel 68 d.C., l’ultimo anno di vita di Nerone. La tempesta che si stava preparando da tempo scoppiò in Gallia, dove Giulio Vindice, governatore della Celtica, chiamò a raccolta il popolo e, esponendo le proprie rimostranze e descrivendo il carattere spregevole di Nerone, esortò tutti alla rivolta. Vindice si mise presto alla testa di un grande esercito e scrisse a Galba, che era governatore della Hispania Tarraconensis, per offrirgli il suo appoggio nell’elevazione al potere imperiale. Galba venne contemporaneamente a sapere che Nerone aveva inviato l’ordine di metterlo a morte, per cui fece una pubblica arringa contro i crimini di Nerone e fu proclamato imperatore; ma assunse solo il titolo di legatus del senato e del popolo romano. Nerone si trovava a Napoli quando venne a conoscenza della rivolta in Gallia, che non lo preoccupò più di tanto e continuò a dedicarsi ai suoi soliti divertimenti. Finalmente giunse a Roma, dove venne a conoscenza anche dell’insurrezione di Galba, che lo gettò in un violento attacco di terrore e angoscia, ma non ebbe né la capacità né il coraggio di organizzare alcun mezzo efficace di resistenza. Il Senato dichiarò Galba nemico dello Stato e Nerone, per un motivo o per l’altro, privò i due consoli della loro carica e si fece console unico. Questo fu il suo quinto consolato. Forse aveva una vaga idea di mettersi più decisamente a capo degli affari con il titolo di console unico, come Cn. Pompeo prima di lui e C. Giulio Cesare.
L’ascesa di Galba
Virginio Rufo, governatore della Germania superiore, uomo abile e integro, non era favorevole alle pretese di Galba. Rufo marciò dapprima contro Vindice, sostenuto da quelle parti della Gallia che confinavano con il Reno; la città di Lione, insieme ad altre, si dichiarò contro Vindice. Virginio pose l’assedio a Vesontio (Besançon), e Vindice arrivò per sollevarla. I due generali ebbero un colloquio e sembravano aver raggiunto un accordo; ma, mentre Vindice stava per entrare in città, i soldati di Virginio, pensando che stessero per attaccarli, si lanciarono contro le truppe di Vindice. L’intera vicenda è molto confusa; l’unico fatto certo è che Vindice morì, ma non si capisce bene se durante lo scontro o se sia stato assassinato poi. A questo punto i soldati distrussero le statue di Nerone e proclamarono Virginio come Augusto; ma egli rifiutò fermamente l’onore e dichiarò che si sarebbe sottomesso agli ordini del Senato. La morte di Vindice scoraggiò in un primo momento Galba, che cominciava a perdere ogni speranza, quando inaspettatamente ricevette da Roma la notizia che era stato riconosciuto come successore di Nerone.
La caduta: “Quale artista muore con me!”
Una carestia a Roma nonostante gli sforzi che Nerone stava facendo per raccogliere fondi per alleviarne gli effetti, accelerarono la sua rovina. Ninfidio Sabino, che ora era prefetto del pretorio con Tigellino, approfittando di una voce secondo cui Nerone sarebbe scappato in Egitto, convinse le truppe a proclamare Galba Imperatore. Nerone fu immediatamente abbandonato da tutti. Fuggì di notte dal palazzo con alcuni schiavi e si diresse verso una casa a circa quattro miglia da Roma, che apparteneva a Fione, uno dei suoi liberti, dove passò la notte e parte del giorno successivo in uno stato di terrore e angoscia. Essendo noto il suo nascondiglio, fu inviato un centurione con alcuni soldati per catturarlo. Pur essendo un vigliacco, Nerone ritenne che una morte volontaria fosse meglio di tutto il disonore che sapeva gli si stava preparando; e, dopo una certa irresolutezza, con l’aiuto del suo segretario Epafrodito, si procurò una ferita mortale quando sentì il calpestio dei cavalli sui quali stavano arrivando al galoppo i suoi inseguitori. Un centurione che arrivò sul posto cercò di fermare il flusso di sangue, ma Nerone disse: “È troppo tardi. È questa la tua fedeltà?”, poi spirò irrigidito in un orribile sguardo.
Le versioni sulla morte di Nerone sono più o meno abbastanza concordi, tranne che per le ultime parole da lui pronunciate. Quella più famosa gli attribuisce l’esclamazione: “Quale artista muore con me!”
Nerone era il sesto e ultimo discendente della casa Giulio-Claudia. La famiglia del grande Cesare era ormai estinta; ma il nome rimase, e fu adottato da tutti gli Imperatori successivi.
Il corpo di Nerone ricevette onori funebri adeguati al suo rango e le sue ceneri furono deposte nel sepolcro dei Domitii da due delle sue nutrici e dalla concubina Atte, che aveva conquistato l’affetto di Nerone dalla moglie Ottavia all’inizio del suo regno. (Tac. Ann. 13.12; Suet. Nero 50.) Svetonio, alla sua maniera, dà una descrizione della persona di Nerone, che non è molto lusinghiera: la “cervix obesa” di Svetonio è una caratteristica del busto di Nerone. (Lib. of Entertaining Knowledge, Townley Gallery, vol. ii. p. 28).
Quo Vadis? (nell’originale polacco: “Quo Vadis: Powieść z czasów Nerona” “Quo vadis: una storia del tempo di Nerone“) è un romanzo dello scrittore polacco Henryk Sienkiewicz (1846-1916 – premio Nobel per la letteratura nel 1905), ambientato nella Roma imperiale, al tempo di Nerone, e incentrato sulla persecuzione dei cristiani dopo il Grande incendio di Roma.
Pubblicato per la prima volta a puntate sulla rivista Gazeta Polska a partire dal marzo 1895, e poi come romanzo a sé stante nel 1896, il libro fu un grande bestseller, Quo vadis è stato tradotto in più di cinquanta lingue ed è stato più volte adattato al cinema, ad esempio nel 1951 da Mervyn LeRoy, Robert Taylor (Marco Vinicio), Deborah Kerr (Licia) e Peter Ustinov (Nerone).
Il libro (e le opere da esso derivate) raccoglie e consegna definitivamente all’immaginario collettivo tutti gli stereotipi sulla Roma Antica e Imperiale e la sua corruzione, su Nerone (al quale viene disinvoltamente attribuita la responsabilità dell’incendio, mentre già la storiografia del tempo era più cauta o ne dubitava) e sulle persecuzioni cristiane, che sebbene siano un fatto accertato e furono indubbiamente spietate, non raggiunsero mai i livelli descritti nel romanzo e nei film successivi.
Origine dell’espressione
L’espressione “Quo vadis, Domine?” (Dove vai, Signore?) deriva da una tradizione cristiana, riportata nelle fonti apocrife, secondo la quale Gesù apparve a Pietro, che stava lasciando Roma per sfuggire alle persecuzioni di Nerone. Quando l’apostolo gli chiese: “Dove vai, Signore?” Si sentì rispondere “Vado a Roma, per essere crocifisso un’altra volta”.
Poeta o impostore?
“Il pensiero di Nerone morente: qualis artifex pereo! era anche il pensiero di Augusto morente : vanità istrionica! Loquacità istrionica! E proprio la controparte del Socrate morente !” – Friedrich Nietzsche , La Gaia scienza, 1882
In gioventù Nerone fu istruito in tutte le conoscenze liberali dell’epoca, tranne la filosofia, e fu allontanato dallo studio degli antichi oratori romani dal suo maestro Seneca. Di conseguenza, si dedicò alla poesia e Svetonio dice che i suoi versi erano scritti proprio da lui, e non copiati da altri come alcuni suppongono, poiché il biografo stesso aveva visto ed esaminato alcune tavolette e libricini di Nerone, in cui la scrittura era di sua mano, ma con molte cancellature e correzioni. Aveva anche abilità nella pittura e nella modellazione. Benché ricco e amante dello sfarzo, Nerone aveva apparentemente un certo gusto. L’Apollo Belvedere e il Gladiatore Combattente, come viene chiamato, di Agasia, sono stati trovati nelle rovine di una villa ad Antium, che si ipotizza sia appartenuta a Nerone. (Cfr. Thiersch, Ueber die Epochen der Bildenden Kunst, &c. p. 312, 2a ed.).
Profilo criminale?
Contrariamente a quanto si crede, Nerone non è affatto crudele. Certamente, all’occasione, come tutti i Romani del suo tempo, non mostra di risparmiare troppe vite umane; tuttavia non soltanto non è più feroce dei suoi contemporanei, ma anzi lo è sensibilmente di meno di loro. Se lo si raffronta ai suoi predecessori, in fatto di atrocità è molto al di sotto di Tiberio, di Caligola, addirittura di Claudio.
Georges Roux, Nerone
Il percorso di Nerone nel crimine è facilmente rintracciabile e la sua lezione vale la pena di essere letta. Privo di una buona educazione e senza alcun talento per la sua alta posizione, si trovò fin dall’inizio in una posizione di pericolo. Era sensuale e amante degli sfarzi, quindi divenne avido di denaro per soddisfare le sue spese; era timido e di conseguenza divenne crudele quando anticipava il pericolo; e, come altri assassini, il suo primo crimine, l’avvelenamento di Britannico, lo rese capace di commetterne poi altri. Ma, per quanto spregevole e crudele fosse, ci sono molte persone che, nella stessa situazione, potrebbero intraprendere la stessa carriera criminale. Quando morì aveva solo trentun anni e deteneva il potere supremo da tredici anni e otto mesi. Era l’ultimo dei discendenti di Giulia, la sorella del dittatore Cesare.
La letteratura sotto Nerone
Al tempo di Nerone risalgono diverse opere, giunte fino a noi, di alcuni letterati latini: Persio, l’autore di satire, Lucano, l’autore del poema Pharsalia, e Seneca, il precettore di Nerone. Il giuristaC. Cassio Longino, e Nerva, il padre dell’omonimo imperatore Nerva, vissero tutti sotto Nerone. (Tac. Ann. xiii.xvi.; Suet. Ner.; Dio Cass. lxi.-lxiii. ed. Reimarus. Tutte le autorità per i fatti della vita di Nerone sono raccolte da Tillemont, Histoire des Empereurs, vol. I).
Mostro o vittima di calunnie?
Oggi la storiografia ci offre un’immagine completamente diversa rispetto alla tradizione, della figura di Nerone. Da noi, in Italia, ad esempio il giornalista e scrittore Massimo Fini ha scritto un celebro saggio pubblicato da Mondadori dal titolo molto illuminante ed esplicito: Nerone: duemila anni di calunnie, 1993 (più volte riedito e dal quale è stato anche tratto uno spettacolo teatrale). Ma anche in campo internazionale, insigni studiosi come Thorsten Opper che ha curato una mostra al British Museum proprio su Nerone (tenutasi dal 27 maggio al 24 ottobre 2021), così come il relativo volume (uscito nell’agosto dello stesso anno), hanno dimostrato come tutto ciò che sappiamo sull’imperatore poeta, sia in realtà frutto di tradizioni successive ostili. Ecco come l’editore e l’autore presentano il libro Nero: The Man Behind the Myth (Nerone: l’uomo oltre il mito)
Una delle figure più note e allo stesso tempo più famose della storia romana, Nerone (r. 54-68 d.C.) è solitamente caratterizzato come un imperatore tirannico e inefficace, un sovrano che proverbialmente “cantava mentre Roma bruciava”. Tuttavia, come dimostra una nuova ricerca, questa reputazione è rozzamente riduttiva ed è stata accuratamente realizzata nell’antichità da autori d’élite ostili, che immaginavano una diversa forma di governo più consapevole delle esigenze della propria classe sociale e politica.
Questa pubblicazione ristabilisce l’equilibrio e fornisce un’interpretazione più sfumata del regno di Nerone e della società romana dell’epoca, riflettendo sulle tradizionali percezioni del suo governo e rivelando le sostanziali sfide esterne e interne con cui il sedicenne erede dell’impero romano dovuto contendere.Il dominio di Nerone cadde in un lungo periodo di transizione e di profondi cambiamenti sociali ed economici. L’impero era cresciuto rapidamente nei secoli precedenti e un’era sorprendente di pace e prosperità seguì l’introduzione del governo di un solo uomo dopo decenni di sanguinosa guerra civile sotto il bisnonno di Nerone, Augusto. Tuttavia, le istituzioni politiche e le mentalità d’élite sono state lente ad adattarsi alla conseguente ascesa di ex stranieri, persone delle province e schiavi liberati.
Il libro considera in dettaglio le tensioni risultanti e il ruolo impegnativo della famiglia di Nerone al loro interno. Individui potenti, tra cui molte donne, tra cui la madre di Nerone Agrippina, e il suo tutore e consigliere Seneca, prendono vita sullo sfondo di questi tempi, quando diverse fazioni di corte pensavano di manipolare il giovane sovrano. Allo stesso tempo, testimonianze intriganti – incisioni e graffiti – provenienti da Roma, Pompei e altre città vesuviane danno voce ad atteggiamenti spesso molto diversi della gente comune, del tutto ignorati dalle antiche fonti letterarie.
Oltre a queste sfide interne, Nerone ereditò un grande conflitto con il potere rivale dei Parti e disordini nei territori instabili appena conquistati, inclusa la Gran Bretagna. Il libro esamina la sua risposta militare e diplomatica e il potente linguaggio visivo – spesso ignorato – che lo presentava come un giovane leader militare di successo in tutto l’impero. Le riforme amministrative e fiscali culminarono in politiche ‘populiste’ che lo videro anche abbracciare con entusiasmo le possibilità offerte dagli spettacoli pubblici (il circo, l’arena e il teatro) per comunicare direttamente con i suoi sudditi e progettare una forma di governo più diretta e carismatica. Eppure i suoi grandiosi progetti di costruzione e l’abbellimento della sua capitale furono compensati da gravi disastri naturali e un devastante incendio di Roma.
Popolare fino alla fine presso la gente comune, Nerone non riuscì a conciliare le contraddizioni interne del principato, il sistema politico introdotto da Augusto. Segmenti ostili dell’élite erano dietro le ribellioni militari nel 68 d.C. che cacciarono rapidamente Nerone dal potere. Il suo suicidio forzato pose fine al governo della prima dinastia imperiale di Roma, i Giulio-Claudi. La successiva diffamazione della sua memoria e la rimozione e la profanazione della sua immagine sono un’eredità duratura, ma fuorviante, che lasciano un regno affascinante da esplorare nuovamente
(Libero adattamento e rimaneggiamento da A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology
William Smith, 1848, e da “Ancient History, Greece and Rome” di Philip Van Ness Meyers, Toronto, 1901 con aggiunte e integrazioni.)
Nel prossimo episodio: I QUATTRO IMPERATORI: GALBA, OTONE, VITELLIO »