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LA GUERRA DI TROIA – 10 – PALAMEDE

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Quando la flotta greca arriva davanti a Troia, il primo greco a perdere la vita è Protesilao, sotto i colpi di Ettore. Mentre i greci organizzano la cerimonia funebre in suo onore, senza preavviso, Cicno, figlio di Poseidone e re di Coloni, conduce un secondo assalto mettendo in fuga i greci, senza che nessuna arma possa ferirlo. Achille, alla guida del contrattacco, riesce ad ucciderlo strangolandolo. I Greci si accamparono sulla spiaggia che si estende davanti a Troia. Viene inviata un'ambasciata achea per cercare di ottenere la restituzione di Eleno, ma fallisce. Una volta che i Troiani si sono trincerati dietro le loro mura, Achille lavora per tagliarli fuori. Attacca e sottomette così undici città dell'Anatolia, satellitii di Troia. È a Lirnesso, una di queste città, durante il decimo anno dell'assedio, che l'eroe riceve Briseide come preda d'onore, mentre Agamennone riceve Criseide durante il sacco di Tebe Ipoplacia
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Fu in questo periodo che Odisseo portò a termine la sua lunga meditata vendetta contro Palamede.

Palamede era uno degli uomini più saggi, più energici e più retti fra tutti gli eroi greci, ed era in conseguenza del suo instancabile zelo e della sua meravigliosa eloquenza, che la maggior parte dei capi era stata indotta a unirsi alla spedizione. Ma le stesse qualità che lo rendevano caro al cuore dei suoi compatrioti, lo rendevano invece odioso agli occhi del suo implacabile nemico, Odisseo, il quale non lo perdonò mai di aver scoperto il suo piano per evitare di arruolarsi nell’esercito.

Ulisse, essendo stato ingannato da Palamede, figlio di Nauplio, continuava a tramare giorno dopo giorno su come ucciderlo. Alla fine, fatto un piano, mandò un suo soldato da Agamennone per dire che in sogno era stato avvertito che l’accampamento doveva essere spostato per un giorno. Agamennone, credendo vero l’avvertimento, ordinò che l’accampamento fosse appunto spostato per un giorno. 

(Igino, Fabulae 105)

Valeria Solarino in - Palamede, l’eroe cancellato - di Alessandro Baricco, 2016
Valeria Solarino in - Palamede, l’eroe cancellato - di Alessandro Baricco, 2016

Per portare Palamede alla rovina, Odisseo nascose nella sua tenda una grande somma di denaro. Scrisse poi una falsa lettera del re Priamo indirizzata allo stesso Palamede, in cui il primo ringraziava l’eroe greco per le preziose informazioni da lui ricevute, facendo riferimento allo stesso tempo alla grossa somma di denaro che gli aveva inviato come una ricompensa.

Ulisse, dunque, di notte nascondeva segretamente una grande quantità d’oro nel luogo dove si trovava la tenda di Palamede. Diede anche a un prigioniero frigio una lettera da portare a Priamo, e mandò un suo soldato per seguirlo ed ucciderlo non lontano dall’accampamento. Il giorno dopo, quando l’esercito tornò al campo, un  altro soldato trovò sul corpo del Frigio la lettera che Ulisse aveva scritto, e la portò ad Agamennone. 

(Igino, op. cit)

Questa lettera, che fu trovata appunto nelle mani di un prigioniero frigio, fu letta ad alta voce in un consiglio dei principi greci. Palamede fu citato in giudizio davanti ai capi dell’esercito e accusato di aver tradito il suo paese al nemico, dopodiché fu avviata una perquisizione e fu trovata una grossa somma di denaro nella sua tenda.

Addosso al corpo senza vita del prigioniero, fu trovata una lettera con l’intestazione: Mandato a Palamede da Priamo, e nel testo della stessa si prometteva al primo tanto oro quanto quello che Ulisse aveva nascosto nella tenda, se avesse rivelato la posizione dell’accampamento di Agamennone secondo l’accordo. E così, quando Palamede fu condotto davanti al re, e questi negò tutto, andarono tutti alla sua tenda e dissotterrarono l’oro. 

(Igino, op. cit)

Venne quindi dichiarato colpevole e condannato alla lapidazione. Benché pienamente consapevole del vile tradimento praticato contro di lui, Palamede non disse una parola in sua difesa, sapendo fin troppo bene che, di fronte a tali prove schiaccianti, il tentativo di dimostrare la sua innocenza sarebbe stato vano.

Agamennone credette che l’accusa fosse vera quando vide l’oro. In questo modo Palamede fu ingannato dal piano di Ulisse e, sebbene innocente, fu messo a morte da tutto l’esercito.

(Igino, op. cit)

Apologia di Palamede

Molti secoli dopo, il filosofo sofista Gorgia scrisse La difesa di Palamede, un discorso nel quale egli fingeva che lo stesso Palamede fosse in tribunale per difendersi dalle accuse di tradimento mosse da Odisseo. Come modello retorico, la Difesa utilizza principalmente l’argomento della verosimiglianza e dell’etica e descrive il logos come uno strumento positivo per creare argomentazioni etiche. La Difesa infatti, è un’orazione che tratta questioni di moralità e di impegno politico.

Gorgia si preoccupa di dimostrare come argomenti plausibili possano far dubitare delle verità convenzionali. In tutto il testo, il retore presenta un metodo per comporre argomenti logici (logos), etici (ethos) ed emotivi (pathos), che sono simili a quelli descritti da Aristotele nella Retorica.

Questi tipi di argomentazioni sui moventi e sulla possibilità di poter compiere le azioni contestate, come vengono presentati nella Difesa, sono successivamente descritti da Aristotele come topoi forensi.

Gorgia dimostra che per provare che sia stato commesso un tradimento, è necessario dimostrare anche tutta una serie di altri fatti, che sono i seguenti: l’avvenuta comunicazione tra Palamede e il nemico, lo scambio di un pegno col nemico sotto forma di ostaggi o denaro, l’esecuzione dell’intero piano in modo da non essere scoperti da guardie o dai cittadini.

Palamede di fronte ad Agamennone, Rembrandt
Palamede di fronte ad Agamennone, Rembrandt

A sua difesa, Palamede sostiene che una piccola somma di denaro non avrebbe giustificato un’impresa così grande e che invece una grossa quantità di sacchi di monete, se davvero questa tangente fosse stata versata, avrebbe richiesto l’aiuto di alcuni complici per poter essere trasportata.

Palamede argomenta inoltre che un tale scambio non avrebbe potuto avvenire né di notte, perché vegliavano le guardie, né di giorno, perché tutti avrebbero potuto vedere queste operazioni sospette.

Se qualcuna delle condizioni di cui sopra si fosse verificata, infatti, solo allora sarebbe stato possibile portare a buon fine il disegno criminoso del tradimento.

Tutto l’intero piano, come è stato dimostrato, non poteva essere messo in atto senza dei complici; tuttavia, se questi ipotetici personaggi conniventi fossero stati degli uomini di libera condizione, allora questi avrebbero potuto fornire una qualsiasi testimonianza, anche falsa, per un qualsivoglia interesse personale. Si sarebbe semplicemente trattato della loro parola contro quella di Palamede stesso. Un’accusa infatti non basta a far emanare una sentenza.

Ma se fossero stati invece degli schiavi, c’era ugualmente il rischio che costoro avrebbero confessato spontaneamente qualsiasi cosa, anche in questo caso non vera, pur di guadagnarsi la libertà, oppure perché costretti sotto tortura.

Gli schiavi, sono pertanto inaffidabili. Palamede poi continua elencando una varietà di possibili altre motivazioni, che all’analisi si rivelano tutte false.

Attraverso la Difesa, Gorgia dimostra che un movente richiede il raggiungimento di un vantaggio come lo status, la ricchezza, l’onore o la propria sicurezza e insiste sul fatto che nel caso del presunto tradimento di Palamede mancasse appunto ogni movente.

(Libera traduzione e adattamento, da Myths and Legend of Ancient Greece and Rome di E. M. Berens, 1880, e dalle versioni inglese e francese di Wikipedia, con aggiunte e integrazioni)

 

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Crise, sacerdote di Apollo e padre di Criseide, venne da Agamennone per chiedere la restituzione della figlia. Agamennone rifiutò e insultò Crise, che pregò Apollo di vendicare i torti subiti dai greci. Infuriato, Apollo afflisse con un'epidemia di peste l'esercito acheo. L'indovino Calcante, sostenuto da Achille, rivelò l'oracolo secondo il quale Apollo ha voluto punire Agamennone perché si era rifiutato di restituire Criseide ora prigioniera. Costretto a cedere, la furia di Agamennone richiede un'altra preda in suo onore.

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