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Per undici giorni, Achille trascina ogni mattina il corpo di Ettore con il suo carro intorno alla tomba di Patroclo. Ma gli dei, avendo pietà della famiglia del Troiano, rimproverano il suo comportamento e mantengono il corpo intatto. Zeus chiede a Teti di andare a convincere suo figlio a restituire le spoglie a Priamo. Quest'ultimo, protetto da Hermes, attraversa di nascosto le linee nemiche per essere accolto nella tenda di Achille. Lì, in nome di Peleo, prega l'eroe greco di restituirgli suo figlio in cambio di doni. Achille cede alle richieste e offre a Priamo vitto e alloggio. Riconciliandosi, Achille accetta anche di trattenere le truppe achee per dodici giorni, tempo in cui i Troiani organizzano un funerale dignitoso per Ettore. Di ritorno a Troia, il corpo del principe viene presentato alla folla in lacrime e si tiene un lungo funerale.
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Dove eravamo rimasti?
Dopo i funerali di Ettore la guerra ricominciò. La perdita da parte dei Troiani dell’eroe, loro grande speranza e baluardo, li aveva talmente scoraggiati, che senza nuovi rinforzi non avrebbero più potuto affrontare il nemico, e infatti non si avventurarono oltre le mura della loro città, che erano abbastanza forti da resistere a tutti gli assalti del nemico.
Ma alcuni alleati, venuti in loro aiuto, li incoraggiarono a compiere nuovamente sortite e combattere i Greci in aperta pianura. Le speranze infatti, furono ravvivate dall’apparizione di un potente esercito di Amazzoni, una nazione di donne guerriere che dimorava sulle rive del Mar Nero, al comando della loro regina Pentesilea, figlia di Ares, che giunse nell’intervallo del lutto per Ettore in un campo e per Patroclo nell’altro.
Arrivano le Amazzoni
Quando ricominciarono le ostilità, la valorosa Pentesilea, desiderosa di misurare in campo aperto la sua forza con quella di Achille e di vendicare la morte di Ettore, condusse in battaglia l’esercito troiano.
Pentesilea là con altera grazia,
Conduce alle guerre una razza amazzonica;
Nella destra brandiscono un dardo appuntito
La sinistra, per guardia, sostiene uno scudo lunare.
Una cintura d’oro sopra il seno nudo e vistoso;
Nella mischia essa sola provoca mille nemici
Vergine guerriera che affronta gli uomini armatiVirgilio, Eneide, Libro I
Coraggiosa com’era bella, la regina delle Amazzoni disdegnava di restare al riparo delle mura, e così, conducendo la sua valorosa banda di donne fuori dalle porte, attaccò ferocemente gli avversari.
I capi dei Greci erano Achille e Aiace, figlio di Telamone. Mentre quest’ultimo eroe era impegnato a respingere i ranghi troiani, Achille e Pentesilea si incontrarono in duello. Con coraggio eroico ella andò alla battaglia; ma anche gli uomini più forti fallirono davanti al potere del grande Achille, e sebbene fosse figlia di Ares, anche Pentesilea andava incontro allo stesso destino.
Cominciò allora una formidabile battaglia, e molti guerrieri continuarono da entrambi i lati a cadere nella polvere. L’eroe greco figlio di Peleo, generoso cavallerie, avrebbe risparmiato volentieri la regina; non voleva combattere con una donna, e cercò di evitare di incontrarla, ma lei lo attaccò così furiosamente, prima scagliandogli la sua lancia e poi correndogli contro con la spada in mano. Anche in questo caso Achille non le si oppose mai con tutte le sue forze, finché non fu costretto a colpirla per difesa .
Pentesilea cadde ferita a morte dalla lancia del greco, e mentre spirava, ricordando la sorte del corpo profanato di Ettore, implorò Achille di risparmiarle quel disonore, implorando Achille di permettere che il suo corpo fosse portato via dal suo stesso popolo.
Non ce n’era bisogno; perché lui, pieno di pietà per la sfortunata regina e ammirato per il suo coraggio e la sua bellezza, – per salvarla se ancora possibile, o in caso contrario, per alleviare i suoi ultimi istanti – la sollevò tra le sue braccia e la tenne così finché non ebbe esalato l’ultimo respiro. I Troiani e le Amazzoni accorsero tutti insieme per proteggere i loro capi; ma Achille fece loro cenno di fermarsi, e lodandone il valore, la giovinezza e la bellezza, diede liberamente alle Amazzoni le spoglie della loroRegina, come atto di benevolenza che toccò nel profondo alleati e nemici allo stesso modo.
Achille propose persino che i greci eseguissero riti funebri e che fosse costruita una tomba in suo onore.
Tersite, uno che non capiva quando stare zitto
C’era però tra i Greci un certo Tersite (menzionato in un capitolo precedente per essere stato rimproverato da Odisseo), di indole meschina e invidiosa, deforme nell’aspetto, sboccato e ciarliero, che attribuì maligne motivazioni all’atteggiamento pietoso dell’Eroe. Derise quindi la proposta e ridicolizzò Achille, ricordandogli che non era stato così tenero nel modo in cui aveva trattato Ettore; non contento di queste insinuazioni poi, come ulteriore sfregio, trafisse selvaggiamente con la sua lancia il cadavere della regina delle Amazzoni.
Al che Achille, infuriato per le sue parole offensive e per il suo atto vile, gli sferrò un potente pugno che lo fece cadere a terra uccidendolo sul colpo. Tutti quelli che videro inflitta questa severa punizione, la approvarono; tranne Diomede, figlio di Tideo, parente di Tersite, il quale si fece avanti e chiese ad Achille la solita riparazione, consistente in una somma di denaro. Agamennone, come comandante in capo, avrebbe potuto facilmente risolvere la difficoltà, ma si astenne dall’interferire. Perciò la natura orgogliosa di Achille si risentì dell’implicita condanna della sua condotta, e ancora una volta egli abbandonò l’esercito greco e prese la nave per Lesbo. Odisseo fu inviato a recuperarlo, e questi, a forza di discorsi persuasivi, abilmente diretti, riuscì a riportarlo al campo. Odisseo persuase anche Diomede a ritirare la sua pretesa, e così tornò la pace tra i due capi.
(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)
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Memnone d'Etiopia, figlio di Titone e di Eos, venne con il suo esercito per aiutare il fratellastro Priamo. Non proveniva direttamente dall'Etiopia, ma da Susa in Persia, avendo conquistato tutti i popoli nel suo cammino, o dal Caucaso, guidando un esercito di etiopi e indiani. Come Achille, indossava un'armatura realizzata da Efesto. Nella battaglia che ne seguì, Memnone uccise Antiloco, che era giunto in soccorso di suo padre Nestore. Allora Achille e Memnone si scontrarono in duello. Zeus soppesò il destino dei due eroi; il peso contenente quello di Memnone precipitò ed egli fu ucciso da Achille.