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NON SOLO I CARAIBI: I PIRATI NELLA GRECIA CLASSICA

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Il porto principale di Atene era Falero , fino a quando Temistocle non lo spostò al Pireo. Poiché il Falero era molto piccolo, Temistocle volle fare del Pireo il porto più grande della Grecia. Il suo obiettivo era che Atene ottenesse l'egemonia in mare. Il progetto fu terminato in fretta, prima del previsto. Le lunghe mura di Atene collegavano la città col Pireo, per una distanza di quaranta stadi ; la capacità del porto era di quattrocento navi. Quando Atene fu sconfitta nella guerra del Peloponneso, le mura furono distrutte; furono successivamente ricostruite e infine distrutte di nuovo quando Lucio Cornelio Silla prese la città.
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I sovrani della Creta minoica furono i primi a costruire una flotta appositamente per combattere la pirateria. Le fonti greche descrivono questa marina come un’eredità del leggendario re Minosse e suggeriscono che “è probabile che egli abbia ripulito il mare dalla pirateria il più possibile, al fine di aumentare le sue entrate”. Si dice che abbia efficacemente arginato la pirateria nella zona fino a quando la sua flotta non fu distrutta da uno tsunami intorno al 1400 a.C., dopo di che le attività piratesche ripresero.

Pirati dell'antichità

La mitologia greca riporta parecchi esempi che possono essere interpretati come episodi di pirateria, come ad esempio Giasone e gli Argonauti che salpano verso il Mar Nero per rubare il vello d’oro, ma anche numerose imprese di Eracle, Teseo e altri.

Molti testi dell’età del bronzo e della Grecia arcaica ammettono la pirateria come una professione praticabile. Nell’antica Grecia la pirateria sembra essere fosse diffusa e ampiamente considerata come uno stile di vita assolutamente onorevole. Numerosi sono i riferimenti a questa normalità nell’Iliade e nell’Odissea di Omero, nonostante siano state scritte tra il VII e il VI secolo a.C. Veri e propri atti di pirateria che restano impuniti o vengono giustificati. Odisseo cita un episodio a cui ha preso parte:

Siamo sbarcati coraggiosamente in un territorio ostile,
Saccheggiammo la città e massacrammo la popolazione,
Le loro donne le abbiamo fatte prigioniere, i loro beni li abbiamo condivisi,
E ogni soldato ha avuto ciascuno la propria parte.

Circa un secolo dopo, lo storico greco Tucidide (460-395 a.C.), nella sua Storia della guerra del Peloponneso, parla di grandi uomini come Ulisse che decidono di intraprendere questa professione:

Infatti, nei primi tempi, gli Elleni e i barbari della costa e delle isole, man mano che le comunicazioni via mare diventavano più comuni, erano tentati di diventare pirati… anzi, questa si rivelava la loro principale fonte di sostentamento, senza che tale impresa fosse considerata con disonore, ma addirittura con un po’ di gloria.

Come indica la citazione, all’epoca di Tucidide, nella Grecia classica, la pirateria era vista come una “necessità” da svolgere come professione, in parte (e forse ipocritamente, dato che il pericolo della schiavitù sulla terraferma era visto come inevitabile e una “legge universale”) perché comportava il pericolo di riscatto e di riduzione appunto in schiavitù dei cittadini quando viaggiavano. All’apice della potenza ateniese, tuttavia, ci sono pochi resoconti epigrafici sulla pirateria e Tucidide non menziona tale pericolo come il motivo particolare per lo sviluppo della flotta dell’impero ateniese, per cui è possibile che la relativa sicurezza dei mari dell’era classica rispetto al periodo ellenistico, fosse un effetto collaterale, piuttosto che una motivazione, dello sviluppo della Lega di Delo che assicurava il potere dell’impero ateniese.

La pirateria poteva costituire un grosso problema per i viaggi in mare. 
I pirati prosperavano perché nessuno (fino all’epoca romana) era in grado di reprimerli. Inoltre, durante guerre come quella del Peloponneso, distinguere tra un atto di guerra e un atto di pirateria risultava molto difficile.

In generale, i pirati operavano su rotte commerciali popolari utilizzando nascondigli situati sulle piccole isole. L’area intorno a Rodi in particolare era nota per essere un focolaio di pirateria con i cinque porti dell’isola che fornivano ricchi guadagni.

Pitea il Massaliota (in greco antico, Πυθέας ὁ Μασσαλιώτης) è stato un astronomo greco, considerato uno dei primi esploratori scientifici a lasciare traccia nella storia. Pitea compì un viaggio nei mari dell'Europa settentrionale intorno al 325 a.C., ma il suo resoconto, noto nell'antichità, non si è conservato. Oggi è solo parzialmente rivelato negli scritti di alcuni autori, soprattutto Strabone e Plinio il Vecchio. È il primo autore antico di cui si abbia notizia ad aver descritto, tra l'altro, i fenomeni polari, le maree e lo stile di vita delle popolazioni del Nord Europa. Pitea menziona l'isola di Thule e la sua descrizione delle maree è il primo testo che suggerisce la luna come causa.

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