Pomona è la Divinità rustica che presiede alla coltivazione degli alberi da frutto e la cui religione risale ai tempi più remoti di Roma e dell’Italia Latina. Nell’ultima fila dei flamines minores c’era il Flamen Pomonalis; e quanto al nome stesso della divinità, pare facesse parte del catalogo degli Indigitamenta, dove sono frequenti i nomi in -ona. Forse faceva coppia col dio maschile Pomonus o Puemunus secondo le iscrizioni in lingua umbra, o Poimunus secondo quelle in lingua sabellica. L’esistenza di un Pomonal o bosco sacro di Pomona è nota nella regione denominata agro Solonio, tra Ardea e Ostia. Un’iscrizione salernitana cita un lascito destinato: ad exornandam aedem Pomonis.
La leggenda narra di Pomona a volte in relazione a Picus, dio agricolo, a volte a Vertumnus, personificazione dell’annus vertens, la stagione autunnale in cui si raccolgono i frutti. Ovidio diede a quest’ultima forma di favola un’espressione pittoresca, in uno dei brani più belli delle Metarnorfosi dove racconta gli amori delle due divinità, al tempo di Proca, re d’Alba. Come tutte le personificazioni agrarie, Pomona scompare, al tramonto della Repubblica, divenendo una memoria archeologica sfruttata dalla poesia e senza dubbio anche dall’arte, sebbene di essa non vi sia più alcuna rappresentazione definita.
Il mito di Vertumno e Pomona
Già Proca deteneva lo scettro sul monte Palatino. Sotto il suo regno visse Pomona. Tra le amadriadi del Lazio, nessuna era più abile nella cura dei giardini e nessuna conosceva meglio la coltivazione dei frutteti; e dalla sua arte deriva il nome che porta. Non ama né la caccia nelle foreste né la pesca nei fiumi. Solo i campi e gli alberi, carichi di frutta, possono piacerle. La sua mano non è armata di giavellotto: porta una falce ricurva, e a volte pota rami inutili, a volte pota rami che si estendono troppo; a volte inserisce, nella corteccia semiaperta, uno rametto estraneo, e fa fruttare un albero che cresce su un altro. Previene la sete delle piante e innaffia con l’onda amica i filamenti ricurvi di una radice: questi sono i suoi piaceri e le sue cure. Ignora l’amore, ma temendo la rudezza degli abitanti dei campi, circonda i suoi giardini con muri verdi e difende il loro ingresso dagli uomini che evita.
Che cosa non provarono i satiri per conquistare il suo fascino, giovani e danzanti; i Pan, la cui testa è coronata dal pino; Silvano, sempre giovane nella sua vecchiaia; e il deforme dio dei giardini, che con la sua falce tiene lontani i ladri! Vertumno, che era il più infiammato d’amore, non poteva essere più felice. Quante volte, per cercare lo sguardo di Pomona, ha assunto l’abito del rozzo mietitore, e ha chinato la testa sotto il peso dei covoni! Quante volte, coronato di ghirlande di fieno, ha offerto l’immagine del mietitore che emerge dal prato! Spesso, armato di un pungolo, sembrava che facesse rientrare dall’aratro i buoi in ritardo; spesso, con un gancio da potatore in mano, sembrava che avesse appena liberato un albero o modellato una vite. A volte, portando una scala, sembrava che stesse raccogliendo della frutta. A volte, con la spada, era un soldato; a volte, con la lenza, era un pescatore. Così cento volte, cambiando forma, riuscì a vedere Pomona e a contemplare i tesori della sua bellezza.
Un giorno, dopo essersi coperto la testa con un berretto colorato e aver circondato le tempie di capelli grigi, si appoggiò chino su un bastone e, sotto le sembianze di una vecchia avvizzita, entrò nei giardini di Pomona. All’inizio, egli ammira la bellezza dei frutti, e ancora di più la bellezza della Ninfa che li coltiva. La lode è seguita da alcuni baci, ma baci come una vecchia non ha mai dato. Poi si siede su una collinetta coperta di erba fresca e guarda gli alberi i cui rami carichi di frutti si piegano verso la terra. Non lontano, un olmo spazioso sostiene una vigna dove abbondano i grappoli d’uva: egli loda l’unione della vite e dell’olmo:
“Se quest’albero”, dice, “fosse rimasto senza un compagno, avrebbe portato solo sterile fogliame; e cosa si potrebbe chiedere di più? Se la vite non riposasse attaccata alle sue braccia, striscerebbe sulla terra. Eppure, indifferente a questo esempio, tu eviti l’imene e non pensi a unirti con un qualsiasi mortale. E il cielo non voglia che tu lo desideri! Né la famosa Elena, né quell’Ippodamia che provocò la guerra dei Lapiti, né la moglie di Ulisse, audace con i timidi, avrebbero visto un numero maggiore di corteggiatori. Anche ora che tu disdegni, fuggendo da loro, coloro che cercano la tua mano, mille aspirano ancora a compiacerti; e, in questo numero, vi sono dèi e semidei, tutti coloro che hanno fissato la loro dimora sulle montagne di Alba.”
“Ma se sei saggia e vuoi un imene felice, ascolta il consiglio di una vecchia che ti ama più di tutti i tuoi amanti e più di quanto tu creda: rifiuta le fiamme d’amore volgari e scegli Vertumno per tuo marito. Io rispondo della sua fede, perché lui nessuno lo conosce meglio di quanto lo conosca io. Non è un uomo volubile che passa i suoi fuochi da un clima all’altro. Gli piacciono solo i posti dove stai tu. Non può essere visto, come la folla volubile degli amanti, aggrapparsi all’ultima donna che ha ammirato: tu sarai il suo primo e ultimo amore. Solo a te ha dedicato il suo cuore e la sua vita. Aggiungi che è giovane, che ha ricevuto il dono della bellezza, e quello di prendere qualsiasi forma che desidera. Qualsiasi cosa gli ordiniate di essere, e potete ordinare qualsiasi cosa, lui lo diverrà.”
“E poi, non ama quello che tu ami? Se tu coltivi frutti, lui ha i primi frutti, e sono più dolci per lui, offerti dalla tua mano. Ma non sono tanto i frutti che raccogli dai tuoi frutteti, né le piante che coltivi, né qualsiasi altra cosa che Vertumno desidera: ma sei tu stessa. Abbi pietà del suo amore e credi che, presente in questo luogo, è lui che ti implora per bocca mia. Temi gli dèi vendicatori, e la regina di Idalia, che punisce i cuori insensibili, e Nemesi, che non viene mai offesa impunemente. E, per ispirarti ancora più timore, voglio raccontarti, perché una lunga età mi ha insegnato molto, una storia conosciuta in tutta Cipro: ti toccherà facilmente, e ti renderà meno orgogliosa.”
[… Segue il racconto della vicenda di Anassarete, una fanciulla di Cipro, che trattò il suo amante Ifi con tale superbia, rifiutando il suo amore, che questi si impiccò alla sua porta. La fanciulla assistette con tale indifferenza al funerale del giovane, che Afrodite la trasformò in una statua di pietra. (Fonte:) Harry Thurston Peck. Dizionario Harpers di antichità classiche. 1898.]
…Allora il Dio che sa prendere ogni forma, e che aveva appena parlato invano, si spoglia della sua falsa vecchiaia, riprende le grazie della giovinezza, e si mostra alla Ninfa come splende il Sole che emerge dal seno delle nuvole che ne oscurano la lucentezza. Si stava preparando a usare la forza, ma la forza non è più necessaria. La bellezza del Dio ha appena incantato Pomona e il suo cuore condivide finalmente i trasporti che ispira.
(Ovidio, Metamorfosi, Libro XIV)
(Libera traduzione, rielaborazione e adattamento da “Le Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines de Daremberg et Saglio”, 1873 e da Ovidio)