L'imperatore romano Tito Flavio Vespasiano nacque il 30 dicembre dell'anno 39 d.C. e morì il 13 settembre 81. Fu il primo figlio di Vespasiano e governò l'impero solo da 79 a 81 anni. La sua reputazione era migliore di quella di suo fratello Domiziano. Durante il suo regno avvenne la famosa eruzione del vulcano Vesuvio e la conseguente caduta di prosperità nelle città e nelle aree intorno a Napoli: Ercolano e Pompei. L'Arco di Trionfo di Tito all'ingresso del Foro Romano è a ricordo del suo trionfo sulla prima guerra giudaico-romana degli anni 66-70 e dell'assedio di Gerusalemme nel 70. Durante questo soggiorno si innamorò con Berenice principessa dalla Cilicia. Questo amore è stato oggetto di molte opere, tra cui una tragedia di Jean Racine, Bérénice, diventata nel 1999 un film di Jean-Daniel Verhaeghe con Gérard Depardieu e Carole Bouquoet
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Pompei è la famosissima e antica città dell’Italia meridionale, situata a 25 km a sud-est di Napoli, ai piedi del Vesuvio. Pur essendo probabilmente più antica di diversi secoli, non è menzionata nella storia prima della conquista della Campania da parte dei Romani nella seconda parte del IV secolo a.C. Durante la guerra sociale o marsica gli abitanti si unirono all’insurrezione, ma sfuggirono alle punizioni inflitte alle altre città. Prima della fine della Repubblica divenne un luogo di villeggiatura dei nobili romani, molti dei quali acquistarono delle ville nelle vicinanze.
Pompei
Tra questi c’era Cicerone, le cui lettere abbondano di riferimenti alla sua villa pompeiana. La stessa moda continuò sotto l’impero e non c’è dubbio che, durante il primo secolo dell’era cristiana, Pompei fosse diventata una città fiorente. Seneca e Tacito la citano come località turistica o comunque vacanziera. L’etimologia del nome è incerta; gli antichi lo facevano derivare da pompa (dal greco pémpo o pompé), in allusione forse al viaggio di Eracle e alla sua processione con i buoi di Gerione, ma gli studiosi moderni lo riferiscono piuttosto all’osco pompe (che vuol dire “cinque” il che suggerisce che la comunità era composta da cinque frazioni o forse che vi erano insediati 5 gruppi di famiglie).
Una città di terremoti umani e geologici
Della storia di questa città, nel periodo antecedente l’eruzione, si ricordano solo due eventi. Nel 59 d.C. si verificò un tumulto nell’anfiteatro, scoppiato tra i cittadini e i visitatori della vicina colonia di Nuceria. Molti furono i morti e i feriti da entrambe le parti. I pompeiani furono puniti severamente da Nerone per questa violenta rissa sfociata nel sangue: furono proibiti di tutti gli spettacoli teatrali per dieci anni (Tacito, Ann. xiv. 17). Un dipinto caratteristico, anche se rozzo, è stato trovato sulle pareti di una delle case, offre una rievocazione di questo evento.
Quattro anni dopo (63 d.C.) la città venne colpita da due terremoti, avvenuti a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, che colpirono tutte le città vicine, scatenando la loro forza soprattutto su Pompei, gran parte della quale, compresa la maggioranza degli edifici pubblici, fu distrutta o danneggiata così gravemente da dover essere ricostruita (Tac. Ann. xv. 22; Seneca, Q.N. vi. 1). Dai resti esistenti è chiaro che gli abitanti erano ancora attivamente impegnati a riparare e restaurare gli edifici in rovina, quando l’intera città fu travolta dalla grande eruzione del 24 agosto del 79 d.C. Il Vesuvio, le cui forze vulcaniche si erano assopite sin da epoche sconosciute, esplose improvvisamente in una violenta eruzione che, mentre portava devastazione in tutto il bellissimo golfo, seppellì le due città di Ercolano e Pompei sotto densi strati di cenere e lava.
La morte di Plinio il vecchio
“ Chiedi che io ti scriva come mio zio (Plinio il vecchio) perse la vita, perché tu, o Tacito, possa tramandare ai posteri la sua fin e in modo conforme alla verità.
Te ne sono grato, perché vedo che alla sua morte, qualora sia celebrata da te, arride gloria immortale.
Certamente egli, come le popolazioni, come le città, fu coinvolto nella catastrofe delle terre più belle del mondo e la memoria dell’evento gli assicurò una vita quasi per sempre; certamente compose moltissime opere che rimarranno: tuttavia gli scritti tuoi, eterni, contribuiranno in modo decisivo alla perennità del nome. …
[Plinio il Vecchio] Era a Miseno e teneva direttamente il comando della flotta. Il 24 agosto, intorno all’una del pomeriggio, mia madre gli indica una nube che appariva, insolita per grandezza e per aspetto. Egli aveva preso il sole, fatto un bagno freddo, mangiato qualcosa stando disteso ed ora studiava; chiede i sandali e sale in un luogo da cui si poteva osservare al meglio quel prodigio.
Per chi osservava da lontano non era chiaro da quale monte (si seppe dopo che era il Vesuvio) si levava la nube, la cui forma da nessun altro albero più che dal pino può essere rappresentata. Infatti, lanciata in alto come su un tronco altissimo, si diffondeva in rami, credo perché spinta dal primo forte soffio d’aria e poi lasciata quando quello scemava, o anche vinta dal suo stesso peso si dissolveva in larghezza: talora bianchissima, talora sporca e macchiata, a seconda che aveva sollevato con sé terra o cenere.Da vero studioso, mio zio capì subito che ciò meritava uno studio più approfondito e ordinò di preparare una barca. Mi disse che potevo andare con lui, ma io scelsi di continuare i miei studi.
Proprio mentre usciva di casa, gli fu consegnato un messaggio da Rectina, la moglie di Tascus, la cui casa si trovava ai piedi della montagna e non aveva via di fuga se non in barca.La donna, terrorizzata dal pericolo che incombeva, lo pregò di salvarla. Egli cambiò subito piano e ciò che aveva iniziato con spirito di curiosità scientifica lo concluse da eroe. Ordinò di varare le grandi galee e di salpare. Si diresse coraggiosamente verso la zona di pericolo che tutti gli altri stavano abbandonando con paura e in tutta fretta, ma continuò ad annotare le sue osservazioni.
La cenere che già cadeva diventava sempre più calda e densa man mano che le navi si avvicinavano alla costa e fu presto sostituita da pomice e pietre bruciate annerite e frantumate dal fuoco. Improvvisamente il mare si abbassò dove la riva era ostruita e soffocata dai detriti della montagna. Si chiese se tornare indietro, come aveva consigliato il capitano, ma decise invece di proseguire. “La fortuna favorisce i coraggiosi”, disse, “portami da Pomponio”.
Pomponio viveva a Stabia, al di là del golfo di Napoli, che non era ancora in pericolo, ma lo sarebbe stato se la nube fosse diffusa. Pomponio aveva già messo le sue cose in una barca per fuggire non appena il vento contrario fosse cambiato. Questo vento, naturalmente, era pienamente favorevole a mio zio e portò rapidamente la sua barca a Stabia.
Mio zio tranquillizzava e incoraggiava il suo amico terrorizzato ed era allegro, o almeno fingeva di esserlo, perché era altrettanto coraggioso.
Nel frattempo, alte e larghe fiamme divampavano da diversi punti del Vesuvio e brillavano nell’oscurità della notte. Mio zio calmò le paure dei suoi compagni dicendo che non erano altro che fuochi lasciati dai contadini terrorizzati, o case vuote e abbandonate che stavano bruciando. andò a letto e apparentemente si addormentò, perché il suo respiro forte e pesante era sentito da chi passava davanti alla sua porta.Ma, alla fine, il cortile esterno cominciò a riempirsi di così tanta cenere e pomice e se fosse rimasto nella sua stanza, non sarebbe mai riuscito a uscire. Si svegliò e si unì a Pomponio e ai suoi servi che erano rimasti svegli tutta la notte. Si chiedevano se restare in casa o uscire all’aperto, perché gli edifici ora oscillavano avanti e indietro e tremavano con scosse sempre più violente.
Fuori c’era il pericolo della caduta della pomice, anche se era solo leggera e porosa. Dopo aver valutato i rischi, scelsero la campagna aperta e si legarono dei cuscini in testa con dei teli per proteggersi.
Ormai era giorno dappertutto, ma erano ancora avvolti da un’oscurità più nera e densa di qualsiasi notte, e furono costretti ad accendere le loro torce e lampade. Mio zio scese a riva per vedere se c’era qualche possibilità di fuga via mare, ma le onde erano ancora troppo alte.Si sdraiò per riposare su un lenzuolo e chiese di bere acqua fredda. Poi, all’improvviso, fiamme e un forte odore di zolfo, che avvertivano di altre fiamme in arrivo, costrinsero gli altri a fuggire.
Lui stesso si alzò in piedi, con il sostegno di due schiavi, e poi improvvisamente si accasciò e morì, perché, immagino, fu soffocato dalle dense esalazioni. Quando tornò la luce il terzo giorno dopo l’ultimo che aveva visto [il 26 agosto], il suo corpo fu trovato intatto e senza ferite, ancora completamente vestito e con un aspetto più simile a quello di un uomo addormentato che a quello di un morto”. (Plinio VI: 16)
Plinio il giovane scampa al disastro
Nel frattempo, io e mia madre eravamo rimasti a Miseno. Dopo che mio zio ci lasciò, studiai, cenai e andai a letto, ma dormii poco. Per diversi giorni abbiamo avuto delle scosse di terremoto, che non erano particolarmente allarmanti, perché si verificano spesso in Campania. Ma quella notte furono così violente che tutto sembrava venisse scosso e capovolto. Mia madre venne di corsa in camera mia e ci sedemmo insieme nel piazzale di fronte al mare.
Alle sei, la luce dell’alba era ancora solo fioca. Gli edifici intorno stavano già crollando e saremmo stati in pericolo nel nostro spazio ristretto se la nostra casa fosse crollata. Questo ci fece decidere di lasciare la città. Fummo seguiti da una folla in preda al panico che scelse di seguire il giudizio di qualcun altro piuttosto che decidere da sola. Ci fermammo una volta usciti dal paese e allora accaddero cose straordinarie e allarmanti. Le carrozze che avevamo fatto venire cominciarono a sbandare, nonostante il terreno fosse piatto, e non riuscimmo a tenerle ferme nemmeno incastrando le ruote con delle pietre.
Poi vedemmo il mare risucchiato, apparentemente da un terremoto, e molte creature marine rimasero bloccate sulla sabbia asciutta. Dall’altra direzione, sopra la terraferma, una spaventosa nube nera era squarciata da fiamme zampillanti e da grandi punte di fuoco come lampi molto ingranditi.
La nube si abbassò poco dopo e coprì il mare, nascondendo Capri e Capo Miseno alla vista.Mia madre mi pregò di lasciarla e di fuggire come meglio potevo, ma io la presi e la feci correre con me. La cenere stava già cadendo, ma non era molto fitta. Poi mi voltai e vidi una spessa nuvola nera che avanzava sul terreno dietro di noi come un’alluvione. “Lasciamo la strada finché possiamo vedere”, dissi, “o saremo investiti e calpestati dalla folla”. Ci eravamo appena seduti per riposare quando l’oscurità si diffuse su di noi. Ma non era il buio di una notte senza luna o nuvolosa, bensì era come se le lampade fossero state spente in una stanza completamente chiusa.
Sentivamo le donne gridare, i bambini piangere e gli uomini urlare. Alcuni chiamavano i genitori, i figli o le mogli, cercando di riconoscerli dalla voce. Alcune persone erano così spaventate di morire in quel modo che in realtà pregavano per una morte rapida. Molti imploravano l’aiuto degli dèi, ma erano ancora di più quelli che immaginavano che non ci fossero più dei e che l’ultima notte eterna fosse calata sul mondo.
C’era anche chi aggiungeva ai pericoli reali quelli fittizi. Alcuni sostenevano che una parte di Miseno era crollata o che un’altra parte era in fiamme. Non era vero, ma riuscivano sempre a trovare qualcuno che gli credesse.
Tornò un barlume di luce, ma lo considerammo un avvertimento dell’avvicinarsi del fuoco piuttosto che della luce del giorno. Ma gli incendi rimasero a una certa distanza. Il buio arrivò e la cenere ricominciò a cadere, questa volta in piogge più pesanti. Di tanto in tanto dovevamo alzarci per scrollarcela di dosso, altrimenti saremmo rimasti schiacciati e sepolti sotto il suo peso. Potrei vantarmi di non aver mai manifestato alcuna paura in quel momento, ma ero tenuto in vita solo dalla consolazione che il mondo intero stava perendo con me.
Dopo un po’, l’oscurità impallidì in fumo o nuvola e tornò la vera luce del giorno, ma il Sole splendeva debolmente come durante un’eclissi. Eravamo stupiti di ciò che vedevamo, perché tutto era cambiato ed era sepolto dalla cenere come neve. Tornammo a Miseno e passammo una notte ansiosa tra speranza e paura. La paura era al primo posto perché le scosse della terra non cessavano e gli esaltati continuavano a fare previsioni allarmanti.
(Plinio il Giovane, Lettere)
La versione di Cassio Dione
È singolare che, mentre possediamo una descrizione dettagliata di questa famosa eruzione in due lettere di Plinio il giovane (Epist. vi. 16, 20), egli non faccia neppure menzione alla distruzione di Pompei o Ercolano, sebbene suo zio sia morto nelle immediate vicinanze della prima città. Ma la loro sorte è ricordata da Cassio Dione e le circostanze possono essere dedotte con certezza dalle condizioni in cui la città è stata ritrovata.
“…si sprigionò una quantità inconcepibile di cenere che ricoprì mare e terra e riempì tutta l’aria. Inoltre, seppellì due intere città, Ercolano e Pompei, quest’ultima mentre il popolo era seduto nel teatro. In effetti, la quantità di polvere, presa tutta insieme, fu così grande che una parte di essa raggiunse l’Africa, la Siria e l’Egitto, e arrivò anche a Roma, riempiendo l’aria e oscurando il sole. Anche lì si scatenò una paura non indifferente, che durò per diversi giorni, poiché il popolo non sapeva e non poteva immaginare cosa fosse successo, ma, come quelli vicini, credeva che tutto il mondo si stesse capovolgendo, che il sole stesse scomparendo nella terra e che la terra venisse sollevata verso il cielo. Queste ceneri, ora, non fecero molto male ai Romani, anche se in seguito portarono su di loro una terribile pestilenza.
[…] Tito, quindi, inviò due ex-consoli in Campania per supervisionare il riassetto della regione e concesse agli abitanti non solo generici doni in denaro, ma anche i beni di coloro che avevano perso la vita e non avevano lasciato eredi. Per quanto riguarda sé stesso, non accettò nulla da nessun privato cittadino o città o re, sebbene molti continuassero a offrirgli e promettergli grandi somme; ma restaurò tutte le regioni danneggiate con i fondi già disponibili.
Dione Cassio, Storia Romana, Libro LXVI
Lava, cenere e cambiamenti geologici
Lo strato di cenere è altri materiali, favorì alla lunga la conservazione dei resti del sito e il suo interesse come reliquia dell’antichità. Pompei era semplicemente ricoperta da un letto di sostanze più leggere, ceneri, piccole pietre, che cadevano allo stato secco, mentre ad Ercolano le stesse sostanze, inzuppate d’acqua, si sono indurite in una sorta di tufo, che in alcuni punti è profondo quasi 20 metri.
L’intera massa sovrastante, che raggiunge uno spessore medio di circa 5 o 6 metri, fu il prodotto di un’unica eruzione, anche se i materiali possono essere divisi in generale in due strati distinti, l’uno costituito principalmente da ceneri e piccole pietre vulcaniche, comunemente chiamate, lapilli, e l’altro strato superiore di cenere bianca e fine, spesso consolidata dall’azione dell’acqua dall’alto, in modo da prendere le forme degli oggetti in essa contenuti (come cadaveri, manufatti in legno, ecc.), come l’argilla o il gesso di Parigi. Fu impossibile ricostruire la città e il suo territorio fu unito a quello di Nola. Ma i sopravvissuti tornarono sul posto e, scavando insistentemente, riuscirono a recuperare tutti gli oggetti di valore, persino le lastre di marmo dei grandi edifici.
Per quasi 17 secoli dopo la città scompare dalla storia, anche se il nome sembra non essere mai andato del tutto perduto. Sul luogo sorse un villaggio, ma dopo la distruzione di questo da parte di un’altra eruzione, quella del 472, il Campus Pompeius, come fu a lungo chiamato, rimase fino alla metà dell’Ottocento una pianura incontaminata e disabitata.
L’eruzione del 79 ha prodotto notevoli cambiamenti fisici nelle vicinanze, e il mare, che per lungo tempo ha lambito le mura della città, si trova ora a più di un chilometro e mezzo dal suo sito originario, mentre il fiume Sarno è stato notevolmente deviato dal suo antico corso. Per questo motivo il geografo Cluverius, che indagò sull’argomento all’inizio del XVII secolo, seguendo le descrizioni degli autori antichi, fu indotto a localizzare Pompei a diverse miglia dalla sua posizione reale. Il deposito sovrastante di ceneri e detriti aveva una profondità media di non più di più di 4 metri; tuttavia, alcuni anni prima, un acquedotto fu costruito attraversando parte della città senza però che i lavori portassero alla sua scoperta, sebbene una parte del grande teatro fosse ancora visibile.
Inizio degli scavi
Nel 1748 diverse statue e altri oggetti dell’antichità vennero portati alla luce nella realizzazione di un pozzo. Carlo III di Napoli ordinò degli scavi su vasta scala e nel 1755 l’anfiteatro fu portato alla luce. I suoi successori, tra cui Vittorio Emanuele, hanno continuato i lavori di tanto in tanto, fino a rivelare gran parte della Pompei antica.
La città così parzialmente riesumata ha un’importanza incalcolabile per la visione che ci ha fornito dell’economia domestica, delle arti e della vita sociale del mondo antico. Il carattere leggero e friabile dei depositi vulcanici che la ricoprivano ha preservato dal degrado di maggior importanza per gli archeologi moderni, e gli interni di edifici privati e pubblici sono stati ritrovati intatti, a parte ovviamente quelli che i legittimi proprietari, che a più riprese sono tornati dopo che l’eruzione si era placata per cercare oggetti di valore, e probabilmente anche i corpi dei parenti o degli amici.
Quest’ultima ipotesi sembra essere provata dal fatto che sono stati scoperti relativamente pochi scheletri, mentre, secondo Dione Cassio, la perdita di vite umane fu considerevole, nonostante gli abitanti si fossero radunati nell’anfiteatro al momento della catastrofe, e avrebbero potuto facilmente fuggire.
Il perimetro della città
Pompei occupava un’area ovale irregolare cinta entro le sue mura, che sono state tracciate per tutta la loro estensione di quasi 3 chilometri Si è generalmente supposto che la popolazione fosse compresa tra 20.000 e 50.000 abitanti; ma secondo Fiorelli, il sovrintendente generale degli scavi della prima Italia Unita, Pompei non contava più di 2.000 abitanti nei suoi primi tempi, e non più di 12.000 al momento della sua distruzione. Sul lato lato del mare non vi sono tracce di mura, e quelle rimaste, sebbene originariamente di grande robustezza, essendo fiancheggiate ad intervalli irregolari da massicce torri quadrate, sembrano essere state lasciate decadere molti anni prima della distruzione del città. La lavorazione di questi indica l’origine osco-pelasgica della città. Sono state scoperte otto porte e le strade esterne erano fiancheggiate ai lati da tombe di notevoli dimensioni e costruzioni architettoniche.
Le strade
La via delle tombe davanti alla porta di Ercolano era il principale luogo di sepoltura della città, e i monumenti sepolcrali che la adornano testimoniano il gusto raffinato e la grande ricchezza di eminenti pompeiani.
Le strade, che per la maggior parte corrono in linea regolare, sono con qualche eccezione larghe appena da permettere il passaggio di un solo veicolo, e ovunque sono visibili i solchi delle ruote dei carri nei blocchi poligonali di lava della pavimentazione. La più larga non supera il metro di larghezza e poche superano i 6.
Cinque delle strade principali sono state parzialmente o interamente tracciate, con le quali sembra essere stato collegato un regolare sistema di strade secondarie. Queste strade, con una sola eccezione, terminano o attraversano il quartiere occidentale della città, che è l’unica parte ancora completamente esplorata, e che, per il numero e il carattere degli edifici pubblici ivi rinvenuti, era senza dubbio il più importante.
Edifici e templi
Il foro, nell’angolo Sud, è la struttura più spaziosa e imponente, e nelle sue immediate vicinanze si trovano i principali templi, teatri e altri edifici pubblici. Era racchiuso su tre lati da un colonnato dorico, che abbracciava un’area di 150 metri di lunghezza per 32 di larghezza, e nella sua pianta generale così come nei suoi dintorni somigliava alle solite strutture romane del genere.
Degli edifici adiacenti, quello noto come Tempio di Giove sul lato Nord doveva essere il più magnifico della città, e il suo portico di colonne corinzie è forse il più bello mai ritrovato.
Sul lato Est si ergeva il pantheon o Tempio di Augusto, come è stato poi chiamato: la Curia o Senaculum; il tempio di Mercurio e una spaziosa casa, chiamata Calcidica, che, come risulta da un’iscrizione, fu eretta dalla sacerdotessa Eumachia: a sud si trovano tre edifici che si suppone fossero corti di giustizia, e a ovest un basilica, un grande tempio riccamente decorato dipinto e comunemente chiamato il tempio di Venere, i granai pubblici e le prigioni.
Tutti questi forniscono prove sorprendenti degli effetti disastrosi dei terremoti del 63 e 64. L’architettura, come quella della maggior parte degli edifici pubblici e privati di Pompei, è mista, lo stile, greco o romano, risulta spesso stridente, e i tentativi per unire diversi ordini sono goffi e di cattivo gusto. Altri edifici pubblici erano i templi della Fortuna, di Iside, di Nettuno o di Ercole, e di Esculapio, ma i nomi degli ultimi due sono puramente congetturali.
Quello di Nettuno è di pura architettura dorica, non dissimile dal tempio dello stesso nome a Paestum. A Sud Est del foro, e a una distanza di 400 metri, si trovavano il teatro grande o tragico e il teatro minore o Odeum, entrambi di origine romana.
Il primo, che poteva ospitare circa 5.000 persone, si trovava su una leggera altura e non fu mai completamente interrato. Nell’angolo Sud Est della città si trovava l’anfiteatro, un’ellisse di 131 metri per 102, capace di ospitare 10.000 spettatori; e subito a Nord del foro si trovavano le terme o bagni pubblici, in una struttura elegantemente decorata e ben organizzata.
Si suppone che un lungo edificio quadrangolare a Sud e adiacente al grande teatro fosse la caserma delle truppe o dei gladiatori. Vi sono stati rinvenuti numerosi attrezzi da guerra e, all’interno e intorno all’edificio, 64 scheletri, probabilmente di uomini della guardia, rimasti ai loro posti al momento della catastrofe.
Le abitazioni
Grazie ai sigilli e alle iscrizioni rinvenute, sono stati recuperati i nomi dei proprietari o degli occupanti di molte botteghe e abitazioni, e si tendeva ad apporre questi nomi a caratteri cubitali sugli ingressi delle case, come per il noto mosaico del corego che istruisce gli attori; quella di Meleagro o delle Nereidi; quello di Castore e Polluce, insuperabile per magnificenza e grandezza, e ugualmente ornata dentro e fuori; quella del fauno, o del grande mosaico, così chiamata dalla figura bronzea del fauno danzante e dal famoso mosaico della battaglia di Isso ivi rinvenuto; e quella di M. Lucrezio, ricca di pitture, mosaici, vasi, bronzi, ornamenti e monete.
Le abitazioni sono per lo più piccole e basse, poche che superano i due piani, hanno pochi ornamenti esterni, e sono ben adattate a un popolo avvezzo a passare la maggior parte della giornata all’aria aperta.
I fronti a terra di molti dei migliori edifici sono occupati da negozi. I piani superiori delle abitazioni private, che essendo di legno con tetti piatti, furono rapidamente consumate dalle ceneri accese dell’eruzione; ma poiché queste porzioni della casa erano generalmente usate come magazzini o appartamenti per la servitù, la loro perdita è di poca importanza.
Gli appartamenti seminterrati, in cui viveva la famiglia vera e propria, sono scampati a gravi lesioni, e circa 100 scheletri umani, come anche diversi scheletri di cani, cavalli e vari volatili, sono stati portati alla luce in ottime condizioni. In molte delle dimore la vita quotidiana, le abitudini, i gusti e anche i pensieri degli occupanti sono rintracciabili con certezza quasi assoluta.
Delle case meglio conservate, i cui nomi applicati mutuandoli da quelli del presunto possessore, o sono suggeriti dalla sua occupazione, o da rilevanti oggetti d’arte che vi si trovano, le più importanti sono la casa di Sallustio, una delle più grandi e complete della città sia nella disposizione chee nell’ornamento; quella di Pansa; quella del poeta tragico, notevole sia per le sue dimensioni che per la varietà e bellezza dei suoi dipinti, la maggior parte dei quali trasferiti all’allora museo Borbonico e ora Museo Archeologico nazionale di Napoli. A sud si trovano tre edifici che si suppone fossero tribunali di giustizia, mentre a ovest si trovano una basilica, un grande tempio riccamente decorato con dipinti e comunemente chiamato tempio di Venere, i granai pubblici e le prigioni.
L’arte erotica a Pompei
L’arte erotica a Pompei ed Ercolano è stata a lungo occultata ed emarginata, senza essere riconosciuta come forma d’arte e censurata come pornografia. Le città romane intorno al Golfo di Napoli furono distrutte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., conservando così i loro edifici e manufatti fino all’inizio di estesi scavi archeologici nel XVIII secolo. Questi scavi hanno rivelato come le due città fossero ricche di manufatti erotici, quali statue, affreschi e decorazioni domestiche tutti a tema sessuale. L’ubiquità di queste immagini e degli oggetti indica che i costumi sessuali nell’antica Roma erano assai più liberali che nell’attuale cultura occidentale. Tuttavia, gran parte di quelle che agli occhi moderni potrebbero sembrare immagini erotiche (ad esempio grandi falli) sono senza dubbio piuttosto emblemi di fertilità. Questo scontro di culture ha portato alla censura a pubblico o all’abbandono di un gran numero di manufatti erotici provenienti da Pompei per quasi 200 anni.
Nel 1819, quando il re Francesco I di Napoli visitò Pompei e si recò all’esposizione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli con la moglie e la figlia, si vergognò estremamente delle opere d’arte erotiche e chiese che fossero rinchiuse in un “gabinetto segreto” , accessibile solo a persone maggiorenni e di rispettabile morale. Riaperto, chiuso di nuovo, riaperto ancora e poi ancora richiuso per circa 100 anni, il Museo Segreto di Napoli è stato brevemente inaugurato alla fine degli anni ’60, al tempo della rivoluzione sessuale e finalmente stabilmente aperto ai visitatori nel 2000. I minori sono ancora ammessi solo in presenza di un genitore o di un tutore, o previa autorizzazione scritta.
Falli
Il fallo (pene eretto), sia raffigurato come Pan, Priapo o divinità simili, o anche rappresentato in sé, era un’immagine comune. Non era visto come osceno o addirittura necessariamente erotico, ma come un’arma contro il malocchio.Il fallo era scolpito in bronzo, anche in forma di campanelli a vento. Anche i falli di animali erano oggetti di uso comune. Se ci pensiamo bene, anche i nostri corni porta fortuna, di varia lunghezza, hanno un aspetto vagamente fallico.
I Bordelli
Non è chiaro se le immagini alle pareti fossero pubblicità dei servizi offerti o semplicemente destinate al divertimento dei visitatori. Alcuni dipinti e affreschi sono diventati subito famosi perché raffigurano scene sessuali piuttosto esplicite.
Uno degli edifici più curiosi riportati alla luce era in realtà un Lupanar (bordello), che conteneva molti dipinti erotici e graffiti al suo interno. I Lupanar avevano 10 stanze (cubicoli, 5 per piano), un balcone e una latrina. Non c’era un unico bordello.
Su un muro della Basilica (una specie di tribunale civile, quindi frequentato da molti turisti e viaggiatori romani), un’iscrizione dice allo straniero: Se qualcuno cerca dell’amore in questa città, tieni presente che qui ci sono tutte le ragazze più belle. Altre iscrizioni hanno rivelato alcune informazioni sui prezzi per vari servizi: si andava dai 2 ai 4 assi fino a diversi sesterzi. Particolare risulta la scritta “Maritimus lecca la tua vulva per quattro assi” perché ci risulta che gli antichi non avessero una buona opinione di chi praticasse il sesso orale. Il sesso in certa misura era abbastanza a buon mercato a Pompei, a certi livelli e per certi servizi, non più caro di un bene di prima necessita, come una pagnotta.
All’interno del bordello le prostitute lavoravano in una stanzetta, solitamente con ingresso segnato da una tenda. A volte il nome e il prezzo della donna dovrebbero essere posti sopra la sua porta. Il sesso era generalmente più conveniente a Pompei rispetto ad altre parti dell’Impero Tutti i servizi venivano pagati in contanti.
Le terme
In uno spogliatoio su un lato delle Terme Suburbane, nel 1990, furono ritrovati degli affreschi di arte erotica. Alcuni ricercatori sostengono che indicassero i servizi delle prostitute disponibili al piano superiore delle terme e quindi che fossero una forma di pubblicità, altri propendono per l’ipotesi che il loro unico scopo fosse quello di decorare le pareti con scene di piacere. L’archeologa, Luciana Jacobelli, sostiene che servissero solo a ricordare dove erano stati lasciati gli abiti.
Oggettistica
Tra le statuette e i vasi di bronzo ornati di figure che sono stati recuperati dal Fiorelli, vi è una figura giovanile con berretto frigio, seduta, e appoggiando il capo su una mano, mentre il braccio poggia sul ginocchio, che ha vinto il ammirazione universale degli artisti moderni; o è un Ganimede o una Paride.
Fuori dalla porta di Ercolano si trovano i resti di due estese ville suburbane, chiamate con poca ragione dette le ville di Diomede e di Cicerone, l’ultima delle quali, dopo la sottrazione dei suoi tesori verso la fine del secolo scorso, fu nuovamente riempita con la terra.
I dipinti e gli oggetti d’arte più ragguardevoli, scoperti nel 1875 sono uno dei più importanti esemplari di arte antica portati alla luce. Gli scavi all’inizio procedettero a rilento, essendo la somma annua stanziata dal defunto governo borbonico appena sufficiente per riparazioni e spese accessorie; ma dal 1861, il nuovo governo italiano supportò generosamente i lavori, sebbene la grande cura posta nel dissotterramento dei monumenti abbia impedito ogni rapido progresso.
Tra nuovi scavi e conservazione
Lo spazio riportato alla luce misurava circa un terzo dell’intera area occupata dalla città. Fiorelli calcolava che, effettuando gli scavi a una profondità di 7 metri e impiegando 81 lavoratori al giorno, l’intera città sarebbe portata alla luce nel 1947. In realtà i periodi successivi vedono battute d’arresto nella campagna degli scavi, sia per mancanza di fondi che per via della due guerre mondiali, che causano numerosi danni al sito, come anche il terremoto del 1980.
Oggi si tende più a conservare e a restaurare ciò che è venuto alla luce, ma Pompei ed Ercolano non mancano di riservare scoperte archeologiche sempre nuove.
Gli ultimi giorni di Pompei in letteratura e al cinema
Pompei, sin dalla sua scoperta, rinnovò subito un grande entusiasmo nei confronti del mondo antico, già nell’Ottocento. Gli ultimi giorni di Pompei è un romanzo scritto da Edward Bulwer-Lytton nel 1834. Si tratta di un novella a sfondo storico, di stile romantico, che racconta gli ultimi giorni di vita di alcuni cittadini di Pompei, subito prima della distruzione della città, causata dall’eruzione del Vesuvio nel 79.
I personaggi mostrano la cultura dell’antica Roma nel I secolo. Il protagonista, Glauco, rappresenta la cultura greca, ormai subordinata a Roma, e Arbace, suo avversario, l’antica e immobile cultura egizia. Olinto è il principale rappresentante della nascente religione cristiana, che si presenta sotto uno sguardo favorevole ma non esente da critiche. La Strega del Vesuvio, sebbene non possieda poteri soprannaturali, mostra l’interesse di Bulwer-Lytton per l’occulto, un tema nel quale si concentrerà parte della sua produzione letteraria e, in particolare, uno dei suoi ultimi romanzi: The Coming Race
Il regista Luigi Maggi ne trasse un film nel 1908 con lo stesso titolo. Ne seguirono altre versioni cinematografiche, fino a quella diretta da Mario Bonnard e Sergio Leone nel 1959, con il forzuto Steve Reeves come protagonista.
Nel 1984 viene prodotta una miniserie Tv, una collaborazione italo-statunitense, sempre tratta dal romanzo di Bulwer-Lytton, che vede la partecipazione, tra gli altri, di attori come Franco Nero, Laurence Olivier, Anthony Quayle, Ernest Borgnine.
Pompei è anche il titolo di un romanzo dello scrittore e giornalista Robert Harris pubblicato da Random House nel 2003. Si tratta anche esso di una commistione di personaggi di fantasia con l’evento reale della distruzione di Pompei e delle città circostanti a causa dell’eruzione del Vesuvio nel 79. Il romanzo Pompei è particolarmente notevole per i riferimenti dell’autore a vari aspetti della vulcanologia e all’uso del calendario romano. Nel romanzo è presente anche il personaggio di Plinio il Vecchio
Nel 2007 era stata progettata una versione cinematografica del libro di Harris, che doveva essere diretta da Roman Polanski con un budget di 150 milioni di dollari, ma il progetto si è poi arenato. Nel 2010 fu annunciata la produzione di una miniserie tv per la regia di Ridley Scott ma anche questo progetto non è mai stato realizzato.
A vedere la luce invece, nel 2014, è stata un’altra pellicola, dal titolo molto originale di Pompei, diretta da Paul W. S. Anderson ( regista di Mortal Kombat, Resident Evil, Alien vs. Predator ecc.) con protagonisti Kit Harington (il Trono di Spade), Kiefer Sutherland, Carrie-Anne Moss (Matrix) e altri.
Per essere un disaster movie ha centrato in pieno il suo obiettivo; è stato infatti un vero disastro al botteghino: con un budget di $80–100 millioni di dollari, ne ha incassati 117.
(Libera traduzione e rielaborazione da “Encyclopædia Britannica Eleventh Edition”, 1910-1911 e da The New American Cyclopædia, 1873, con aggiunte e integrazioni)
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