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Cartagine si riprese rapidamente dalle sue difficoltà. Dal 237 a.C., Amilcare Barca conquistò la Spagna interna, mettendo così a disposizione del suo paese le miniere di ferro e stagno, la ricchezza agricola della Spagna, ma anche la possibilità di reclutare ottimi mercenari tra gli Iberi. Nel 221-220 a.C., Annibale Barca, figlio di Amilcare, attacca la città spagnola di Sagunto, alleata di Roma. Quindi intraprese una spedizione eccezionale per attaccare Roma via terra, passando per la Gallia meridionale e attraverso le Alpi. I romani sono sorpresi e vengono duramente battuti al Lago Trasimeno nel 217 a.C., poi a Canne nel 216 a.C
I termini imposti a Cartagine alla fine della seconda guerra punica lasciarono Roma padrona del Mediterraneo occidentale. Durante i cinquanta movimentati anni trascorsi tra la fine di quel conflitto e lo scoppio dell’ultima guerra punica, la sua autorità divenne suprema anche nei mari orientali. Le sorti degli stati più importanti in cui il grande impero di Alessandro fu frammentato alla sua morte, fu di cadere, uno dopo l’altro, nelle mani di Roma, e furono successivamente assorbiti nel suo crescente impero. Parte di questi conflitti vengono trattati nella sezione dedicata alla parte finale della storia greca, qui viene indicato semplicemente il collegamento di questi diversi fatti con la serie di eventi che segnano l’avanzata di Roma all’impero universale.
Espansione romana
La battaglia di Cinocefale (197 a.C.)
Durante la guerra annibalica, Filippo V di Macedonia aveva aiutato i Cartaginesi, o almeno aveva stretto con loro un’alleanza. Ora voleva mirare alle città greche che erano sotto la protezione di Roma. Per questi fatti il Senato romano decise di punirlo. Un esercito al comando di Flaminino fu inviato in Grecia, e nelle pianure di Cinocefale, in Tessaglia, la legione romana dimostrò la sua superiorità sull’ingombrante falange macedone sottoponendo Filippo ad una disastrosa sconfitta (197 a.C.). Il re fu costretto a rinunciare a tutte le sue conquiste e le città greche che erano state sottomesse alla Macedonia furono dichiarate libere. Flaminino lesse l’editto di emancipazione ai Greci riuniti a Corinto per la celebrazione dei giochi istmici. Il decreto fu accolto con grandissimo entusiasmo e giubilo e Flaminino fu chiamato dai riconoscenti Greci, il restauratore delle libertà greche. Sfortunatamente i greci avevano perso ogni capacità di libertà e di autogoverno, e l’anarchia in cui presto caddero i loro governi, offrì ai romani una scusa per estendere il loro dominio sulla Grecia.
La battaglia di Magnesia (190 aC)
Antioco il Grande di Siria in quel tempo non solo aveva invaso tutta l’Asia Minore, ma aveva attraversato l’Ellesponto in Europa, ed era intento alla conquista della Tracia e della Grecia. Roma, che non poteva sopportare l’idea di un impero suo rivale sulle sponde meridionali del Mediterraneo, poteva tanto meno tollerare l’istituzione in Oriente di un regno tanto colossale come si proponeva l’ambizione di Antioco. Non appena arrivò in Italia la notizia che il re siriano stava guidando il suo esercito in Grecia, le legioni della repubblica si misero in moto. Alcuni rovesci indussero Antioco a ritirarsi in fretta attraverso l’Ellesponto in Asia, dove fu seguito dai romani, guidati da Scipione, un fratello dell’Africano.
A Magnesia, Antioco fu battuto e gran parte dell’Asia Minore cadde nelle mani dei Romani. Non ancora disposto a mantenere province così lontane dal Tevere, il Senato conferì il nuovo territorio, ad eccezione della Licia e della Caria, che furono date ai Rodi, al loro amico ed alleato Eumene, Re di Pergamo. Questo “Regno d’Asia”, come veniva chiamato, non era in realtà altro che una dipendenza di Roma e il suo sovrano nominale solo un re fantoccio nelle mani del Senato romano.
Scipione godette di un magnifico trionfo a Roma e secondo un’usanza che ora era divenuta popolare fra i Generali vittoriosi, aggiunse al suo nome un titolo che ricordasse le sue imprese, assumendo il titolo di Asiatico.
La battaglia di Pidna (168 a.C.)
In pochi anni la Macedonia, sotto la guida di Perseo, figlio di Filippo V, fu di nuovo in armi e sfidò Roma; ma nell’anno 168 aC il console romano Emilio Paolo schiacciò per sempre il potere macedone sul memorabile campo di Pidna. Questa fu una delle battaglie decisive combattute dai romani nella loro lotta per il dominio del mondo. L’ultima grande potenza quella di Perseo, di Macedonia, era stata vinta. L’oriente era sottomesso. Il Senato romano fu ormai riconosciuto da tutto il mondo civile come garanzia e fonte di suprema saggezza e potere politico. Dovremo ancora registrare molte campagne altre delle legioni romane; ma questi o erano solo repressioni di rivolte fra Stati dipendenti (o semivassalli) o erano lotte con tribù barbariche che volevano aggirare i domini romani.
La distruzione di Corinto (146 a.C.)
Erano trascorsi appena vent’anni dalla distruzione della monarchia macedone prima che le città e gli stati che formavano la Lega Achea fossero spinti alla rivolta dall’ingiustizia dei loro protettori romani. Nell’anno 146 a.C. il console Mummio segnò la soppressione della ribellione con la completa distruzione della illustre città di Corinto, “l’occhio dell’Ellade“, come con un’immagine espressiva veniva chiamata. Questa maestosa capitale, la più bella e rinomata di tutte le città della Grecia dopo la caduta di Atene, fu saccheggiata e rasa al suolo. Gran parte del bottino fu venduto all’istante in un’asta pubblica. Numerose opere d’arte, — pitture e sculture rare — di cui la città era gremita, furono portate in Italia. Mai prima o dopo, una tale esibizione delle meraviglie dell’arte greca fu portata in processione trionfale per le strade di Roma.
Il destino di Annibale e di Scipione
Tra le tante vicende che affollarono il breve periodo che stiamo rivedendo, non bisogna dimenticare la sorte dei due grandi protagonisti della guerra annibalica. Subito dopo la battaglia di Zama e il trattato tra Cartagine e Roma, Annibale fu scelto al capo della magistratura dell’antica città. In questa posizione aveva introdotto una riforma necessaria in ogni dipartimento del governo e aveva assicurato alla capitale un periodo di prosperità e rapida crescita. Ma le sue misure suscitarono non solo inimicizia in casa, ma anche gelosia a Roma. Il senato romano, temendo Annibale come statista quanto lo temeva come generale, chiese ai Cartaginesi la sua consegna. Mentre stavano valutando se rinunciare al loro grande comandante, Annibale fuggì attraverso il mare verso Efeso, in Asia Minore. Qui fu ricevuto da Antioco con grandi segni d’onore per le sue opere e il suo genio.
Dopo la sconfitta di Antioco a Magnesia, i romani chiesero che Annibale fosse affidato alla loro custodia. Di nuovo egli fuggì dagli implacabili suoi nemici e alla fine trovò rifugio presso il Principe di Bitinia, in un remoto distretto dell’Asia Minore. Eppure anche lì l’odio romano lo perseguitava. Sembrava che non ci fosse posto al mondo dove il braccio di Roma non arrivasse. Il suo nuovo amico non poteva proteggerlo. Deciso quindi a non cadere nelle mani dei suoi nemici, Annibale si tolse la vita per mezzo del veleno; morì fedele al suo voto di odio eterno alla stirpe romana (circa 183 a.C.).
Quasi ugualmente amara fu la coppa che gli ingrati Romani portarono alle labbra del conquistatore di Annibale. Dopo la battaglia di Zama, Scipione l’Africano si dedicò alla politica, ma ben presto suscitò intorno a sé una tempesta perfetta di invidie e persecuzioni immeritate. Lasciata Roma, andò in una sorta di esilio volontario nelle sue campagne presso Liternum, in Campania. Morì più o meno nello stesso periodo in cui fu testimone della morte di Annibale. Sulla sua tomba fu posta questa iscrizione, che lui stesso aveva dettato: “Patria ingrata, non possiederai nemmeno le mie ceneri“.
(Traduzione e adattamento dall’inglese “High school Ancient History, Greece and Rome” , di Philip Van Ness Myers, 1901)
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La terza guerra punica fu la fase finale di un conflitto noto come le guerre puniche, che contrappose Roma contro Cartagine per più di un secolo. Il conflitto terminò dopo una breve campagna e un lungo assedio che durò dal 149 al 146 a.C. dC, con l’annientamento della città punica, che viene rasa al suolo. Nonostante la distruzione materiale, la civiltà cartaginese non scomparve e molti dei suoi elementi furono integrati nella civiltà dell’Africa romana.