Cesare, Crasso e Pompeo
Anche se la congiura di Catilina aveva fallito, era molto facile prevedere che la caduta della Repubblica romana fosse comunque vicina. Infatti, da questo momento in poi, di essa rimane solo il nome.
La base delle istituzioni della repubblica – l’antica virtù romana, l’integrità, il patriottismo e la fede negli dèi – era scomparsa, spazzata via dalla marea del lusso, dell’egoismo e dell’immoralità prodotta dalla lunga serie di conquiste e rapine straniere in cui il popolo romano era stato impegnato.
I giorni della libertà a Roma erano ormai finiti. Da questo momento in poi il governo fu realmente nelle mani di pochi capi ambiziosi e popolari, o di alcuni gruppi di potere o elementi corrotti. Gli eventi si concentrano principalmente su alcuni grandi nomi e gli annali della repubblica diventano biografici piuttosto che storici.
A Roma ora c’erano ora tre uomini – Cesare, Crasso e Pompeo – destinati a plasmare il destino della Repubblica. Gaio Giulio Cesare nacque nell’anno 100 d.C. Sebbene discendesse da un’antica famiglia patrizia, le sue simpatie e il matrimonio precoce con la figlia di Cinna, uno dei sostenitori di Mario, lo portarono presto a identificarsi con il partito mariano o democratico.
Con ogni mezzo, Cesare si adoperò per ottenere il favore dell’opinione pubblica. Spendeva enormi somme per giochi e banchetti pubblici. Si dice che i suoi debiti ammontassero a 25 milioni di sesterzi (250 milioni di euro). La sua popolarità era illimitata. Alcune campagna di successo in Asia, in cui egli aveva partecipato, lo aveva già reso consapevole del proprio genio come comandante, e di ciò presto se ne sarebbero resi conto anche tutti gli altri.
Marco Licinio Crasso apparteneva al partito senatorio o aristocratico. Doveva la sua influenza al suo enorme patrimonio personale, essendo uno degli uomini più ricchi del mondo romano. Le sue fortune furono stimate in 7.100 talenti (più di 150 milioni di euro).
“La maggior parte della fortuna di Crasso, se possiamo dire la verità, per sua estrema onta, fu racimolata con la guerra e con gli incendi, poiché egli organizzò un vero e proprio traffico di calamità pubbliche.
Quando Silla si impadronì di Roma e vendette i beni di coloro che aveva messo a morte, considerandoli come il giusto bottino sottratto ai suoi nemici, volle anche coinvolgere nei suoi crimini tutte le personalità più in vista e trovò in Crasso un uomo che non rifiutava alcun tipo di malversazione o corruzione.
Crasso aveva anche notato quanto la città di Roma fosse spesso soggetta a incendi e quanto spesso le case fossero soggette ai crolli. Tutto ciò era dovuto al peso degli edifici, che ne faceva cedere le fondamenta, e all’essere i quartieri tutti ammassati gli uni agli altri, cosa che rendeva facile il propagarsi degli incendi.
In conseguenza di ciò, Crasso, si dotò di schiavi carpentieri e muratori e continuò a raccoglierli finché non ne ebbe più di cinquecento al proprio servizio. Quindi comprò tutte le case incendiate a Roma, anche mentre stavano ancora bruciando, insieme a quelle vicine, coinvolte ugualmente nel rogo; e di solito le otteneva ad un prezzo molto basso, perché sfruttava la disperazione dei proprietari colpiti dalla sventura. Solo allora, il corpo dei suoi schiavi si metteva al lavoro e spegneva il fuoco. Crasso poi, con poca spesa, riparava i danni subiti dagli edifici che così riacquistavano valore. In questo modo, col tempo, divenne padrone di gran parte di Roma“.
Plutarco, Vita di Crasso.
Conosciamo già Gneo Pompeo e le sue conquiste. La sua influenza in tutto il mondo romano era già grande; infatti, nel sistemare e riorganizzare i governi dei molti Paesi da lui sottomessi, si era sempre preoccupato di ricostruirli nel proprio interesse e in quello della Repubblica. Le cariche, come abbiamo visto, erano occupate dai suoi amici e sostenitori. Questo patronato gli aveva assicurato un’autorità incalcolabile nelle province. Anche i legionari veterani erano naturalmente devoti al proprio generale che li aveva condotti così spesso alla vittoria.
Il Primo Triumvirato (60 a.C.)
Quello che è conosciuto come il Primo Triumvirato poggiava sul genio di Cesare, sulla ricchezza di Crasso e sulle conquiste di Pompeo. Si trattava di una coalizione o di un accordo privato stipulato da questi tre uomini allo scopo di assicurarsi il controllo degli affari pubblici.
Ciascuno si impegnava a lavorare per gli interessi degli altri. Cesare era colui che gestiva il “clan”. Egli riuscì abilmente ad allontanare Pompeo dal partito aristocratico e ad ottenere una riconciliazione tra lui e Crasso, che erano entrati in conflitto. Fu concordato che Crasso e Pompeo avrebbero dovuto aiutare Cesare ad ottenere il consolato. In cambio di questo supporto, Cesare avrebbe dovuto assicurare a Pompeo la conferma delle sue conquiste in Oriente e l’assegnazione di terre per i suoi veterani, concessioni che finora erano state gelosamente trattenute dal partito senatorio.
Tutto andò come previsto dai triumviri: Cesare ottenne l’agognato consolato e Pompeo le terre per i suoi soldati. I due leader del partito dei senatori, Catone e Cicerone, la cui integrità incorruttibile minacciava i piani dei triumviri, furono messi fuori gioco. Catone ottenne un incarico che lo destinava in missione nell’isola di Cipro, in realtà solo un pretesto per allontanarlo da Roma; mentre Cicerone, con l’accusa di aver negato ai cittadini romani il diritto di essere processati nella vicenda dei congiurati di Catilina, fu bandito dalla capitale; la sua dimora sul Palatino fu rasa al suolo e il resto delle sue proprietà venne confiscato.
Nel prossimo episodio: LA CONQUISTA DELLA GALLIA »