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LA GUERRA DI TROIA – 13 – ODISSEO INCITA TUTTI ALLA GUERRA

 

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Nel decimo anno dell'assedio di Troia, c'è disaccordo tra le forze achee, comandate da Agamennone. Quando si divide il bottino di una conquista, il comandante greco ottiene, tra gli altri premi, una ragazza di nome Criseide, mentre Achille ottiene un'altra bella fanciulla, Briseide. Criseide era figlia di Crise, sacerdote del dio Apollo, che chiede ad Agamennone di restituirgli la figlia in cambio di un riscatto. Il capo acheo rifiuta questo scambio e il padre offeso chiede aiuto al suo dio. Apollo procede quindi a punire gli Achei con la peste. Quando è costretto a restituire Criseide a suo padre per placare la punizione divina, Agamennone prende ad Achille la sua Briseide, come forma di risarcimento. Questo, offeso, si ritira dalla guerra insieme ai suoi valorosi Mirmidoni. Achille quindi chiede alla sua divina madre di intercedere presso Zeus, implorandolo di favorire i Troiani, come punizione per l'offesa di Agamennone. Teti ottiene la promessa da Zeus di aiutare i Troiani, nonostante la preferenza di sua moglie Era per la parte achea.
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Zeus accoglie le richieste di Teti

Avendo Teti pregato Zeus di prendere misure per costringere Agamennone a espiare questo insulto al figlio, ottenne un decreto divino che stabiliva che finché Achille si fosse tenuto in disparte, i Greci sarebbero stati sconfitti in ogni scontro con i Troiani.

Teti non aveva dimenticato la sua promessa. Il dodicesimo giorno, all’alba, emerse da sotto le onde e salì sull’Olimpo. Là si gettò ai piedi di Giove, che sedeva sulla vetta del monte in disparte dagli altri dèi, e lo pregò ardentemente che concedesse la vittoria ai Troiani finché i Greci non avessero fatto ammenda a suo figlio per l’offesa che era stata fatta a lui.

Ora può sembrare che non fosse giusto chiedere che tutto l’esercito greco venisse punito per le azioni del loro generale. Ma gli altri capi e i loro soldati non erano meno da biasimare di Agamennone, perché non cercavano di impedirgli di fare del male. Se si fossero opposti a lui in misura maggiore, forse egli non avrebbe osato insultare il loro più grande guerriero, l’uomo senza il cui aiuto tutti sapevano che Troia non poteva essere presa. Perciò Teti pregò Giove di punire tutti i Greci dando la vittoria ai Troiani.

(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)

Zeus e Teti

Zeus e Teti

Zeus acconsentì con un terribile cenno del capo e il potente Olimpo tremò. Teti, rallegrandosi per il successo della sua missione, partì dalle regioni celesti e si tuffò nelle profondità del mare, mentre Zeus andò al suo palazzo d’oro dove gli altri dei erano seduti attorno alla tavola per un banchetto. Quando entrò, tutti si alzarono per fargli onore e gli andarono incontro mentre avanzava verso il suo trono. Ma il suo colloquio con Teti non era sfuggito all’attenzione di Hera e, sospettando di cosa si trattasse, si rivolse al coniuge con parole dure.

“Stai sempre”, disse, “a complottare segretamente contro di me, e ora temo molto che la Teti dai piedi d’argento ti abbia persuaso a fare del male ai Greci“.

“Le hai promesso, non lo puoi negare, di difendere l’onore di Achille causando la morte di miriadi di Greci che periranno presso la loro flotta”.

Omero , Iliade , Libro I.

“Tu sospetti sempre,” rispose Zeus, “ma ora non ti gioverà a nulla. Anche se ho fatto quello che dici, questo è il mio sovrano piacere. Taci, e siediti in pace, e bada di non provocare la mia rabbia.”

Efesto consiglia a mamma di non far arrabbiare papà

A questo punto Efesto intervenne, supplicando sua madre, Hera, di sottomettersi alla volontà dell’onnipotente Zeus; “perché”, disse, “se il Tonante vuole scagliarci dai nostri posti in cielo può farlo facilmente, poiché il suo potere è di gran lunga maggiore di quello di tutti gli altri dei”.

Efesto poi le ricordò come entrambi erano già stati puniti in una precedente occasione per un’offesa contro Zeus. Quando Eracle stava tornando in Grecia da Troia dopo aver conquistato quella città, Hera, che odiava il grande eroe, scatenò una tempesta nel Mar Egeo, che disperse le sue navi dal loro percorso e quasi le distrusse. Affinché potesse farlo senza che Zeus lo sapesse, riuscì a gettare questi in un sonno profondo. Quando si svegliò e venne a sapere cosa aveva fatto, si arrabbiò così tanto che la appese al cielo con una catena d’oro e legò ai suoi piedi due pesanti incudini di ferro. Efesto cercò di sciogliere le catene e di liberare sua madre, e per questa offesa il re dell’Olimpo lo scagliò dalla dimora degli dèi. Cadde nell’isola di Lemno nel mar Egeo, ma alcuni degli abitanti, vedendolo precipitare, lo soccorsero.

Come era caduto
Dal cielo favoleggiavano, gettato da Giove adirato.
A strapiombo sui merli di cristallo; dal mattino
A mezzogiorno cadde, da mezzogiorno alla vigilia rugiadosa,
Un giorno d’estate; e con il sole che tramonta
Caduto dallo zenit, come una stella cadente,
A Lemno, l’isola Egea.

Milton , Il paradiso perduto , Libro I

Efesto

Efesto

Dopo aver ricordato queste cose ad Hera, e aver ristabilito la pace tra lei e il re dei cieli, Efesto assunse l’ufficio di coppiere. Versò il nettare in calici d’oro e lo servì agli dei e alle dee, i quali risero tutti alla vista del dio zoppo che si agitava per la sala dei banchetti mentre eseguiva l’opera di Ganimede. Festeggiarono fino al tramonto, Apollo donava loro una dolce musica dalla sua lira, mentre le dee del canto lo accompagnavano con le loro voci.

Il Sogno di Agamennone

Terminato il banchetto, gli dèi e le dee si ritirarono nei loro palazzi d’oro costruiti da Efesto, e cercarono riposo nel sonno. Ma Zeus non dormiva, perché pensava a come mantenere la promessa fatta a Teti. 

Dopo aver riflettuto a lungo, decise di inviare un messaggio ad Agamennone per mezzo di un sogno, dicendogli di guidare subito le sue forze contro Troia, poiché era volontà degli dei che la città cadesse ora nelle mani dei Greci. E così questo falso Sogno o Spirito bugiardo fu inviato per compiere la sua missione ingannevole. Assunse la forma del venerabile Nestore e, apparendo ad Agamennone mentre dormiva nella sua tenda, gli diede l’ordine di Zeus:

«Monarca, svegliati!
È l’ordine di Zeus che ti porto;
Tu e la tua gloria rivendicate la sua cura celeste.
In giusto schieramento tira fuori le truppe chiomate,
Conduci tutti i tuoi Greci alla pianura polverosa;
E’ adesso, o re! ti è dato di distruggere
Le alte torri della vasta Troia”.

Omero , Iliade , Libro II.

Non appena Agamennone si svegliò, convocò in fretta un consiglio dei capi da riunire alle navi di Nestore. Là raccontò loro il comando di Zeus, come gli era stato inviato in sogno. Tutti convennero che si doveva obbedire alla volontà divina, ma Agamennone, da prudente generale, pensò che sarebbe stato bene, prima di andare in battaglia, verificare se le truppe, dopo nove anni di fatiche, fossero ancora disposte a sostenerlo per portare avanti la guerra. Con questo scopo decise di tentare il piano di fingere con loro di aver deciso di terminare l’assedio e tornare subito in Grecia.

Radunato così tutto l’esercito greco, ad eccezione dell’iracondo Achille e dei suoi Mirmidoni, Agamennone si rivolse loro, appoggiandosi al suo scettro. Disse loro che ora credeva che Troia non potesse essere presa e che Zeus, che prima aveva promesso la vittoria ai Greci, ora ordinava loro di tornare ad Argo.

Atena convince Ulisse

Atena e Odisseo, Jan Styka, 1901

Atena e Odisseo, Jan Styka, 1901

Ma Hera, dal suo seggio sull’alto Olimpo, stava osservando questi movimenti, e decise che la guerra contro gli odiati Troiani non poteva finire così . Quindi mandò Atena con un messaggio ad Odisseo. La dea dagli occhi azzurri, come Atena è spesso chiamata da Omero, si affrettò all’accampamento dei Greci, e si avvicinò al re di Itaca, che stava in piedi vicino alle sue navi, molto addolorato nel vedere i suoi compatrioti che si preparavano a partire. Atena gli si rivolse parole sincere, pregandolo di usare la sua influenza presso i greci e di persuaderli a non andare via.

«Non può essere», disse, «che voi, capi valorosi, lasciate a Priamo la gloria della vittoria, e ai Troiani che hanno rapito Elena, a causa della quale tanti del tuo popolo sono periti, lontano dalla loro patria».

Odisseo conosceva la voce della dea e prontamente obbedì alla sua richiesta. Andò tra le navi e parlò con i capi, ricordando loro che non era desiderio di Agamennone che rinunciassero alla guerra e supplicandoli di dare esempio di coraggio ai loro seguaci.

L’odioso Tersite

Ma c’era un individuo dalla mente malvagia che cercava di incitare gli altri alla ribellione. Costui era Tersite, un volgare attaccabrighe e l’uomo più brutto dell’intero esercito greco.

Della moltitudine che
che venne a Ilio, nessuno così vile come lui, –
Con gli occhi socchiusi, con un piede zoppo, e sulla schiena
Un nodulo e spalle curve verso il petto;
La sua testa era affilata e su di essa i peli
Erano sottilmente sparsi.

Omero , Iliade , Libro II

Odisseo e Tersite

Odisseo e Tersite

Questo brontolone mal intenzionato, tanto deforme nella mente quanto nel corpo, provava molto piacere nello sparlare dei più valorosi guerrieri dell’esercito, in particolare di Achille e Odisseo. Ma in questa occasione alzò la sua voce stridula con parole di insulto contro Agamennone“Le tue tende”, gridò al re, “sono piene di denaro e di premi da noi conferiti. Vuoi ancora più oro, che per il nostro valore dobbiamo vincere per te dal nemico? Se i Greci non fossero delle femminucce invece che veri uomini, se ne sarebbero già tornati a casa prima con le loro navi e ti avrebbero lasciato qui a combattere i Troiani. Poco onore e pochi premi avresti allora!”

Così Tersite insultava Agamennone, ma il suo discorso insolente gli portò una pronta punizione. Odisseo, che era lì vicino, rivolse sguardi adirati verso Tersite e lo rimproverò con parole severe. Poi col suo scettro colpì Tersite sulla schiena e sulle spalle, finché quello pianse di dolore e si accovacciò per terra, pieno di timore e tremore.

Tutti i Greci risero di cuore di quel disgraziato rannicchiato a terra mentre si asciugava le lacrime, e applaudirono rumorosamente il capo di Itaca. “Certo”, dissero, “Odisseo ha compiuto molte buone azioni, ma ora ha fatto la cosa migliore nel punire questo oltraggioso sboccato come si meritava!”

Odisseo arringa l’esercito. La Guerra riprende

Esercito greco

Esercito greco

Allora Odisseo, preso in mano il famoso scettro di Agamennone, fece un eloquente discorso all’esercito, Atena, dagli occhi azzurri, sotto le spoglie di un araldo, comandò al popolo di tacere, affinché potessero udire le parole del più saggio dei loro capi. Fu in questa occasione che il re di Itaca raccontò la storia del serpente che divora gli uccelli ad Aulide, come già raccontato. Molti Greci avevano dimenticato l’avvenimento meraviglioso, e la predizione di Calcante che nell’anno decimo dell’assedio, Troia sarebbe stata finalmente presa. 

Ricordandolo ora, erano pieni di nuova speranza e coraggio, perché era giunto il decimo anno e la fine della gara non doveva essere dunque lontana, così come la grande vittoria per loro, come aveva dichiarato l’indovino. “Perciò, valorosi Greci”, disse Odisseo, dopo aver detto tutto ciò, “poiché la profezia è così vicina al suo compimento, rimaniamo tutti qui finché non avremo conquistato la città di Priamo”.

(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)

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Quando la notizia dello schieramento acheo giunge al re Priamo, i Troiani rispondono con una sortita nella pianura. In un elenco simile a quello degli Achei, Omero descrive i Troiani e i loro alleati. Gli eserciti si avvicinano l'un l'altro, ma prima di incontrarsi, Paride si offre di porre fine alla guerra combattendo un duello con Menelao, sollecitato dal fratello e capo dell'esercito troiano, Ettore. Entrambe le parti giurano una tregua e promettono di rispettare l'esito del duello. Paride viene battuto, ma Afrodite lo salva e lo porta da Elena prima che Menelao possa ucciderlo.

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