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TU REGERE IMPERIO, ROMANE, MEMENTO

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TU REGERE IMPERIO, ROMANE, MEMENTO – PARTE II DI 8

Caput mundi

I romani, curavano molto la propaganda. Per tutta la loro storia, rivendicarono con fierezza di essere stati i primi self-made men della storia: in origine non erano che abitanti di villaggi di pastori e agricoltori; gente semplice e rude, le cui origini umili avevano dato loro una disciplina spartana e la forza per conquistare un Impero. L’impero: per loro era la ricompensa donatagli dagli dèi perché essi erano i più degni a governare il mondo. Nel libro sesto dell’Eneide, il poema nazionale romano di Virgilio, Enea, l’eroe profugo troiano all’origine delle leggende sulla fondazione di Romaritrova nell’aldilà il padre Anchise, che gli mostra le anime destinate a reincarnarsi nei grandi eroi della storia romana. Al termine della rassegna, egli rivolge al figlio – e dunque a noi che leggiamo questi versi – delle parole solenni, che racchiudono tutta la missione di Roma:

Altri modelleranno bronzi animati da un respiro più delicato,
tireranno dal marmo, ci credo davvero, volti viventi,
Parleranno meglio nei tribunali, tracceranno con il compasso
I movimenti celesti, e prediranno il sorgere delle stelle;
Ricorda, Romano, che tu governerai invece le nazioni
secondo la tua legge,
– queste saranno le tue stesse arti –
e imporrai l’uso della pace:
risparmierai il sottomesso
e con le armi piegherai il superbo”.

“tu regere imperio populos, Romane, memento”

Questo mito è vero, fino a un certo punto. Roma fin dalla sua origine, intorno al 1000 a.C., fu solo uno dei i tanti piccoli villaggi – niente di più di un agglomerato di case di paglia – sparsi per il Lazio, una regione, come sappiamo tutti dalla scuola elementare, situata nel centro Italia, sulla costa occidentale.

Eppure, nonostante le sue modeste origini, Roma divenne la più grande città dell’Europa intera e del Mediterraneo. Al suo culmine, Roma era popolata da ben più di un milione di abitanti. (Basti pensare al fatto che le più grandi città del del tempo ne avevano sì e no diecimila). Roma non era solo un posto per per viverci, era, come dice Crasso nel film Spartacus di Stanley Kubrick del 1960 (interpretato da Laurence Olivier) “Un’eterna idea della mente divina”.

Anche quando l’impero verrà scisso in due parti, gli stessi abitanti dell’Impero romano d’Oriente continueranno a chiamare loro stessi in greco Ῥωμαῖοι / Rhōmàioi (“Romani”) oppure Ῥωμιοί / Rōmiói (“Romei”). Il vero nome di Costantinopoli era Nuova Roma e anche i loro sovrani erano Βασιλεὺς καὶ Καῖσαρ τῶν Ῥωμαίων Basilèus kài Kàisar tṑn rōmàiōn, ovvero Sovrano e Cesare dei Romani. La penisola balcanica veniva chiamata dai RomeiRumelia, nome di regione che sarà conservato dai successivi conquistatori ottomani, che indicheranno con la parola Rūm (in arabo: الرُّومُ , al-Rūm) i ‘Romani d’Oriente’ cioè i Bizantini. I sultani ottomani, dopo la conquista di Costantinopoli, assumeranno il titolo di qaysar-ı Rum, “Cesare dei Romani”.

I romani ricordarono sempre le loro origini. Anche se queste si perdono tra le nebbie del tempo, scrittori, poeti, storici e retori – talvolta anche con una vena polemica quando verrà la progressiva decadenza dei costumi – dipingeranno sempre il popolo dei Quiriti come una comunità di contadini e agricoltori, avvolgendo in un’aura bucolica, oppure nel mito eroico, o ancora in quello del “buon selvaggio”, i tempi più antichi della loro storia.

Regere orbis frena rotundi

Cioé reggere le redini dell’orbe rotondo. I romani erano fermamente convinti di essere superiori a tutti gli altri popoli. – “Quattro a uno! La differenza fra un romano e un giudeo!” – Dice con disprezzo, arroganza e razzismo Messala (Stephen Boyd) nel film Ben-Hur di William Wyler (1959), quando lo sceicco Ilderim (interpretato da Morgan Freeman nella versione remake del 2016) gli propone appunto una scommessa di quattro a uno per 1000 talenti, in una sfida di corsa con le bighe in cui il suo avversario sarà proprio Ben-Hur (Charlton Heston)

Nonostante questa loro superbia dichiarata, essi avevano comunque un velato un complesso di inferiorità nei confronti dei greci e degli egiziani. Ma erano persuasi comunque dall’incrollabile convinzione che il fato, cioè il destino, avesse loro assegnato il compito di governare il mondo. Erano loro a dettare le regole e tutti dovevano fare il loro gioco (“Il mondo è di Roma: se vuoi viverci devi farti parte di esso.. ” dice ancora Messala in Ben Hur).

Alcuni dei popoli sottomessi, dopo una fiera resistenza, divennero poi romani a tutti gli effetti; come gli spagnoli, che fornirono a Roma intellettuali del calibro di Seneca; poeti, come Lucano, e imperatori, come Adriano, Traiano e Teodosio. Ma anche molti altri accettarono di buon grado di essere annoverati fra i “romani”: Filippo l’Arabo, imperatore, sotto il cui regno venne celebrato il millennio di Roma, era siriano; Alessandro Severo, anche lui imperatore, era originario del Libano; Settimio Severo che regnò dal 193 al 211 d.C., era libicoAureliano era invece serbo. Fu l’imperatore Caracalla, nato in Gallia, a Lione, in Francia dunque, ad estendere la cittadinanza romana a tutti i cittadini dell’impero.

Lo storico greco Polibio venne a Roma come ostaggio, ma fu preso da grande ammirazione nei confronti della società romana e si guadagnò la fiducia dei politici romani più influenti, come gli Scipioni, tanto da poter viaggiare liberamente all’estero e a riuscire ad ottenere condizioni favorevoli per la Grecia, ormai ridotta a provincia romana. Scrisse le sue Storie in greco, per spiegare ai suoi connazionali le ragioni del dominio di Roma e l’eccellenza delle sue istituzioni.

Il filosofo e biografo greco Plutarco fu Procurator Augusti sotto Adriano, un ruolo che veniva affidato solo a persone di sicura fiducia e solo dall’imperatore in persona. Tito Flavio Giuseppe fu uno scrittore e storico ebreo antico, ma aveva la cittadinanza romana. Anche l’apostolo Paolo (Saulo) di Tarso era cittadino romano: “Civis Romanus sum” dichiarò al momento del suo arresto, come riportato negli Atti degli Apostoli (At 22,27), per poter essere giudicato dall’Imperatore, privilegio che avevano solo i cittadini romani. La locuzione è attestata per la prima volta in Cicerone (In Verrem II, 5, 162). Il Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy nel suo famoso discorso a Berlino Ovest del 1963, si ricorderà di questa formula:«Duemila anni fa l’orgoglio più grande era poter dire civis Romanus sum. Oggi, nel mondo libero, l’orgoglio più grande è dire “Ich bin ein Berliner” (io sono berlinese).»

Di origine algerina, ma cittadino romano, era anche Sant’Agostino, uno dei padri della Chiesa; non erano italici di nascita neppure numerosi altri imperatori, come Massimo il Trace, o Diocleziano (di origine croata), o ancora Costantino (originario della Serbia), il cui padre – imperatore anche lui – era invece illirico. Valentiniano II era nato a Treviri, in Germania. E poi generali come Stilicone, nato anche lui in Germania e di origine vandala.

C’erano molti stranieri anche tra i filosofi: Ario Didimo, insegnante di filosofia di Augusto, proveniva da Alessandria d’Egitto; Il filosofo Plotino, vicino alla corte imperiale e che morì in Campania, era di Licopoli, anche lui egiziano e il suo discepolo Porfirio, era greco-fenicio. Cassio Dione, lo storico, era un greco-romano di Nicea, senatore e figlio di senatore e il poeta Claudio Claudiano proveniva anche lui da Alessandria. Questi personaggi e molti altri erano tutti di origine straniera o barbarica.

Ma parliamoci chiaro: In tutto l’impero c’erano indubbiamente uomini e donne spagnole, africane, galliche e via dicendo che erano fieri di essere chiamati romani (ricordiamo che l’antica Dacia porta ancora oggi il nome di Romania, che era il nome che i latini davano alle zone conquistate; e che una regione della Francia si chiama ancora ai nostri giorni, Provenza, cioè Provincia romana).

Ma c’erano anche molte altre popolazioni, come i Britanni, i Germani, i Galilei, parte dei greci o degli egiziani, parte dei Galli (almeno per un certo tempo) ecc., che non erano altrettanto felici di questa loro appartenenza all’Impero. Pompeo Trogo ad esempio, era uno storico, cittadino romano di origine gallica, che non amava e non apprezzava affatto i nuovi padroni del mondo: preferiva ad essi i Macedoni, imperniando su di essi e non sull’impero romano, la storia universale. Questa sua posizione rimase però in netta minoranza nella storiografia successiva, anche ai nostri giorni.

Vi erano poi quelli apertamente ostili al governo di Roma, e nei confronti di questi, l’Urbe fu assai spietata e brutale (racconteremo poi ad esempio l’episodio dell’assedio di Numanzia, o di Alesia, oppure di quello di Masada). I romani, in questo caso, sapevano essere molto crudeli, come tutti i conquistatori del mondo antico, i quali non andavano in generale tanto per il sottile: assiri, egiziani, greci (sì anche loro, gli splendidi greci; potevano essere assai spietati quando volevano). Non parliamo poi di quanta ferocia poteva arrivare ad esibire Alessandro Magno! 

Fra i più famosi nemici di Roma dobbiamo annoverare Spartaco, il gladiatore tracio che guidò una memorabile rivolta di schiavi; il gallo Vercingetorige, Re degli Arverni e fiero oppositore dei romani, come suo padre Celtillo; Ambiorige, il Belgico; Arminio, principe dei germani Cherusci, che nonostante fosse prefetto di una coorte cherusca dell’esercito romano e cittadino romano, organizzò un grandioso agguato contro tre intere legioni a Teutoburgo.

Poi Ariovisto il germanico, altro avversario di CesareGiugurta astuto e intrigante principe di Numidia, corrotto e corruttore; Annibale, il più famoso e più grande di tutti, tanto da giurare da bambino su di un altare – indotto a ciò dal padre – odio eterno contro i romani.

Più famoso? Beh, in realtà Annibale si litiga il podio con Cleopatra, femme fatale greco-egizia, regina dello charme e quasi un’intrigante Mata Hari che sognò di riportare la terra dei faraoni ai fasti di un tempo.

Da non dimenticare anche Mitridate, che costrinse Roma a ben tre guerre, rincorrendo anche lui un sogno: ripristinare l’impero di Alessandro.

Abbiamo poi i martiri dell’indipendenza dei popoli: Boudicca, regina degli Iceni, popolazione dell’Inghilterra orientale, che guidò una grande rivolta contro Roma. Calgaco, re dei Caledoni, ovvero gli scozzesi, famoso per una potente invettiva contro l’imperialismo romano tramandataci da Tacito (e sicuramente inventata dallo storico in questione). Decebalo, ultimo re della Dacia, che, sconfitto, si uccise per non cadere in mano ai romani.

Comunque sia, che fosse la volontaria adesione al dominio romano o una fiera rivolta contro di esso, tutto ciò non faceva che rafforzare la fede dei romani nel loro destino. Infatti, le sonore e umilianti sconfitte arrecate loro da Annibale, ad esempio, invece di piegarli o indurli a rinunciare, come ci si aspetterebbe, li spinsero a contrattaccare con sempre maggiore determinazione. Avere molti nemici era per loro altrettanto onorevole che avere molti alleati o popoli sottomessi.

I romani credevano di aver conquistato tutto quello che avevano, i territori e il potere, grazie alle loro virtù superiori. Ma quando la ricchezza e il lusso portarono ad una progressiva decadenza e corruzione dei costumi, fino ad arrivare alla perversione sessuale e alla violenza gratuita praticata da aristocratici e imperatori (come Caligola, Commodo o Eliogabalo), molti intellettuali, come Sallustio, Tacito e Seneca, denunciarono tutto ciò come una perversione dell’essenza genuina del popolo romano: l’essere onesti, rispettosi della legge e retti da una ferrea autodisciplina.

Ma tutto ciò non ha intaccato neanche un poco il loro mito. Li ha solo resi ancora più grandi agli occhi dei posteri: grandi nella grandezza e grandi nella caduta, protagonisti dell’intera parabola umana, che dalla povertà ed operosità – quindi dal nulla – con le sole proprie forze, costruisce un immenso castello, spinta da una sana ambizione. Ma alla fine i mortali non riescono a reggere a tutto ciò, sedotti e divorati dal demone di questo loro stesso smisurato potere e dall’immensa ricchezza. La storia di Roma è un eterno specchio della storia dell’umanità, individuale e collettiva, con tutta la sua bassezza e grandezza.

Nella grandiosa e tragica vicenda dei romani c’é infatti tutto questo: L’ambizione di Ulisse, di Alessandro Magno, di Cesare Borgia; la perdizione di Macbeth, di Riccardo III, di Faust, di Tamerlano; la grandezza, nobiltà e saggezza di Enrico V, di Carlo V di Spagna, di Luigi XIV di Francia; l’eroismo del paladino Orlando e del Cid Campeador; le follie tiranniche e sanguinarie di Vlad di Valacchia (all’origine della leggenda di Dracula), di Hitler e di Stalin. Un immenso dramma shakespeariano, un affresco michelangiolesco, recitato non in un teatro, dove tutto è finto, ma nel palcoscenico reale della storia del mondo.

O se preferite, come la irripetibile carriera di una rockstar, che arriva al successo planetario dal nulla, raggiunge la vetta del mondo, esaltata da milioni di fan, e poi inizia un’inesorabile discesa fatta di droga, alcol ed eccessi di ogni tipo, fino al declino progressivo e alla caduta. Diversi imperatori romani (Caligola, Nerone, Caracalla, Eliogabalo ecc.) ebbero un’esistenza non troppo dissimile da quella di Jim Morrison, Sid Vicious, Kurt Cobain.

I romani, belli e tenebrosi, bad boys, cattivi ragazzi comunque attraenti, hommes fatales. Tutti, apparentemente, diciamo di amare più i greci, per via del culto della bellezza, della loro arte e letteratura e perché hanno creato la democrazia (gli inglesi, i francesi, i tedeschi e i belgi poi ancora mal digeriscono di essere stati un tempo, del tutto o in parte, sotto il giogo romano). Esaltare i greci ci rende stimabili e dignitosi; gente per bene (il musicista francese Maurice Ravel disse che la Grecia fu grande e Roma potente, ma che lui “preferiva la grandezza alla potenza”. Sarà anche vero, ma ci viene da rispondere che lo splendore della civiltà greca sarebbe arrivato in Gallia, cioè in Francia – e in molti altri paesi molto più lentamente e con maggiori difficoltà, senza i romani).

Insomma, quando sentiamo parlare dei greci, sì, giù il cappello, per carità! Ma in realtà è quando sentiamo parlare delle conquiste dei romani o delle lotte dei gladiatori, delle meraviglie tecnologiche e architettoniche e della grandezza del loro impero, è solo allora che proviamo davvero un lungo brivido lungo la schiena. Troppo cool!!!

I greci sono come i principi azzurri dei sogni delle ragazze: che vengono con la carrozza e il cavallo bianco; bellissimi, gentili, romantici ed educati, con tutta la loro filosofia, poesia, scultura, scienza…interessanti sì, ma alla lunga anche un po’ …noiosi.

I romani sono invece come Elvis Presley, James Dean, Johnny Depp, il giovane Marlon Brando; belli e dannati, ribelli e un po’ violenti, ma che nascondo tutto sommato anche un lato dolce e tenero (ci sono Cesare e Silla, i generali assetati di potere e di conquiste, certo; ma ci sono anche i Catullo e gli Ovidio, i grandi poeti dell’amore).

Sono i ragazzacci come i romani, che alla fine fanno davvero girare la testa e battere il cuore alle fanciulle, disposte all’improvviso per loro a piantare tutto, compreso il fidanzato inamidato e un po’ manichino (magari di origine greca) e a saltare in groppa alla sella della rombante moto di questa “gioventù bruciata” (quasi dei Tony Manero o Danny Zuko o Arthur Fonzarelli capitolini) per fuggire via, il più lontano possibile, senza meta e senza pensare al domani.

Carpe diem! Cogli l’attimo! Come si fa a non innamorarsi dei romani? Fatelo anche voi! Saltate sopra la loro moto, cioè sulla loro biga e immergetevi nella loro storia!

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