TU REGERE IMPERIO, ROMANE, MEMENTO – PARTE V DI 8
Alla scoperta di Roma
Ma a parte l’ampiezza del patrimonio archeologico che ci hanno lasciato e gli sforzi di più di un re medievale e non solo, di imitarli o inserirsi nel loro lignaggio, perché qualcuno dovrebbe aver bisogno di “scoprire” l’antica Roma? Perché è importante conservare e tramandare il patrimonio del passato, senza dare per scontato che ormai è ampiamente acquisito e che sarà sempre disponibile. Durante il Medioevo ad esempio, gran parte di ciò che Roma aveva costituito o che essa aveva ereditato dai greci, sprofondò nell’oblio (anche se in realtà qualcosa sopravvisse e, grazie alla mediazione degli Arabi, l’Occidente aveva già riscoperto ad esempio, Aristotele). Salvo poche eccezioni, molti libri e biblioteche andarono distrutte o in rovina e altrettanti monumenti vennero depredati, danneggiati o rasi al suolo.
Quando poi nel XV secolo esplose il Rinascimento – grazie anche ai dotti bizantini, che si rifugiarono in Europa dopo la caduta di Costantinopoli portando con sé copie dei testi antichi, e grazie anche alla nuova invenzione della stampa a caratteri mobili, che facilitò la diffusione degli scritti dei greci e dei romani – gli umanisti europei poterono iniziarono a riscoprire il mondo classico. Ispirati dal modello degli antichi, i pittori e gli scultori rinnovarono l’arte in tutte le sue forme e gli intellettuali riscoprirono lo studio delle istituzioni politiche e riproposero, sviluppandolo, il dibattito filosofico, come l’importanza dell’educazione e dell’apprendimento.
L’Impero Romano era ormai scomparso da tempo, ma i resti degli edifici rimasti erano sufficienti a suscitare meraviglia in coloro che li visitavano, e i testi latini, assieme a quelli greci ovviamente, affascinarono ancora generazioni di nuovi lettori, e tutto questo accade ancora oggi.
Vestigia urbium
Ai quattro angoli dell’Impero, le grandi città romane hanno lasciato rovine la cui magnificenza non ha cessato di sorprendere nei secoli successivi. Clicca qui se vuoi leggerne una breve rassegna:
Scripta manent
Nell’antichità, l’influenza degli eruditi romani fu enorme sotto diversi aspetti, ma è grazie alla sopravvivenza dei loro testi che oggi noi conosciamo molte cose del mondo romano di quei tempi. Ecco una breve rassegna degli autori latini più importanti:
Cicerone (Marcus Tullius Cicerone) (106-43 a.C.): avvocato, console, statista, teorico politico e filosofo romano. È spesso considerato uno dei più grandi oratori e stilisti di prosa della Roma antica. Il suo latino è considerato il modello del latino classico e fu lui ad introdurre i romani alla filosofia greca. Cicerone fu fortemente coinvolto nella politica della Repubblica Romana. Pubblicò i suoi discorsi, i trattati sul governo (De Re Publica), sul dovere (De Officiis), sulla natura divina (De Natura Deorum) e anche una vasta raccolta della sua corrispondenza privata. La sua opera ebbe un’enorme influenza sul pensiero e la letteratura sino all’età moderna e oltre. Resta inoltre per noi una preziosa fonte sulla filosofia ellenistica, presocratica e su autori le cui opere non ci sono pervenute.
Cesare (Gaio Giulio Cesare) (100-44 a.C.): generale, politico e scrittore della fine della Repubblica Romana. Scrisse I Commentarii de Bello Gallico (Commentari sulla guerra gallica), dove documenta le campagne effettuate in Gallia e Britannia durante il suo mandato come proconsole, e I Commentarii de Bello Civili (Commentari sulla guerra civile), dove narra gli eventi della guerra civile fino a subito dopo la morte di Pompeo in Egitto. Questi resoconti venivano da lui scritti e pubblicati annualmente durante o subito dopo le sue campagne militari, come una sorta di “dispacci dal fronte”. Apparentemente semplici e diretti nello stile – al punto che i Commentarii di Cesare sono comunemente sottoposti agli studenti di latino del primo e del secondo anno – sono in realtà piuttosto sofisticati, rivolti al ceto medio e ai piccoli aristocratici di Roma, in Italia e nelle province. Famosi per sembrare obiettivi (anche se spesso, soprattutto nel De Bello Civili, non lo sono affatto) restano comunque risorse storiche eccezionali per l’epoca, soprattutto per ricostruire in parte l’etnografia della Gallia e del Nord Europa di quei tempi.
Catullo (Gaio Valerio Catullo) (84-54 aC): poeta latino. Catullo nacque a Verona, ma studiò a Roma dove conobbe Lesbia, una donna sposata (probabilmente Clodia della famiglia dei Metelli), della quale s’innamorò e per la quale compose molte poesie, narrando la loro relazione intensa ma tormentata. Morì giovane, poco più che trentenne e fu l’esponente di spicco di un nuovo genere di poesia (i poetae novi) che abbandonava i temi epici e lirici della tradizione, e si rivolgeva, con gusto ellenistico e moderno, a soggetti più legati alla celebrazione della vita: il vino, l’amore, l’amicizia e le donne.
Virgilio (Publius Vergilius Maro) (70-19 a.C.): nato a Mantova (nella Gallia Cisalpina nel nord Italia ), considerato il più grande poeta latino, Virgilio visse in uno dei momenti più travagliati della storia di Roma, tra la fine della Repubblica Romana e la nascita dell’Impero, diventando il protetto del primo imperatore Augusto. La sua opera più famosa, L’ Eneide (Aeneis), racconta la leggenda della nascita di Roma: modellata sui poemi epici omerici, l’opera ripercorre le avventure di Enea, il leggendario eroe troiano, antenato dei fondatori di Roma, e include profezie sull’avvento del regno di Augusto, rendendola al tempo stesso un’opera di alta poesia e uno strumento di propaganda dell’ideologia imperiale. Altre suoi componimenti poetici furono le Bucoliche (Bucolica) e le Georgiche (Georgica), composte per rafforzare il mito delle loro origini agresti di Roma, creando un’immagine di un mondo di beatitudine rurale primordiale. La Quarta Egloga delle Bucoliche è dedicata a Pollione ed è celebre per la profezia circa la nascita di un puer il cui avvento sarà causa di rigenerazione per l’intera l’umanità; scritta in realtà per annunciare la dinastia di Augusto, in essa, successivamente, i cristiani vi vedranno una profezia sulla venuta di Gesù.
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Ci affidiamo talvolta anche a testimonianze dei primi cristiani o dei padri della Chiesa, vissuti appena prima, durante o subito dopo il naufragio del mondo antico, perché essi avevano ancora accesso a testi che per noi sono perduti.
Il motivo per cui possediamo ancora i testi degli autori latini (e greci) è perché le loro opere sono state copiate e ricopiate nei secoli. Dobbiamo ringraziare di questo soprattutto i monaci medievali. Con il loro lavoro certosino (ed è proprio il caso di dirlo) gli studiosi hanno potuto studiare alcune delle più grandi opere della letteratura, della poesia, della filosofia e della storia di Roma. Purtroppo una quantità enorme di testi classici è andata perduta, e a volte, come è comprensibile, i copisti hanno commesso degli errori nel loro lavoro. Capita a tutti! In ufficio a scrivere montagne di scartoffie davanti allo schermo di un PC o in un buio monastero, chini sul tavolo a copiare pagine e pagine in greco e in latino!
La storiella del busillis
A proposito degli errori dei copisti medievali, c’è una divertente storiella che viene raccontata a riguardo, clicca sul pulsante di seguito se vuoi leggerla:
Spesso diversi monasteri avevano ciascuno una copia dello stesso testo, ma di solito tutti si basavano su un unico manoscritto originale, sopravvissuto al naufragio dell’antichità. Ad esempio, dell’intero corpus delle opere di Catullo, esisteva un unico manoscritto conservato a Verona all’inizio del XIV secolo. Questo prezioso documento, sparito in breve tempo senza lasciare traccia (anche allora le biblioteche dovevano combattere con chi non restituiva i volumi dati in prestito) fortunatamente fu dapprima copiato nel Catulli Veronensis Liber (Libro di Catullo di Verona) che comprendeva 116 carmi per un totale di circa 2.300 versi, e nel frattempo ne furono tratti altre tre codici: l’Oxoniensis (da Oxford), del XIV secolo; Il Sangermanensis, dall’abbazia di Saint-Germain-des-Prés, risalente alla fine del XIV secolo e Il Datanus del1463; altrimenti il fiore della poesia catulliana si sarebbe perduto per sempre, poiché prima della comparsa del Catulli Veronensis esisteva un solo codice manoscritto – il Thuanensis, che era più un florilegio della poesia latina, copiato nel IX secolo – e che conteneva tra l’altro un unico carme di questo poeta.
Una patacca rinascimentale?
Il vaso Portland è un’anfora romana in vetro del I secolo d.C., custodito al British Museum a Londra, realizzato con la tecnica della sovrapposizione (vetro a cammeo)…clicca sul pulsante se vuoi leggere il resto
Carlo Magno e Guglielmo da Baskerville
Le opere antiche devono la loro sopravvivenza anche a Carlo Magno (742 – 814 d.C.), che incoraggiò la copia di testi latini nella sua biblioteca della città Aquisgrana, sede dell’impero carolingio ed epicentro della cosiddetta “rinascita carolingia”. Gli scritti così sopravvissuti poterono essere trascritti da altri monaci copisti nei secoli successivi, finché la nascita della stampa in Europa cambiò definitivamente le cose. Fu sempre sotto Carlo Magno che apparve la “minuscola carolina“, un tipo di scrittura caratterizzata da una forma regolare delle singole lettere, facilitandone la lettura, che fu all’origine del corsivo moderno.