L'assassinio di Giulio Cesare fu il risultato di una congiura di 40 senatori romani che si definirono liberatori, guidati da Gaio Cassio Longio (Cassio) e Marco Giunio Bruto. Giulio Cesare fu ucciso nel Teatro Pompeo il 15 marzo 44 aC (le Idi di marzo). Cesare era stato dichiarato "dittatore perpetuo" dal Senato e molti temevano che l'accumulo di potere da parte sua avrebbe portato a un regime tirannico. Il vuoto di potere post-assassinio portò alla terza guerra civile romana, in cui i "liberatori" furono sconfitti. In seguito il figlio adottivo di Cesare, Ottavio Augusto, decise di dichiararsi imperatore, ponendo fine al periodo repubblicano a Roma. Questo episodio è stato ripreso da Plutarco e Svetonio.
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Ottaviano, Marco Antonio, Lepido: Il Secondo Triumvirato
Antonio era entrato in possesso del testamento e delle carte di Cesare e ora, con il pretesto di eseguire le volontà del dittatore, secondo un decreto del Senato, intraprese un percorso di usurpazione a mano armata.
Fu aiutato nei suoi progetti da Lepido, uno dei vecchi luogotenenti di Cesare. Ben presto esercitò tutti i poteri di un vero despota. “Il tiranno è morto”, disse Cicerone, “ma la tirannia vive ancora”. Questo era un commento amaro alle parole di Bruto che, mentre estraeva il pugnale dal corpo di Cesare, si rivolse a Cicerone ed esclamò: “Rallegrati, padre della patria, perché Roma è libera”.
Roma non poteva essere libera, la repubblica non poteva essere ristabilita, perché l’antico amore per la virtù e la libertà si era spento tra il popolo, travolto dalla marea montante del vizio, della corruzione, della lussuria e dell’empietà che si era abbattuta sulla capitale.
È difficile dire fino a che punto Antonio si sarebbe spinto nella sua carriera di usurpazione, se non fosse stato contrastato a questo punto da Gaio Ottavio o Ottaviano, il nipote di Giulio Cesare e colui che il conquistatore aveva nominato nel suo testamento come suo erede e successore.
Le Filippiche o discorsi accusatori di Cicerone contro Antonio (quattordici in totale), intitolati in questo modo a imitazione delle arringhe di Demostene contro Filippo di Macedonia, sono requisitorie di straordinaria virulenza. Cicerone, per evitare che Antonio prenda il posto di Cesare, lo oppone a Ottaviano, di cui non sospettava ancora l’ambizione. Lo stile dell’oratore appare più conciso e vigoroso che in altri suoi discorsi.
Cicerone non risparmia i colpi bassi al proprio avversario, come quando nella Orazione II della serie, la più celebre di tutte (il poeta Giovenale la definirà la divina Philippica) ricorda che una volta Antonio aveva mangiato e bevuto a tal punto, che il giorno successivo vomitò in tribunale davanti a tutti. O quando racconta che il triumviro usava frequentare attori, mimi, giocatori d’azzardo e ubriaconi d’ogni sorta. L’oratore continua poi a deridere il condottiero dicendo che ogni volta che andava in guerra, si portava dietro tutti il serraglio di amanti…donne e uomini.
Quando Cicerone fu assassinato, la moglie di Antonio, Fulvia, volle trafiggere con uno spillo la lingua che aveva pronunciato dei discorsi così violenti contro il marito (43-42 a.C.).
Non appena il Senato si pronunciò a favore di Ottaviano, scoppiò immediatamente una guerra civile tra lui e Antonio e Lepido. Dopo diversi scontri indecisi tra le forze dei rivali, Ottaviano propose ad Antonio e Lepido una riconciliazione. I tre si incontrarono su un’isoletta del Reno, un piccolo corso d’acqua nell’Etruria settentrionale, e lì formarono una lega nota come Secondo Triumvirato (43 a.C.).
La spartizione del mondo
I piani dei triumviri erano orientati solo al proprio potere personale. Per prima cosa si spartirono il mondo: Ottavio doveva avere il governo dell’Occidente, Antonio quello dell’Oriente, mentre a Lepido toccava il controllo dell’Africa.
Le proscrizioni
Fu quindi decisa una proscrizione generale, come quella che aveva caratterizzato l’ascesa al potere di Silla. Fu concordato che ciascuno avrebbe dovuto consegnare all’assassino anche i propri amici tra coloro che si erano resi colpevoli di essersi opposti agli altri triumviri. In base a questo accordo Ottaviano rinunciò all’amico Cicerone, che aveva suscitato l’odio di Antonio opponendosi ai suoi piani, e permise che il suo nome fosse messo in testa alla lista dei proscritti.
Morte di Cicerone
Gli amici dell’oratore lo esortarono a fuggire dal Paese. “Lasciatemi morire”, disse, “nella mia patria, che ho salvato così spesso! “ I suoi servi lo stavano spingendo, quasi controvoglia, verso la costa, quando gli inseguitori si avvicinarono e lo assassinarono nella lettiga in cui era stato trasportato.
La sua testa fu portata a Roma e posta davanti al rostro, “dal quale si era rivolto così spesso al popolo con i suoi eloquenti appelli alla libertà”.
Si racconta che Fulvia, moglie di Antonio, gli trapassò la lingua con il suo punteruolo d’oro, per vendicarsi delle aspre filippiche che aveva pronunciato contro il marito. La mano destra della vittima – la mano che aveva scritto le eloquenti orazioni – fu anche essa inchiodata al rostro.
Cicerone fu solo una vittima tra molte centinaia. Tutte le terribili scene dei giorni di Silla furono rievocate. Trecento senatori e duemila cavalieri furono assassinati. Le proprietà dei più ricchi furono confiscate e conferite dai triumviri ai loro amici e favoriti.
Nel prossimo episodio: LA FINE DELLA REPUBBLICA A FILIPPI »