Tarquinio, originario di una potente città del Lazio abitata dagli Etruschi, su consiglio della moglie, l’ambiziosa Tanaquil, venne a Roma, mentre dei presagi gli presentano un grande destino. Diventato amico del re Anco Marzio, questi gli affida la tutela dei suoi figli, ma alla morte del re, Tarquinio licenzia i suoi protetti e diventa re di Roma. Per rafforzare il suo potere, raddoppia il senato romano, consiglio creato da Romolo, nominando cento senatori. Introduce a Roma l’istituzione dei littori.
Servio Tullio (a 578-534). Anno 176 dalla fondazione di Roma
La notizia della morte di Tarquinio riempì i suoi sudditi di dolore e di sdegno. Tutti i Cittadini accorrevano dai quartieri della città al palazzo, per sapere le circostanze di questo avvenimento o per giurare vendetta. In tutto questo caos, Tanaquilla vedova dell ultimo Re, considerando il pericolo nel quale si sarebbe trovata esposta nel caso in cui i cospiratori fossero succeduti al trono e desiderando di veder la corona tra le mani del suo genero, dissimulò il suo dispiacere con molta arte e nascose a tutti la morte del Re.
La donna assicurò il popolo parlando da una finestra del palazzo, dicendo loro che il Re non era
affatto morto, ma che era soltanto rimasto sotto shock dopo un colpo che aveva ricevuto; il monarca
si sarebbe riprese presto e intanto aveva trasferito il suo potere a Servio Tullio, suo genero. Servio dopo di ciò si mostrò alla folla, come era stato convenuto, assieme al corpo di Tarquinio, rivestito delle divise reali e preceduto da sei Littori, e ordinò subito alcuni affari riguardanti il ben pubblico, assicurando che stava eseguendo le istruzioni del Re.
Questa finzione durò per qualche giorno, finché non creò un partito numeroso tra i nobili.
Allora la notizia della morte del re venne confermata ufficialmente, e Servio avanzò verso il trono
col consenso del Senato e senza cercare i suffragi del popolo.
Servio, era così chiamato perché d’origine servile, figlio di una schiava presa nel sacco di una città, e appartenente alla stirpe dei Latini. Nacque nel periodo di schiavitù di sua madre, e quando era ancora in fasce si dice che una fiamma ardesse un giorno intorno alla sua testa. Tanaquilla ne trasse presagio favorevole di una futura grandezza e il bimbo venne allevato in seno alla famiglia reale.
Il suo regno fu segnato da felici imprese di guerra condotte contro gli Etruschi di Veio, e per il trattato che vide Roma ammessa nella confederazione latina, all’interno della quale acquistò preminenza, tanto che sull’Aventino venne edificato il tempio di Diana (dea assimilata poi alla greca Artemide), di cui egli introdusse il culto, come santuario della federazione.
Si propose nel corso del suo regno di accrescere il potere del Senato diminuendo quello del
popolo. La plebe, incapace di penetrare nei suoi disegni, gli dette piena autorità per stabilire le imposte a suo piacere, e poiché esse si pagano a seconda delle centurie, ordinò che negli affari pubblici le deliberazioni si decidessero con lo stesso criterio.
Prima ogni cittadino dava distintamente il suo voto, e i poveri per via del loro numero
prevalevano sui ricchi, ma con la riforma di Servio, il Senato fu accresciuto di un considerevole numero di centurie rispetto a tutte le altre classi della società prese insieme, e cosi esso ottenne il vantaggio quasi assoluto in tutte le discussioni.
Per conoscere l’aumento o la diminuzione dei suoi sudditi e dei loro beni, Servio stabilì un altro regolamento a cui dette il nome di “lustro” e per cui ogni cinque anni i cittadini dovevano adunarsi nel campo di Marte rivestiti della loro armatura, disposti rispettivamente secondo le loro classi e dovevano fornire ragguaglio sulla loro famiglia e sui beni che possedevano. La sua più grande opera per cui il nome di Servio Tullio segna una nuova età nella storia di Roma è infatti la sua costituzione politica, paragonabile a quella fatta da Solone ad Atene, detta riforma serviana.
La nuova costituzione di Servio Tullio
La Plebe
La popolazione delle città latine vinte da Anco Marzio fu trasportata in Roma sull’Aventino, come nel regno precedente il Celio era stata data come sede alla popolazione della distrutta Albalonga. Per questi motivi, la popolazione raccolta nel comune romano era venuta sempre più aumentando, senza però che aumentasse in numero di persone che godevano della stessa cittadinanza.
Questa si componeva sempre degli elementi antichi, ossia di quelli che per nascita ovvero anche
per concessa ammissione appartenevano alle genti ed alle curie, quindi avevano pienezza di diritti
civili. La nuova popolazione invece, non veniva accolta nella cittadinanza, ma in seno alla società,
si trovava in uno stato di condizione inferiore, come plebe, ossia moltitudine (che tale è il primitivo significato di plebs da plenum), senza valore nell’organismo dello stato.
Questa popolazione non appartenente alle antiche tribù ed alle curie non formava parte della
cittadinanza ; non deve però essere confusa coi clienti, non essendo legata da quei rapporti di doveri e diritti pubblici e privati che abbiamo detto formare l’essenza della clientela e del patronato. La plebe aveva libertà personale e diritti di proprietà, ma era esclusa dall’ assemblea delle curie, non aveva diritti politici e si trovava in condizioni di inferiorità tale, che le era negato il connubio ossia diritto di sposarsi con membri dell’antica cittadinanza, vale a dire con i patrizi.
Questa condizione di gente, che altro non erano se non i vinti incorporati nello stato romano,
pare si formasse o almeno certamente accrebbe sotto il regno di Anco Marzio, che dagli antichi fu detto il padre della plebe. Da allora, lo stato romano si componeva dunque della cittadinanza delle tre antiche tribù, ordinata nelle 30 curie e formanti il popolo in senso stretto, cioè il patriziato; dei clienti, che col patriziato stavano congiunti; e della plebe libera e indipendente dal patriziato ma a questo inferiore.
È evidente che col crescere della plebe, si creasse nello stato uno squilibrio, cioè una gran massa senza regolare condizione, di fronte ad una classe privilegiata raccogliente in sé sola i diritti di cittadinanza. La riforma di Servio fu intesa dare uno statuto regolare alla plebe. Già Tullo Ostilio con la popolazione albana trasferita in Roma aveva raddoppiato a 600 il numero della cavalleria, pur mantenendo le tre centurie.
Riforma di Tarquinio Prisco
Tarquinio Prisco aveva concesso alla tribù dei Luceri, che sembrano essere stati in qualche minore considerazione delle altre due, la rappresentanza in senato, aumentando il numero dei senatori da 200 a 300, e portato a 6 il numero delle Vestali. Per provvedere alle condizioni della plebe accresciuta, egli si era impegnato ad incorporarla nello stato come parte della cittadinanza, formando tre nuove tribù; ma a questa riforma opposero un fiero rifiuto i cittadini dominanti delle tre vecchie tribù, per cui ci si limitò a raddoppiare il numero delle genti ascrivendo alle tre tribù le famiglie plebee di maggior conto, ma con qualche inferiorità, chiamando genti maggiori le antiche e genti minori quelle nuovamente ascritte. In corrispondenza con questo aumento fu raddoppiato il numero della cavalleria, portandola a 1200 equiti, pur restando ancora tre le centurie, ciascuna delle quali comprendeva 400 equiti.
Le tribù Serviane
La vera riforma che diede stato alla plebe e pose le tribù a fondamento della costituzione, che rimase in vigore per tutta l’età repubblicana, è dovuta a Servio Tullio. Essa si basa sopra due principi, quello della tribù e quello della centuria. Le tribù di Servio sono altra cosa da quelle di Romolo; queste, come già s’è detto, sono tribù di stirpe e di razza (genetiche), quelle invece sono tribù locali (topiche), ossia circoscrizioni amministrative.
Alle tribù romulee si appartiene per ragione della nascita, e quindi comprendono soltanto
patrizi; alle tribù serviane si appartiene per ragione di domicilio, e quindi abbracciano egualmente patrizi e plebei. Il territorio romano era stato diviso in un certo numero di queste circoscrizioni locali o tribù, che dicesi fossero 30, cioè 4 per la città, 26 per il contado. Quindi fu fatto il censimento della popolazione, e ciascuno fu iscritto nella regione o tribù dove aveva la propria residenza.
Le classi e le centurie
Per atto di tale iscrizione si diveniva cittadino, e sarebbe questo un ordinamento prettamente
democratico; ma esso fu marcatamente stemperato dall’istituzione delle classi e delle centurie, con
questo principio: che il valore politico del cittadino nello stato è commisurato ai suoi beni, cioè
all’imposta che paga e al servizio militare che sostiene.
L’imposta e i carichi militari sono determinati dal censo di ciascun cittadino, cioè dai suoi beni
imponibili, o proprietà fondiaria. A seconda dei beni, tutti i cittadini inscritti nelle nuove tribù, cioè
nello stato romano, furono ripartiti in 5 classi cominciando da un censo massimo e scendendo giù
fino ad un minimo; ciascuna classe venne suddivisa in un certo numero di centurie. Ma questo
ordinamento, insieme col carattere politico, ne aveva pur uno militare, essendo la condizione del cittadino nell’esercito anch’essa corrispondente al censo.
Egli fece della proprietà invece della nascita, la base della costituzione. L’intera popolazione era
divisa in cinque classi, la prima delle quali comprendeva tutti i cittadini, patrizi o plebei, che
possedevano venti iugera (circa dodici acri) di terra; il quinto e più basso abbracciava tutti quelli
che poteva arrivare a possedere anche a due iugeri. L’esercito era così formato dai membri delle
cinque classi, poiché si riteneva giusto e doveroso che la difesa pubblica fosse a cura di coloro che,
per via dei loro beni, erano più interessati al mantenimento dell’ordine e alla protezione delle
frontiere dello Stato.
E perciò l’insieme dei cittadini ordinati per classi e centurie si disse anche esercito. Secondo la
costituzione di Servio tutta la popolazione romana con ordinamento politico-militare fu cosi
ripartita:
I cavalieri (equites), divisi in 18 centurie (cioè 6
centurie patrizie, rispondenti ai 1200 cavalieri di Tarquinio, e 12 altre centurie formate dai cittadini di maggior censo, patrizi e plebei). I fanti (pedites), ripartiti in cinque classi, al modo seguente:
Classi | Censo | Centurie |
---|---|---|
Prima classe | Cittadini con reddito di almeno 100.000 assi | formavano 80 centurie |
Seconda classe | Cittadini con reddito di almeno 75.000 assi | formavano 20 centurie |
Terza classe | Cittadini con reddito di almeno 50.000 assi | formavano 20 centurie |
Quarta classe | Cittadini con reddito di almeno 25.000 assi | formavano 20 centurie |
Quinta classe | Cittadini con reddito di almeno 12.500 assi | formavano 30 centurie |
I cittadini che non raggiungessero il minimo censo erano posti fuori delle classi; ed erano i proletari e quelli che servivano nell’esercito come operai e trombettieri; essi formavano in tutto 5 centurie. Il numero totale delle centurie sommava adunque a 193.
Le centurie tutte insieme costituivano la nuova assemblea popolare, ossia i comizi centuriati (Il luogo di raduno delle classi militari così organizzate era in una vasta pianura appena fuori le mura
della città, chiamata Campo Marzio, o “Campo di Marte”), nei quali ciascun cittadino votava nella sua centuria, e i voti si raccoglievano per centurie: la totalità dei voti era dunque di 193.
Ora si può vedere che le centurie dei cittadini di maggior censo, cioè le 18 dei cavalieri e le 80 della prima classe, insieme riunite bastavano a costituire la maggioranza. La prevalenza era dunque assicurata ai più ricchi, ai quali erano dati anche i maggiori carichi in guerra, militando come cavalieri e come fanti di grave armatura. Questo corpo, che naturalmente era composto da patrizi e plebei, assorbì gradualmente i poteri della precedente assemblea patrizia (comitia curiata)
Carattere della riforma Serviana
Per la riforma serviana, le istituzioni romane, che prima avevano per base la nascita, ovvero il principio genocratico, si fondarono invece nel principio del censo, ovvero timocratico. Ogni lustro,
ossia ogni cinque anni, si rinnovava il censimento. L’assemblea delle centurie divenne la grande assemblea di tutto il popolo romano e richiamò a sè le attribuzioni elettorali e legislative.
L’assemblea delle curie continuò a sussistere, ma perdette ogni importanza politica e valse solo per deliberazioni concernenti il patriziato. La nuova costituzione di Servio Tullio aveva dunque carattere militare e politico ad un tempo ; e siccome essa coll’ordinamento delle classi possidenti stabiliva il fondamento per la ripartizione delle gravezze commisurate in ragione del censo, così aveva anche un carattere finanziario.
The Wolf of Capitol Hill ovvero, come i romani fregarono con una sonora stangata, il bovaro sabino e tutto il suo popolo
Servio aveva fatto erigere un tempio a Diana sull’Aventino e i latini, i romani e i sabini celebravano ogni anno una specie di sacrificio congiunto in questo luogo, dove l’immolazione dei buoi costituiva quella che si può chiamare una festività comune.
Accadde un giorno che un fattore sabino aveva allevato una giovenca da primo premio, il che causò una certa effervescenza tra i suoi vicini, e prendendo il toro tranquillamente per le corna, chiese all’indovino cosa gli sarebbe convenuto farne.
L’indovino guardò il toro, che rivolse il suo brillante occhio bovino al saggio stupito, con una sorta di sguardo superbo che equivaleva quasi a una vista abbagliante. L’augure, non gradendo l’aspetto dell’animale, e ansioso, senza dubbio, di porre fine al colloquio, dichiarò che chiunque avesse sacrificato la bestia a Diana, fuori mano, ne avrebbe beneficiato la sua stirpe e il suo popolo, e avrebbe fatto sì che la propria nazione dominasse sugli altri confederati.
L’animale fu condotto via con un’andatura barcollante fino alle sacre baracche, dove il sacerdote romano era in attesa di mettere mano a qualsiasi toro che gli venisse presentato.
Vedendo il Sabino che si preparava a fare il macellaio, il pontefice si adirò, protestando che se proprio quel bovaro doveva fare il suo lavoro, almeno avrebbe dovuto farlo con le mani pulite. Al che il Sabino, un po’ in imbarazzo, si precipitò al fiume per lavarsi le mani, e mentre egli era occupato nell’igiene personale, il sacerdote romano approfittò della sua assenza per sacrificare l’animale. Al suo ritorno, il Sabino realizzò che di tutta l’impresa, se ne era involontariamente lavato le mani.
L’oracolo si realizzò così a favore dei romani, che lo annunziarono attraverso le corna del toro, che furono appese davanti al tempio in memoria di questo successo sacerdotale.
(liberamente tradotto e rielaborato da The comic history of Rome di Beckett e Leech, 1850)
Le mura Serviane
Servio Tullio, dopo avere composta ad unità la cittadinanza, raccolse ad unità la città stessa sparsa sui sette colli, chiudendola dentro una grande cinta di mura, che, partendo dalla riva del Tevere a piedi dell’Aventino, si estendeva fin sotto il Celio,
l’Esquilino, il Viminale, il Quirinale e il Campidoglio, toccando nuovamente il fiume; fu questo l’agger o vallo Serviano, di cui si vede ancora qualche resto.
Verso la dittatura
Il lungo regno di Servio, fu impegnato alla riorganizzazione interna dello Stato, senza trascurare gli interessi della patria al di fuori, e il re pensava con ragione di terminarlo nella pace e nella tranquillità. Egli fu più volte sul punto di deporre re la corona e di vivere in ritiro e nell’oscurità, dopo aver fatto del suo Regno una Repubblica, ma un progetto così generoso svanì prima che egli lo potesse mettere in esecuzione.
La Tomba François
La tomba François è il nome dato ad una tomba di famiglia etrusca scoperta nel sito di Vulci nel 1857 dall’archeologo fiorentino Alessandro François e dallo storico francese Adolphe Noël des Vergers, durante gli scavi commissionati da Marie-Alexandrine Bonaparte , moglie di Lucien Bonaparte, nelle loro tenute principesche a Vulci e Cerveteri .
La tomba di François fa parte della necropoli di Ponte Rotto situata oggi nella parte orientale del Parco Archeologico Ambientale di Vulci.
Si tratta di una tomba risalente al V secolo aC. (Rimaneggiata poi nel II sec. a.C. ) destinato ai membri della famiglia Saties (o Satis ) di cui Vel Satis (da non confondere col nome di un modello di automobili Renault) era il committente. Negli affreschi è rappresentata anche sua moglie Tanaquil.
Un lungo dromos (corridoio scavato nel terreno per raggiungere la tomba) di 27 m per 1,30 m di larghezza consente l’accesso a 10 camere sepolcrali principali, attraverso un tablinum, la camera centrale, distribuendo l’accesso a 7 di esse.
Questo tablinum ha una volta a tronco di piramide, e le stanze, presentano soffitti a due falde con una trave centrale simulata, il columen (tradizionale in questo tipo di sepoltura, che ricorda la casa dei vivi).
Delle panchine lungo le pareti permettevano di collocare i sarcofagi e degli affreschi con soggetti mitologici adornavano le pareti.
La camera centrale a forma di “T” fu decorata con affreschi, la maggior parte dei quali fu staccata dalle pareti nel 1862 e trasportata a Villa Albani a Roma.
Altre riproduzioni su richiesta di Des Vergers, ma in scala 1/10, furono poi realizzate da Nicola Ortis (oggi perdute).
Solo nel 1931 fu esposto al pubblico al Museo Archeologico Nazionale di Firenze un facsimile completo degli affreschi tombali eseguiti da Augusto Guido Gatti.
Di questi affreschi a noi ne interessa uno in particolare, connesso alla leggenda di Servio Tullio.
“Questo drammatico evento, la liberazione di Mastarna da parte di Celio Vibenna e della sua famiglia, era rimasto nelle tradizioni di Vulci come l’episodio più glorioso tra tutti, degno di apparire nella tomba François“
– Massimo Pallottino, Giovanni Colonna, François Villard, La nascita di Roma , mostra al Petit-Palais, marzo-maggio 1977.
Aulo e Celio Vibenna sono personaggi storici e le loro avventure a fianco di Macstarna (altro nome di Servio Tullio) erano note sia nella tradizione latina che in quella etrusca.
Informazioni su Celio Vibenna e suo fratello Aulo ci sono pervenute attraverso molti scrittori antichi tra cui Tacito, Festo Grammatico, Varrone, Fabio Pittore, Arnobe, Dionigi di Alicarnasso, l’imperatore Claudio.
La testimonianza degli affreschi della tomba François permette di individuare alla fine del regno di Tarquinio Prisco, l’arrivo dei Vibenna e dei loro guerrieri a Roma, venuti a sostenere Servio Tullio/Macstarna contro Cneve Tarchunies Rumach (Gneo Tarquinio di Roma).
Ci sono testimonianze differenti sull’identità del re salvato. Per Tacito è Tarquinio il Vecchio, per Festo si tratta invece di Servio Tullio.
Arnobio sottolinea l’antagonismo tra i personaggi. Quando Celio muore, il “ seruulus ” (il suo piccolo schiavo) entra in competizione con Aulo Vibenna per prendere il potere e lo uccide. Questo seruulus è probabilmente il ” sodalis fidelissimus “, il fedele compagno d’armi di Celio, che viene citato nelle tavole di bronzo di Lione riportanti un discorso in Senato dell’Imperatore Claudio, e identificato con Servio Tulliio alias Mastarna. Il suffisso etrusco -na indica una relazione di dipendenza, infatti Ma (c) star-na sta per “l’uomo dipendente dal magister”.
Figlio della schiava Ocresia, se dobbiamo credere ai nostri storici, Servio Tullio prese posto sul trono tra questo principe (Tarquinio Prisco) e suo figlio o nipote, poiché gli autori variano su questo punto. Se seguiamo gli etruschi, era il compagno di Celio Vibenna, il cui destino egli ha sempre condiviso. Braccato dalle vicissitudini della fortuna assieme ai superstiti dell’esercito di Celio, Servio lasciò l’Etruria e venne ad occupare il Monte Celio, al quale diede questo nome in ricordo del suo antico condottiero; egli stesso cambiò nome, perché in etrusco egli si chiamava Mastarna e prese il nome che ho già pronunciato, di Servio Tullio, e ottenne il regno per maggior bene della Repubblica.
(Tavole claudiane di Lugdunum (Lione), riportanti il discorso fatto al Senato dall’Imperatore Claudio nel 48 d.C. – oggi esposte al Museo gallo-romano di Lione – estratto da « Catalogue Sommaire des Musées de la Ville de Lyon, 1887, p. 92-95 »)
La vicenda dei fratelli Vibenna ebbe un notevole impatto nella civiltà etrusca, in quanto sono ancora menzionati nel IV ° secolo aC. In alcuni specchi, nelle quattro urne funerarie, oltre alle pitture della tomba di Vel Saties, continuazione della tradizione dei signori della guerra etruschi di Vulci contro i Romani.
Dalla versione francese di Wikipedia
Tarquinio il Superbo è l’ultimo re di Roma: Il suo regno fu segnato da un profondo disprezzo del popolo e portò alla caduta della regalità a Roma. Figlio di un ex re, Tarquinio il Vecchio, era sposato con Tullia, figlia dell’allora re, Servio Tullio. Questa donna ambiziosa e avida aspirava a salire al trono di cui godeva suo padre. Plagiò suo marito e lo ha esortò a prendere il trono. Tarquinio un giorno irrompe nel foro e si proclama re. Quando Servio apprende la notizia, va incontro al genero e gli inveisce contro: Tarquinio si vendica afferrandolo e gettandolo dall’alto di una scala. Arrivato in fondo, viene assassinato dalle guardie ai suoi ordini. Ha ora quindi carta bianca per esercitare il potere.
Tarquinio regnerà con il terrore e inorridirà il popolo con i suoi crimini: infatti per questo gli
daranno il nome di “Tarquinio il Superbo”. Il figlio di Tarquinio, Sesto, un giorno violenta una dona romana, Lucrezia. Disperata per il disonore la donna si uccide. Ciò dà il via ad una ribellione contro la monarchia.
(Libero adattamento e riduzione da Storia romana: dalla fondazione di Roma alla caduta dell’Impero d’Occidente. Iginio Gentile, 1885, e da Compendio della storia romana dalla fondazione di Roma fino alla caduta dell’impero romano in Occidente del dott. Goldsmith, 1801, con successive aggiunte, aggiornamenti e integrazioni)