Un dio minore
Silvano. Questo dio, probabilmente originario dei paesi latini e precocemente acclimatato a Roma, si colloca nella numerosa stirpe degli spiriti protettivi dei boschi, dei campi e della casa rustica; il suo destino lo pone in un posto speciale, Analogo nella sua fisionomia e nelle sue funzioni a Fauno, Picus, Liber Pater, Palès, ecc., ma trascurato dalla leggenda come personaggio di rango inferiore, non compare in nessun calendario ed egli non sembra essere stato oggetto di alcun culto ufficiale né a Roma né nel Lazio; non più di uno di quei culti familiari che, al tempo dei re, seppero imporre alla pubblica venerazione personificazioni altrettanto modeste di lui, e che senza mai interessare l’autorità religiosa nel suo ruolo, conquistarono in Italia, e tuttora più nelle province dell’Impero, ad esclusione delle province orientali, una vera popolarità.
Uno dei volti di Marte?
Silvanus non è un sostantivo, ma un aggettivo, che ne richiama un gran numero di altri con la stessa desinenza che compaiono nell’elenco degli Indigitamenta (Formule sacre degli antichi Romani): significa il Forestiero. Poiché è citato in uno dei testi più antichi che possediamo, accanto a Marte, divinità contadina, abbiamo concluso che designa uno dei volti del complesso carattere di questo dio: sarebbe il Marte selvaggio o rustico, corrispondente al Marte bellicoso (Gradivus) e Marte civile (Quirinus); poi se ne sarebbe distaccato per formare una personificazione speciale, per un fenomeno di cui la storia delle religioni greca e romana offre numerosi esempi.
Fratello ideale di Fauno
Nulla nella successiva leggenda e culto di Silvano conferma questa interpretazione del tutto congetturale. Più plausibile è quella che lo considera una duplicazione di Faunus Silvicola, con il quale presenta sorprendenti somiglianze. Indubbiamente comincia a distinguersi da esso nel momento in cui, con il disboscamento, l’agricoltura guadagnava il dominio della vegetazione selvatica. Silvano rappresenta quindi la radura dove pascolano le mandrie, i cui campi ai margini dei quali sorge l’abitazione di il contadino, le piantagioni e le semine che provvedono ad un cibo più vario dell’uomo.
È per questo che diventa, insieme ai Lari e ad altre divinità contadine, uno dei protettori del lavoro contadino o, per essere più precisi, di quella parte del lavoro che, con l’ascia del taglialegna, ha aperto la strada alla civiltà dei paesi e delle città. Ma questa caratteristica, che rimarrà dominante nella sua fisionomia, non cancellerà le sue origini, cioè la sua parentela con Fauno.
Come quest’ultimo, è dotato dello spirito profetico e la sua voce si sente nel profondo dei boschi per dare avvertimenti nei momenti critici; nume tutelare e benefico quando l’uomo abbia saputo conquistare i suoi favori, a volte è dispettoso e astuto. Se, come prima destinazione, è il genio della foresta, diviene, sgombrandola, il patrono dell’arboricoltura in genere, ancor più degli alberi da frutto che pota con il becco e che innesta.
E infine, come Fauno, è un dio pastorale, poiché ha creato i prati e presiede i pascoli nei boschi. entrambi ne specificano la fisionomia e la variano, sfruttando le leggende e le rappresentazioni di Pan, Priapo, Sileno, e dei Satiri. E siccome d’altra parte somiglia anche a Vertumnus, ne consegue che nell’essere di Silvano, come ce lo hanno consegnato la letteratura e l’arte, troviamo uniti i tratti e gli attributi che sono serviti a caratterizzare, in Italia e in Grecia , gli dèi maschili che la pietà religiosa ha predisposto alla vita dei campi, a quella delle foreste in quanto la cultura li ha invasi o formano il limite protettivo del suo dominio.
Inculto Silvanus termite gaudens
In quanto tale, il primo dei suoi attributi e anche il suo più antico santuario, l’unico in verità dove ha ricevuto omaggio nel corso dei secoli, è l’albero stesso, la sintesi della foresta. Poeti che hanno conservato un senso di pietà primitiva, artisti ispirati dalla tradizione raramente non riescono a mettere nelle mani del dio né il reimpianto di un albero che si appresta ad affidare alla terra, né un ramo di pino che porta come un scettro, o un ceppo o una forte mazza su cui si appoggia per farne un’arma se necessario: inculto Silvanus termite gaudens (“Silvano che gioisce nel ramo selvaggio” – Grazio Falisco, Cynegeticon). Si riparano i suoi altari sotto un albero, in un boschetto o in una radura.
La sua testa è coronata o da pigne o rami di pino intrecciati tra i capelli, a volte con fiori di campo. Lo studioso Boetticher ha giustamente indicato alcuni di questi monumenti in onore di Silvano come esemplari dell’antico culto degli alberi. Il più espressivo è il marmo del Museo di Berlino che reca un’iscrizione in onore del Silvanus sanctus e su cui un pino con rami potati, ornato di una ghirlanda trattenuta da strisce, fa ombra ad un altare sul quale risplende la fiamma del sacrificio.
Divinità dei confini
Un frammento di un agrimensore romano, che sembra esser stato scritto durante la Repubblica, pone questa domanda: perché in tutte le proprietà rurali è consuetudine onorare il dio Silvano? Perché fu il primo a seppellire sotto terra una pietra che segna il limite; e l’autore aggiunge che ogni proprietà ha tre Silvani, uno detto domesticus, che fa la guardia della casa; il secondo di nome agrestis che si prende cura degli armenti; il terzo orientalis, a cui è dedicato una radura (lucus) che funge da linea di demarcazione tra le proprietà limitrofe. È a questa funzione che allude Orazio quando invoca Silvano come tutor finium, custode di pietre miliari e confini in compagnia di Priapo. Virgilio, in termini più generali, lo chiama dio degli armenti e dei campi e lo include all’inizio delle Georgiche nell’invocazione alle divinità che hanno a cuore la protezione dell’aratura: “studium quibus arva tueri”, “cui è cura di proteggere le campagne”. Ma in un passo dell’Eneide, ispirato a un’antica tradizione locale, il poeta cita come il più antico dei suoi santuari, nei pressi di Caere in Etruria, una radura dell’aspetto di un anfiteatro, formata da colline boscose, dove i Pelasgi, primi abitanti dell’Italia, avevano celebrato feste in suo onore.
Culto
Nella stessa Roma sussistono vestigia di un culto dello stesso genere, sia sul colle del Viminale che sul Campidoglio, nel bosco che anticamente ricopriva la rupe Tarpea. Tibullo pensa anche a Silvano quando raffigura Delia che offre al dio contadino un grappolo d’uva per la prosperità delle sue vigne, spighe per quella della sua vendemmia e un piatto di vivande (dapem) per quella del suo gregge; sotto il nome di dio selvaggio, identificato con Pan dei Greci e associato a Pale, gli rende omaggio con un flauto di Pan che appende ai rami di un albero.
Ancora più caratteristica è la breve epistola in cui Marziale raccomanda ad un amico, quando sta per lasciare l’Italia, la sua modesta villa, con il rustico altare che vi ha eretto il contadino a Silvano, dio dalla voce tonante e dal pelo irsuto. Ricrodiamo infine un’iscrizione in versi il cui autore è un procurator Augustorum in procinto di tornare a Roma: prega Silvano, custode del suo giardino, di riportare lui e la sua famiglia nel suo paese, lo prega di presiedere d’ora in poi la coltivazione che intraprenderà nelle pianure d’Italia; là gli consacrerà mille alberi d’alto fusto.
Genio maligno
Il ruolo che il dio ha nella foresta e sulle terre che ha provveduto alla coltivazione dei campi è accompagnato dall’azione che esercita direttamente su la vita dei pastori e degli aratori; protegge il loro lavoro, assicura la salute e la prosperità degli armenti: Catone lo invoca nell’arcaica preghiera che implora Marte: pro bubus uti valeant (per la salute del bestiame); in questo ruolo Silvano riproduce alcuni tratti di Fauno, somigliava ancora a quest’ultimo quando, genio maligno, entrò nella casa rustica per praticare malefici e fastidi. Sant’Agostino, senza dubbio avendo come fonte Varrone, cita una credenza popolare secondo la quale tre divinità sono necessarie per proteggere la moglie di un contadino che stia partorendo, contro gli assalti di Silvano che cerca di insinuarsi vicino a lei durante la notte. Queste divinità vegliano a questo scopo fuori, l’una con un’ascia, l’altra con un pestello, la terza un ginestra, tre simboli di civiltà, poiché con l’ascia si tagliano gli alberi, con il pestello si fa farina del grano, con la ginestra si raccolgono i frutti dei campi. Silvano, visto sotto il volto malvagio di un dio che incarna la vita selvaggia, odia questi strumenti ostili al suo impero.
Cerimonie
Il culto, sempre di carattere privato e adatto ai soli interessi domestici, è del tipo più semplice. Le vittime prelevate dalla stalla del contadino vengono offerte a Silvano, un maiale, un capretto. Orazio cita addirittura, dandogli un posto nelle gioie del raccolto di campagna accanto a Madre Terra e Genio, un’offerta di latte. Per il sacrificio del maiale, anch’esso parte del culto di Marte, era vietata la partecipazione alle donne, così come erano esclusi gli uomini dalle cerimonie in onore di Bona Dea, altra divinità agricola . Per questo culto nessuna scena oltre a quello dell’opera contadina che l’ha originata: bastano una radura, un albero isolato, un altare di pietre grossolane o di zolle d’erba. Nella stessa Roma, nei parchi e nei giardini, c’era talvolta anche un portico e delle vasche sulle quali scorreva acqua viva. Un’iscrizione ricorda il divieto, in nome della pietà religiosa, di prelevare qualcosa dal luogo dedicato a Silvano.
L’immagine del dio era anticamente grossolanamente scolpito in un ceppo (questo era il caso di quello che stava sotto il fico di Navio davanti al tempio di Saturno). Possiamo congetturarne le fattezze da un busto di pietra dove riscoprire i caratteri di questa scultura primitiva.
Iconografia e titoli
Il dio barbuto è coronato da un ramo di pino; alla sua destra è il cane, guardiano della casa rustica; pigne ed altri frutti vari sono alla sua sinistra. Sia in Italia che nelle province dell’Europa occidentale e centrale, i reperti mostrano il favore di cui godette il dio dalla fine della Repubblica fino al declino del paganesimo negli ambienti operai. Quando non è, come spesso accade, invocato pro salute, pro reditu dei dedicanti, porta le parole sanctus, salutaris, conservator, custos, domesticus, ecc. È invece associato a divinità che hanno la funzione speciale di custodire la casa, la sorgente, i campi e i boschi, con i Penati, i Lari, le Ninfe; viene persino invocato con il nome di Lar Agrestis.
Spesso è nominato in compagnia dei più grandi dèi e messo nel loro stesso rango: Apollo, Madre Terra, Ercole, Liber Pater, Diana, la Divinità degli Imperatori. Appare, con i Gemelli fondatori di Roma, Mercurio e Faustolo, nella rappresentazione dell’Augurium Augustum, sul frontone del tempio di Quirino. Un ufficiale di cavalleria gli dedicò un altare con il titolo di invictus, perché egli lo aiutò a uccidere un grosso cinghiale. Tutta una serie di iscrizioni usa per Silvano parole che lo identificano con il proprietario o col dominio la cui influenza difende l’ambiente circostante e assicura prosperità: c’è un Silvano Cesare, Flavio, Nevio, Macchie, Veturio, ecc., senza contare le parole il cui significato ci sfugge: così quella di Sinquatus che appare sul piedistallo di una statuetta bronzea mutilata, trovata in Belgio e con cui un padre aveva fatto voto per la salute del figlio. Un’ultima caratteristica completa per mostrare l’importanza della religione di Silvano. Molti collegi e associazioni, sia a Roma che in varie parti d’Italia, ne rivendicano il patrocinio e celebrano la loro festa speciale con sacrifici e pasti annuali organizzati in suo onore. Ad Aquileia è una corporazione di falegnami che ci ricorda che lui è il taglialegna per eccellenza; a Rimini un collegio di fanatici e adoratori (allectores et cultores Silvani) lo associa alla memoria dell’imperatore Nerva, con pasti periodici a beneficio di un collegio di cui Silvano è patrono. Dello stesso genere è la fondazione, il cui titolo è stato scoperto a Caposele, e che dispone, per la salute dell’imperatore Domiziano, di un feudo e delle sue rendite. al fine di garantire la celebrazione dell’anniversario da parte dei membri del collegio appositamente istituito. Alcune iscrizioni di questa categoria provengono da associazioni il cui scopo è quello di garantire ai propri membri onori funebri (collegia funeralicia) ; l’idea di tale funzione attribuita a Silvano potrebbe essere stata suggerita dallo stemma del ramo di pino o di cipresso che il dio porta sui monumenti e nelle descrizioni dei poeti. Se notiamo che riceve anche il termine Dendrophorus e che i dendrophori hanno congiuntamente dedicato un altare in suo onore, l’usanza di porre sotto il suo patrocinio i collegi funerari si spiega con un’associazione di idee del tutto naturale, ma non in Italia, dove Silvano non godeva di alcun culto pubblico, anche sono frequentissime iscrizioni private in suo onore, ma soprattutto tra i popoli di razza celtica.
Silvano, Fauno, Pan
Nel proprio nel paese d’origine, si confuse con Fauno, al punto da eliminarlo dalla venerazione popolare (non c’è iscrizione in onore di quest’ultimo dio), si identificò, grazie al suo significato umano e sociale, con un gran numero di altri geni della vita agricola e selvaggia, principalmente con il Pan dei Greci. Poeti, artisti e mitologi convengono di dare a Silvano gli attributi del dio dell’Arcadia, di dotarlo di spirito profetico, di accentuare la sua fisionomia di un cacciatore e pastore, per prestargli istinti sensuali per trasportare, nella parvenza di leggenda che forgiano per lui, certe avventure di Pan.
Il culto nell’Impero
Vediamo infine Silvano, come Pan e Fauno, costituirsi nello stato di divinità multipla e fornire al corteo dionisiaco figure maschili o femminili, Silvani e Silvanae, a cui le iscrizioni rendono invece culto omaggio. Nei paesi celtici, le Silvanae non sono altro, per una vaga rassomiglianza della parola, che le Suleviae Matres, protettrici dei campi, delle foreste e dei crocevia. In genere il carattere di Silvano, dopo aver assorbito quello di Pan, Priapo, Sileno, i Satiri sotto l’influenza della letteratura e dell’arte ellenica, si accomoda con la stessa facilità alle divinità rustiche della Germania, della Gallia, della penisola balcanica, dove sotto il suo nome latino divenne oggetto di culto popolare negli ultimi secoli del paganesimo. M. Toutain raccolse e classificò, secondo la loro provenienza, tutte le iscrizioni che attestano questa diffusione di Silvano nelle province dell’Europa e dell’Africa soggette a l’influenza di Roma. Se la Spagna e i Galli l’hanno complessivamente poco conosciuta, si incontra abbastanza frequentemente nella Narbonese e in Bretagna; qui lo troviamo legato al culto di Diana e delle ninfe; spesso gli omaggi ivi resi a Silvano provenivano da soldati e ufficiali che li dedicarono nelle città di guarnigione e nelle postazioni militari. È lo stesso lungo il Reno e il Danubio: esisteva un tempio in suo onore a Carnuntum, a nord della Pannonia. In Africa è particolarmente imparentato con Mercurio e Giove, e aveva un tempio a Lambèse dove fu onorato dalla Legio III Augusta.
Ma la sua terra preferita era la penisola balcanica, mentre soprattutto la regione detta Illirico, che comprendeva il province della Dalmazia, della Dacia, della Mesia e della Pannonia: su 240 iscrizioni conosciute, ne sono state raccolte circa 170, relative a questo dio, che ivi si propagava il culto del dio dagli equites singulares che, reclutati tra la popolazione dell’Illirico e familiarizzato con le istituzioni di Roma, aveva riconosciuto nel latino genio dei boschi e dei campi una divinità locale. M. Toutain pensa che sia la qualità di dio cacciatore che rendeva accetto Silvano tra i popoli che ne fecero il loro principale nume, il che non esclude l’assimilazione con una divinità indigena. I monumenti ci permettono forse di affermare che il dio romano era o associato o addirittura identificato con il dio celtico con la mazza o martello che altro non è che Taranus-Thor-Donar, che abbiamo, d’altra parte, identificato o con Giove o con Vulcano.
È possibile sia rappresentato sull’altare di Magonza, dove si vede un dio peloso e barbuto dall’aspetto maestoso, la cui mano destra poggia su una sorta di scettro che sale all’altezza della testa e termina in un maglio, appeso a Diana Cacciatrice. Questa identificazione è molto probabile sugli altari di Rottenburg e di Wildberg, dove ai piedi della stessa figura si nota un animale che è stato scambiato ora per lupo, ora per maiale, e che altro non è che cane, abituale compagnia di Silvano. Anche qui Diana fa parte del gruppo e con il suo Apollo. Questi altari sono diversi, come ha mostrato M. Gaidoz, da quelli che raffigurano inequivocabilmente Vulcano riconoscibile dagli strumenti del fabbro.
Monumenti di questo genere sono illuminati dalla luce di iscrizioni, così numerose che non ve ne sono quasi più in onore degli dei di primo grado, nei paesi celtici. Il tipo di Silvano nell’arte romana è stato creato sotto l’influenza ellenica. Forse all’inizio gli artisti ritenevano che alcune immagini lignee arcaiche, in particolare quella posta sotto il fico di Navio vicino al tempio di Saturno, dovessero rappresentare Giove Rumina e lo confusero con questo. Alcuni studiosi hanno messo in evidenza con grande sagacia questa somiglianza del dio selvaggio con il signore dell’Olimpo, ma è eccessivo cercare di spiegarlo con una presunta somiglianza delle rispettive nature.
Giove e Vertumno
Il termine pater dato a Silvano da poeti e iscrizioni non è un argomento a favore di questa identificazione. La figura irsuta e il carattere tutelare del dio contadino risulta anche dall’inventario comparativo delle rappresentazioni di Silvano che le immagini votive, statuette o bassorilievi, le quali più raramente gli danno i lineamenti di un genio selvaggio, ma quelli piuttosto di un piantatore e di un giardiniere. Proprio per questo motivo si è giunti alla designazione con il nome di Vertumnus di figure chiaramente interpretabili come Silvanus. Si è così creato un tipo intermedio tra quello di Faunus, di cui Reifferscheid fu il primo nettamente determinato, e quello di Giove caratterizzato dalla barba, dai capelli abbondanti e dall’espressione imponente e spesso malinconica del volto.
Nell’arte
Gli esemplari più notevoli sono quelli che Glane chiama falsamente Vertumnus (la pittoresca descrizione che ne fa il poeta Ovidio contesta tale attribuzione), il primo dei quali è data da un bassorilievo al Museo del Louvre; la seconda da una statua che è stata per molto tempo, nel suo insieme, la più idealmente bella rappresentazione del dio giunta fino a noi. Se il tipo di Silvano, nella leggenda contadina e tra i poeti che lo raccolsero, è un vecchio irsuto, l’arte ellenistica lo abbellì come tutti i divini, dotandolo di nobile ed armonioso vigore.
Si è persino trovata l’opportunità di darle il fascino dell’adolescenza. È il caso dell’Antinous scoperto nel 1907 intorno a Lanuvium, che il suo autore, lo scultore Antonianos di Afrodisia, rappresentò come Silvano, con i capelli coronati di fogliame, con la falce e il cane, presso un piccolo altare ombreggiato di viti e carico di frutto, tra cui la pigna. Mentre altrove Silvano può essere confuso con Pan, Sileno e Priapo, qui è visibilmente vicino, senza alcun dubbio sulla sua identità, ad Aristeo, Paride e degli altri eroici pastori della leggenda Greco-asiatica.
Rappresentato in figura intera, Silvano è solitamente un uomo nel vigore dell’età, il più delle volte nudo, la spalla sinistra ricoperta da una pelle di animale nelle pieghe della quale la sua mano sostiene vari frutti. La mano destra tiene la falce che serve per l’innesto e la potatura degli alberi; accanto al dio c’è un cane che, con la testa girata verso il padrone, sembra vegliare ai suoi ordini. Spesso i capelli sono coronati da pigne o fiori di campo.
Il bassorilievo del Louvre e alcune statuette votive sostituiscono il frutto o lo complicano con un ramo di pino. Lo stesso tipo compare sulle monete di Adriano.
È invece opportuno attribuire a Fauno, e non a Silvano, le statuette bronzee caratterizzate dalla corona radiata, dal corno bevente, dal ramo dell’albero e il drappo che circonda il busto senza contenere frutti.
(Libera rielaborazione e adattamento da Le Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines de Daremberg et Saglio, 1873)