GLI OCCHI DELLA GRECIA: LA POLIS DI SPARTA II
Reading Time: 24 minutesLa disciplina e l’educazione spartane
La forza di Sparta era dovuta non tanto alla forma del proprio governo, quanto al carattere dei suoi cittadini.
Se c’è qualcosa che Sparta doveva a un legislatore come Licurgo, era senza dubbio quella particolare forma di disciplina con cui i suoi cittadini venivano addestrati a essere soldati e i suoi soldati ad essere amanti della patria.
Dopo la battaglia di Leuttra ad esempio, i padri dei morti in quella giornata corsero ai templi ringraziando gli Dei dell’onore reso ai loro figli di averli fatti morire per la patria; i padri dei sopravvissuti invece, si ritenevano disonorati di averli ancora vivi.
Il grandioso scopo di questa formazione era quello di adattare il cittadino al servizio dello Stato.
Questo fine venne raggiunto attraverso un sistema di educazione pubblica e di vigilanza che aveva inizio con l’infanzia e si concludeva solo con la vecchiaia.
L’Educazione dei giovani e le donne
Gli Spartani credevano evidentemente che il carattere di una nazione dipendesse dall’educazione dei propri figli.
Se lo stato doveva essere preparato alla guerra, i fanciulli dovevano essere fisicamente forti e abituati a difficoltà simili a quelle della guerra.
Gli anziani spartani decidevano se ogni bambino, alla nascita, fosse sufficientemente forte per essere allevato o se dovesse essere abbandonato al suo destino, gettato in una caverna vicina al monte Taigete, senza che nessuno si prendesse cura di lui.
All’età di sette anni il ragazzo veniva sottratto alle cure della madre e messo nelle mani dei pubblici educatori.
Da quel momento veniva sottoposto a un addestramento severo e perfino brutale; ma agli Spartani sembrava la preparazione necessaria alla vita del soldato.
Già da bambini venivano abituati a non avere paura delle tenebre, poi il giovane era obbligato a prepararsi i pasti da solo; indossare lo stesso abbigliamento d’estate e d’inverno; dormire su un letto di giunchi; a foraggiarsi in casa come sarebbe stato obbligato a farlo durante una campagna militare; ad ingannare il suo amico allo stesso modo in cui avrebbe ingannato il suo nemico; ad essere indurito con la frusta per sopportare meglio le fatiche del campo.
Per sviluppare la sua forza fisica e l’agilità, veniva stato addestrato negli esercizi ginnici, nella corsa, nella lotta e nel lancio del giavellotto.
Per disporre i ragazzi alle astuzie della guerra, venivano incoraggiati a rubare se ne avessero avuto bisogno; ma colti sul fatto, venivano puniti aspramente.
Per temprarli ulteriormente e renderli avvezzi a sopportare il dolore senza lamenti, ogni anno li raccoglievano intorno all’altare di Artemide; qui venivano percossi a vergate, dando poi un premio a chi sapesse soffrire con più coraggio e costanza. Narra Plutarco, che alcun giovani arrivavano anche a morire per le percosse, e racconta di un altro che, rubata una volpe e nascostala sotto la veste, si lasciò lacerar le viscere da questa prima di confessare il proprio furto, e tutto ciò senza neppure una lagrima. Questi episodi saranno pure parsi atti di coraggio e di valore per il gusto e la mentalità antica, ma a noi oggi sembrano essere solo esempi di sadomasochismo puramente gratuiti.
La condizione femminile a Sparta
Se i ragazzi venivano addestrati a diventare uomini nel senso spartano, le ragazze venivano educate a diventare le madri di tali uomini, già prima del concepimento, e ad essere sane e forti; tanto che si diceva che le donne spartane erano le più vigorose e le più belle fra tutte le donne della Grecia. Non era loro concesso di prender marito prima dei vent’anni, praticavano la lotta e altri esercizi, compiendo tutte queste prove completamente nude, alla presenza di tutta la città. La cosa non era considerata indecente, perché si riteneva che aver continuamente sotto gli occhi questa vista, reprimesse i desideri sessuali anziché destarli. Personalmente ho qualche dubbio su questo fatto specifico, ma certamente questa disposizione rendeva Sparta almeno su un punto, quello della nudità, una società più aperta anche di molte civiltà successive.
Chi sposava una donna ritenuta poco fertile doveva pagare un’ammenda, cosa che capitò anche a un re, Archidamo. Se la moglie era infedele, i mariti erano tenuti a tollerarne il tradimento, cornuti e contenti o mazziati se si vuole, ma solo se l’amante della donna fosse stato forte e vigoroso: Licurgo infatti considerava la gelosia ridicola e indecente.
Questo modo di educazione virile rendeva le donne spartane così forti nello spirito come nel corpo. Erano quasi pari agli uomini in abilità e coraggio, e come loro tenevano all’onore e alla gloria militare. Alcune donne straniere discutendo un giorno con la moglie di Leonida , dicevano, che solo le spartane tra tutte le donne del mondo sapevano come prendere gli uomini e sopportarli. “Sono le sole anche” , rispose la regina con aria di fierezza “che sappiano dare alla luce degli uomini”.
Le madri porgevano lo scudo ai figli che andavano in guerra: “lo riporterai” gli dicevano “oppure ti riporteranno da me morto sopra di questo” (ἢ τὰν ἢ ἐπὶ τᾶς. “o con questo o sopra di questo”) a fargli ad intendere, come fosse meglio che morissero, piuttosto che lo abbandonassero fuggendo. Si racconta che una madre, appresa la morte del figlio in battaglia, senza mostrare apparentemente dolore “è per questo” rispose “che l’ho generato”.
Cultura
Gli spartani avevano poca simpatia per la cultura intellettuale superiore, per l’arte e per la scienza.La musica e la poesia, invece, erano apprezzate se ispirate da uno spirito marziale. Ma l’oratoria non aveva per loro alcuna attrazione e insistevano sulla brevità del discorso.
Coltivavano l’arte del canto, non quello solista però, che era proibito, ma quello corale, utile a rinsaldare la disciplina, con canti militari e guerrieri. Presso di loro i musici furono tutti stranieri. Il più celebre di loro fu Terpandro da Lesbo, il “deliziatore di uomini” , autore di inni patriottici, e poi Timoteo, che tentò di portare il numero di corde della lira da sette a undici, ma che incontrò il divieto degli efori per questa sua innovazione. Perché la cosa non ci stupisce affatto?
Restrizioni al lusso
La vigilanza dello Stato si esercitava non solo sulla formazione dei giovani, ma anche sulla vita di tutti i cittadini.
Ogni forma di lusso veniva scoraggiata. Le vesti erano semplici. Le case erano umili e disadorne.
Il denaro non veniva profuso per edifici pubblici e opere d’arte.
Le tentazioni ad una vita lussuosa venivano contrastate, specialmente dall’istituzione dei banchetti pubblici (i Sissizi : τὰ συσσίτια, tá syssítia).
Licurgo per evitare la corruzione dei costumi prese due decisioni fondamentali: divise tutte le terre dello Stato in parti uguali fra i cittadini e abolì l’uso della moneta. Il territorio della Laconia fu ripartito in 30.000 divisioni i kléroi e la polis di Sparta in 9.000, che costituivano una sorta di distretti.
Per contrastare la diffusione della ricchezza, invece di confiscare l’oro e l’argento dalle mani dei possessori, Licurgo preferì togliere ogni valore a questi metalli nobili, e infatti fece coniare solo monete di ferro, secondo altri si trattava invece di lingotti sempre di ferro, ma imbevuti di aceto per aumentarne la fragilità e ridurne la malleabilità.
Queste monete o lingotti erano talmente pesanti e così privi di valore, che occorreva un carro tirato da due buoi per trasportare una somma equivalente al valore di dieci mine. Insomma, non ne valeva proprio la pena. Questa moneta non aveva corso in nessuno degli altri paesi della Grecia (cosa non difficile da credere); gli Spartani stessi ben presto la disprezzarono e non si preoccupavano di accumularne più di quanto servisse loro per le spese quotidiane.
Chi andava in sovrappeso oltre un certo limite, veniva mandato non in centro benessere o in palestra, ma direttamente al confino: altro che body shaming! Il comportamento dei singoli era controllato anche quando essi si trovavano all’estero. Il re Cleomene richiamò in patria un suo ambasciatore a Samo perché aveva saputo che egli si serviva di vasellame d’oro.
Per favorire la temperanza e la sobrietà, Licurgo ordinò che tutti i cittadini si radunassero per consumare i propri pasti in un edificio pubblico comune, i Sissizi a cui abbiamo già accennato, dove ogni spartano doveva inviare tutti i mesi la sua provvigione, cioè una misura di farina, otto di vino, cinque di formaggio e due e mezzo di fichi.
Si attenevano a quest’ordine così strettamente che molti anni dopo, quando Re Agide, il quale dopo una guerra vittoriosa banchettò con sua moglie la regina, in sede privata, fu per questo severamente ripreso.
Gli uomini erano organizzati in compagnie e ciascuno contribuiva al pasto comune. Il cibo era del tipo più semplice, il piatto principale era il famoso “brodo nero”. Non sì sa di cosa fosse composto: ma non era certo a base di carne; pertanto è da creder che si trattasse di una sorta di zuppa di legumi. Questo cibo parve insipido al tiranno Dionigi che un giorno visitò Sparta: ma, come gli disse il cuoco, il motivo era che gli mancava il condimento più necessario: la fatica e la fame. Potete giurarci che doveva essere una schifezza immangiabile.
Per recarsi all’estero occorreva un permesso speciale dello stato, cosa che non era facile ottenere, il che fa di Sparta la prima nazione chiusa entro una “cortina di ferro” e in effetti, pur in un diverso contesto storico, la sua forma di governo può essere paragonata a quella dei regimi totalitari o comunque di polizia, sia del Novecento che dei nostri giorni
Gli uomini non vivevano presso loro famiglie ma in caserme pubbliche. La vita domestica fu così distrutta nell’interesse dello stato. In questo modo la semplice e severa disciplina del campo veniva mantenuta sia in pace che in guerra.
Organizzazione Militare
Gli Spartani evidentemente sapevano che le battaglie non si vincono con il mero coraggio fisico e la perseveranza.
Erano perfettamente coscienti che per creare un esercito efficace, gli uomini devono essere adeguatamente organizzati e comandati. Finora i greci avevano combattuto in grandi masse, ordinate per tribù e clan e guidate dall’araldo del re.
Gli spartani introdussero un nuovo assetto, qualcosa come le nostre moderne compagnie, i reggimenti e le brigate. La divisione più piccola era una compagnia di venticinque o trenta uomini comandati da un capitano. Ogni divisione, dalla più grande alla più piccola, era sotto il comando dei propri ufficiali. Gli ordini del comandante in capo venivano trasmessi attraverso questi diversi gradi di ufficiali.
Gli uomini marciavano al ritmo della musica del flauto – un po’ come avverrà poi con i romani che suonavano le buccine nell’attacco, e l’esercito scozzese e poi britannico che usava le cornamuse – e venivano addestrati in varie evoluzioni tattiche. Gli Spartani arrivarono ad avere l’esercito più efficiente della Grecia e del mondo allora conosciuto.
Era regola fra gli Spartani non far guerra di frequente con le stesse nazioni, temendo che queste potessero alla lunga apprendere i segreti della loro disciplina militare. Una rudimentale forma di controspionaggio. Una volta messo in fuga il nemico, lo inseguivano più per assicurarsi una piena vittoria che la sua distruzione. Così gli avversari, sapendo che coloro che avessero fatto resistenza sarebbero finiti trucidati, si davano subito alla fuga per assicurarsi la salvezza.
Gli Spartani non dovevano mai dare le spalle al nemico, anche se gli fossero stati di molto inferiori in numero; non dovevano inoltre mai gettare le armi, ma tenerle in pugno fino alla morte.
Supremazia di Sparta nel Peloponneso
Conquista della Laconia e della Messenia
Con una tale organizzazione politica e militare, Sparta riuscì non solo a mantenere la propria posizione, ma anche ad estendere la propria autorità sui vicini, ma tutto ciò solo dopo una lunga serie di lotte.
La valle dell’Eurota fu la prima ad essere sottomessa.
Le prima città conquistate furono la città achea di Amicle e quella di Helo vicino alla foce del fiume.
Il dominio di Cynuria, il territorio confinante con l’Argolide, fu strappato proprio ad Argo e non passò molto tempo prima che tutta la Laconia fosse territorio spartano.
Sparta venne quindi in contatto con la Messenia, il paese a ovest del monte Taigeto.
Dopo due dure guerre della durata di vent’anni ciascuna, gli Spartani riuscirono finalmente vittoriosi e gli abitanti della Messenia fuggirono in esilio o vennero ridotti alla condizione di iloti.
Il grande giornalista Indro Montanelli, nella sua Storia dei Greci, racconta i fatti così:
“Pausania racconta che il re di questa città, Aristodemo, corse a Delfi per consultarne
l’oracolo sul modo di cavarsi da quell’impiccio. Apollo gli suggerì di sacrificare agli dèi
sua figlia. Aristodemo, che forse aveva nelle sue vene un po’ di sangue napoletano,
disse di sì, ma all’ultimo momento, di nascosto, mise al posto della figlia
un’altra ragazza, sperando che gli dèi non se n’accorgessero.”
A parte il pregiudizio sui napoletani (non rari nell’opera di Montanelli) che in realtà non sono gli unici a rifilare fregature al prossimo, anche il resto è quasi tutto sbagliato.
Pausania racconta che un’ambasceria della Messenia, si recò a Delfi per consultarne l’oracolo e che Apollo ordinasse loro di sacrificare una fanciulla della stirpe degli Epitidi. Fu sorteggiata allora la figlia di un tal Licino, ma l’indovino Epebolo sollevò dubbi sulla nascita di questa ragazza. Aristodemo un eroe messeno (vedremo subito che tanto eroe egli poi non era), che era ancor più sbrigativo di Agamennone e forse voleva fare il primo della classe, ebbe quindi la bella pensata di porre sull’altare un’altra fanciulla: sua figlia.
Un giovane, forse innamorato di lei o che voleva soltanto salvarla, s’affrettò a dire subito che la ragazza era incinta; allora suo padre, uomo assai poco equilibrato, preso anche da sdegno per questa affermazione, pensò bene di sventrare la figlia di sua propria mano per accertare tutti della sua illibatezza (“Vedete che il suo ventre è vuoto? Beh, che sono quelle facce? Tanto doveva già sacrificarla, no?”). Incurante dell’atrocità di questo atto, il veggente Epebolo, già resosi simpatico per aver contestato i natali della figlia di Licino, pensò solo a cavillare, mostrando enorme cinismo, alla maniera di un azzeccagarbugli in diritto canonico, e obiettò sulla validità del sacrificio appena compiuto: bisognava martirizzare un’altra fanciulla, infatti tecnicamente Aristodemo aveva ucciso la ragazza solo per una questione d’onore e non con l’intenzione di immolarla agli dèi.
Sembra quasi di assistere ad una scena analoga del film di Carlo Verdone del 1981, “Bianco, Rosso e Verdone”; il momento finale dell’episodio di Mimmo, con la Sora Lella. In questo punto del film, una volta giunti entrambi i personaggi finalmente al seggio elettorale, la nonna muore all’improvviso per un malore, proprio dentro la cabina; e il presidente di seggio con gli altri scrutatori che fanno? Mentre il corpo dell’anziana non è stato neanche ancora portato via ai pompieri, loro pensano soltanto a discutere e cavillare sulla validità della scheda elettorale votata dalla donna prima di spirare e ormai vista da tutti, dunque compromessa nella sua segretezza.
Tornando ai fatti che stavamo narrando, fu a quel punto Eufae, il re dei Messeni, che mostrò, anche se in ritardo, più senso pratico di tutti: di fronte alla pedanteria e alle contorte e arzigogolate argomentazioni dell’indovino Epebolo – preoccupato unicamente di invalidare quel sacrificio e a farne eseguire subito un altro ai danni di un’altra fanciulla, mentre il corpo della figlia di Aristodemo giaceva ancora caldo a terra – tagliò corto e disse che così come ormai stavano le cose andava più che bene (anche perché Licino, il padre della ragazza che era stata designata per prima all’olocausto, se ne era già scappato con la fanciulla chiedendo asilo al nemico. Che erano gli spartani tra l’altro! Quindi figuriamoci quanto egli fosse ansioso di tagliare tutti i ponti con questa pazzi sanguinari dei messeni!).
Risultato di tutto questo imbroglio? Eufae morì in battaglia e Aristodemo fu eletto re (forse ambiva a questo quando offrì il sangue del suo sangue per l’immolazione). Ma ancora una volta misero bocca gli azzeccagarbugli, che stavolta furono addirittura due; sempre quel simpaticone di Epebolo ed Ofioneo, che, con la solita ostinazione di cui sono capaci solo i preti quando trattano cose di religione, sollevarono eccezioni per via del brutale assassinio della figlia, spacciato per sacrificio, che non rendeva, a dir loro, Aristodemo degno del trono. Anche in questo caso si tagliò corto, anche perché forse a qualcuno era sfuggito il piccolo particolare che si era nel pieno di una guerra e non c’era tanto tempo per le chiacchiere.
Aristodemo fu quindi re e riportò importanti vittorie sugli spartani, ma alla fine, uomo valoroso ma evidentemente poco intelligente oltre che un pazzo figlicida e femminicida, si lasciò convincere che Messene fosse ormai spacciata e, disperato, si uccise sulla tomba di sua figlia: le classiche lacrime di coccodrillo.
La vicenda di Aristodemo e del sacrificio della figlia, pur raccapricciante e grottesca, venne giudicata invece degna di essere ripresa nelle omonime tragedie di Carlo de’ Dottori (1657), Vincenzo Monti (1784) e Catherine Crowe (1838). Anche il gusto del pubblico letterario europeo del Seicento, Settecento e Ottocento, era assai lontano dal nostro.
I Messeni, sudditi degli Spartani per lo spazio di 60 anni, nel 671 a.C. cercarono di nuovo di scuotersi di dosso la servitù. Guidati ora da Aristomene, che per ben tre volte trionfò contro l’armata nemica, e per tre volte si meritò la Hecatomphonia – cioè un sacrificio, che si facea per colui, che in battaglia avesse ucciso 100 nemici – sembravano essere finalmente vicini alla libertà, ma gli Spartani condotti dal poeta Tirteo, ateniese, che li incoraggiava con suoi versi, alla fine costrinsero i Messeni ad abbandonare la loro patria. Questo territorio crebbe nel dominio di Sparta che divenne uno dei più possenti stati della Grecia.
Estensione del potere spartano
La guerra della Messenia fornì agli Spartani l’occasione di mostrare ai loro vicini quanto essi li potessero soverchiare. Nel corso di questa lotta, gli Spartani avevano giurato che non sarebbero tornati alle loro case, se non dopo vinto il nemico, per questo motivo fecero leva su tutti coloro che fossero in grado di portare armi. Le loro donne denunciarono il pericolo di mandare così al massacro tutta la loro posterità, se la guerra fosse durata a lungo. Fu disposto allora di richiamare dall’armata a Sparta cinquanta giovani tra i più belli e robusti, i quali a loro volta scegliessero tra le donne della città quelle che più gradivano per accoppiarsi con queste. Ai figli nati da tali unioni fu posto il nome di Parteni. Tutta questa faccenda sembra più degna di gestori di allevamenti di bovini e cavalli piuttosto che di governanti di uno stato, ma gli antichi, su queste cose – e ormai dovrebbe essere chiaro, gli Spartani in particolare – non stavano tanto a guardare il capello.
Tutta questa fatica in realtà non servì a niente, a parte il fatto di far finalmente trascorrere una notte brava a cinquanta coppie di giovani, perché gli Spartani che tornarono in patria dalla guerra, disprezzarono la generazione di figli frutto di queste unioni, considerandola illegittima, e li tennero in una condizione poco al di sopra degli Iloti. Anche i Parteni alla fine si ribellarono: ma la rivolta durò poco contro dei padroni che avevano già dimostrato di essere ossi troppo duri per i denti di chiunque, così furono scacciati e alla guida di Falanto raggiunsero l’Italia stabilendosi a Taranto.
Sparta rivolse poi la sua attenzione agli altri stati del Peloponneso. Dopo un’ostinata resistenza, soprattutto da parte della città di Tegea, l’Arcadia fu costretta a riconoscerne la supremazia.
La potente polis della Laconia in seguito venne chiamata ad intervenire in una contesa in corso in Elide per il controllo dei giochi olimpici, riuscendo a stabilire la sua influenza anche in quel distretto.
La città di Argo mantenne un’aspra opposizione a Sparta e riuscì a preservare la propria indipendenza, ma gran parte dell’Argolide fu portata sotto il controllo spartano.
La Lega del Peloponneso
Con le sue conquiste e alleanze, Sparta divenne la potenza supremo del Peloponneso.
Ad eccezione di Argo e del distretto di Acaia, tutti gli altri stati della penisola furono uniti sotto la sua egemonia o la sua influenza.
Agli abitanti di queste nazioni fu permesso di conservare la propria indipendenza locale e ogni stato possedeva diritto di voto nel consiglio che doveva regolare le questioni di interesse comune.
Come risultato di questa politica sorse una lega del Peloponneso, cioè un vero e proprio organismo sovra nazionale, una sorta di Patto di Varsavia della penisola. Sparta era la polis che manteneva la propria autorità sulle tutte le altre città.
Posizione di Sparta in Grecia
La forma di governo ristretta ad una cerchia di persone, l’addestramento austero dei giovani e la politica dispotica potrebbero essere tutti argomenti per vedere Sparta sotto una luce prevalentemente negativa, ma dobbiamo riconoscere che tutto ciò ha contribuito molto alla futura grandezza della Grecia.
Ha dato a tutti un esempio di frugalità di vita, di autocontrollo, di devozione patriottica, di rispetto per le istituzioni esistenti. Ha mostrato l’importanza dell’educazione fisica e quella di formare individui dai corpi sani, forti e simmetrici, dando così alla Grecia un ideale di virilità fisica che fornì un’ispirazione alla scultura ellenica. Sparta stabilì anche un modello di organizzazione militare, grazie al quale nel successivo periodo di invasioni straniere, la Grecia, si salvò dalla distruzione.
Sebbene Sparta non abbia rappresentato la forma più alta di civiltà della Grecia, fece molto per rendere possibile il sorgere di una cultura superiore.
(Articolo composto e adattato sulla base di una libera traduzione dall’inglese, da “Outlines of Greek history: with a survey of ancient oriental nations” di William Carey Morey, New York: American Book Company, 1903; con aggiunte rimaneggiate da “Il compendio della storia greca” di Goldsmith, traduz. Francesco Villardi, Ed. Cristofaro, Napoli, 1853; e con successive integrazioni tratte da treccani.it e dalle versioni in lingua spagnola, francese, inglese e italiana di Wikipedia)
Nel prossimo episodio – > : Vedremo la nascita dell’altra grande polis della Grecia: Atene. Seguiremo la sua evoluzione dalla monarchia più primitiva all’affermazione dell’aristocrazia. Tuttavia i rivolgimenti sociali si fanno frequenti nella giovane repubblica, visto lo strapotere dei più abbienti che tengono alto il credito. Il saggio Solone si pone come riformatore invitando alla concordia, ma subito dopo si impone la Tirannide con Pisistrato. Sarà un periodo di instabilità politica, finché un uomo nuovo, Clistene, non porrà le basi della democrazia