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GLI SPETTACOLI NELL’ANTICA ROMA

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La vita nel mondo antico era davvero dura: brutale, faticosa e spesso breve. “La guerra è la madre di tutte le cose” come diceva Eraclito, e come nel Far West tutti portavano la pistola e la usavano ad ogni occasione, in Grecia o a Roma ognuno portava con sé un’arma da taglio, una spada o un pugnale. E proprio come nel Far West c’erano continue sparatorie, la stessa cosa avveniva nel mondo antico, ma si trattava piuttosto di risse o duelli all’arma bianca.

La meravigliosa democrazia greca e il perfetto sistema repubblicano di Roma avevano il loro rovescio della medaglia in un rigido classismo e una drammatica mancanza di welfare. Assistenza medica pubblica? Scordatevela proprio! Incidenti gravi sul lavoro? Fatti vostri! Malattie invalidanti o figli portatori di handicap? La risposta era l’abbandono dei neonati (anche sani) e l’infanticidio.

I diritti? Senza una spada o un pugnale (che ovviamente dovevi saper manovrare) non ne avevi neppure uno, e comunque anche in questo caso ti dovevi guardare le spalle. La violenza fisica e la crudeltà erano talmente comuni che quasi non le si definiva così, perché erano appunto la normalità e anzi erano considerati perfino atteggiamenti legittimi: che il più forte abbattesse il più debole era una legge di natura. In pratica la stessa morale che circola oggi nei bassifondi delle metropoli odierne, nelle banlieue, nel Bronx, tra le gang di quartiere e in genere nei luoghi ad alta concentrazione di criminalità.

Non stupisce dunque che i romani andassero letteralmente pazzi per i giochi del circo: pericolosi, sanguinari, adrenalinici.

I due film sull’Antica Roma più famosi di sempre, Spartacus (1960) e Il gladiatore (2000), celebrano entrambi il mondo brutale e violento del gladiatore romano e la sua vita breve e pericolosa, altro che quella come Steve MacQueen! Questi film presentano il popolo romano come un avido spettatore di competizioni sanguinarie, che trascorreva ore e ore nell’anfiteatro a guardare degli uomini che si trucidavano a vicenda.

Beh, forse è un’esagerazione…ma non troppo lontana dal vero (e a ben guardare, la violenza e la brutalità sono una forma di intrattenimento assai gradito ancora oggi, anche se noi la vediamo soprattutto al cinema e nelle fiction Tv e non esistono più spettacoli sportivi pubblici in cui lo scopo sia uccidere l’avversario – a meno che non si tratti di incontri clandestini -)

Le Arene e i gladiatori erano i luoghi e gli eroi “della domenica” (per così dire) di tutte le popolazioni dell’Impero romano, non solo nell’Urbe dunque. Al secondo posto fra le competizioni preferite dal pubblico c’erano le gare di velocità dei carri, lanciati a folle corsa da degli aurighi supercampioni (praticamente come oggi la Formula Uno che nei favori del pubblico viene subito dopo il Calcio). I carri del tipo che si vedono nel film Ben Hur erano il massimo del brivido per tutti i romani, dai 5 ai 90 anni.

Le persone con gusti più raffinati e delicati, e ce n’erano molte, si rivolgevano piuttosto ai teatri per assistere alle rappresentazioni di drammi e tragedie e per le pantomime, i piccoli odeon invece erano riservati per le letture e le poesie.

La grande industria dell’intrattenimento a Roma

Jean-Léon Gérôme “Pollice Verso” 1872
Jean-Léon Gérôme “Pollice Verso” 1872

I grandi spettacoli erano i principali intrattenimenti popolari nell’Antica Roma. A differenza della Grecia, i giochi sportivi come l’atletica o il pugilato non erano molto seguiti. Come indicato nelle Res Gestae divi Augusti, nel periodo imperiale possiamo trovare sei tipi di grandi Spectacula: Ludi Circensis, Ludi Scaenici, Certamina Athelarum, Munera Gladiatorum e Naumachiae.

“Panem et circenses” (“pane e circo” o “pane e giochi del circo”), è una famosa sentenza latina scritta dal poeta satirico romano Giovenale, vissuto tra il 60 e il 130 d.C. circa. Significa che al popolo romano interessavano solo due cose: avere lo stomaco pieno e abbandonarsi al tifo sfrenato allo stadio con gli amici, assistendo ai giochi. Niente di più vero, ed è stato un costume assai duraturo, non solo nella storia dell’Antica Roma, ma in quella successiva dell’umanità in generale, visto che i governanti lo declineranno in infiniti modi in tutti i paesi e in tutte le epoche (basti pensare al “Festa, farina e forca” di Ferdinando di Borbone, re di Napoli.)

Arene e stadi

Nei tempi più antichi, quasi tutti gli spazi aperti potevano essere utilizzati per lo svolgimento di attività sportive. Fino ai tempi di Augusto si usava il Foro Romano; intorno a un’area di questo complesso venivano eretti dei sedili temporanei in legno.

Gérôme, Jean-Léon: Ave Caesar! Morituri Te Salutant
Gérôme, Jean-Léon: Ave Caesar! Morituri Te Salutant

Al centro del Foro, c’erano gallerie sotterranee appositamente progettate e dotate di macchinari di sollevamento per le armi, le scenografie e altre attrezzature per l’azione. Al termine dei giochi, i sedili venivano rimossi e le camere sotterranee venivano chiuse fino alla volta successiva.

Il Colosseo sfruttò in seguito appieno questi stessi accorgimenti tecnici, ma facevano ora parte di una struttura permanente. Roma il suo primo anfiteatro in pietra lo ebbe solo nel 29 a.C., quando Statilio Tauro ne costruì uno nel Campo Marzio. Ma la più antica arena permanente conosciuta, o anfiteatro, non si trova a Roma, bensì a Pompei. Fu costruito nell’80 a.C. ed era abbastanza grande da contenere 20.000 persone. Come tutti gli anfiteatri, quello di Pompei aveva un’arena ellittica circondata da file di sedili inclinati in modo che tutti gli spettatori potessero avere una visuale ottimale. Un alto muro separava i concorrenti dal pubblico, quindi dai gladiatori e, cosa più importante, dalle bestie feroci.

Veduta aerea dell'Anfiteatro di Pompei
Veduta aerea dell’Anfiteatro di Pompei

Le arene potevano essere utilizzate per diversi scopi:

  • Combattimenti di gladiatori.
  •  
  • Cacce agli animali Rievocazioni di grandi battaglie ed eventi navali per la folla.
  •  
  • Rappresentazioni di finte battaglie da parte di manipoli dell’esercito per il divertimento dei soldati.
  •  
  • Feste religiose.

Come si costruisce un’Arena

L'anfiteatro di Nerone
L’anfiteatro di Nerone

Le arene di solito sorgevano alla periferia delle grandi città o anche al di fuori delle loro mura. Anche negli accampamenti militari venivano costruite arene, di regola anche esse fuori dal perimetro della roccaforte. Le arene erano presenti anche presso i santuari religiosi. Ce ne sono di tutti i tipi: da quella colossale a El-Djem in Tunisia, a quella davvero minimale situata a Silchester in Gran Bretagna,  in cui i sedili di legno erano montati su banchi di terra che circondavano una semplice arena scavata nel terreno.

Le piccole città o non le avevano affatto o venivano dotate di arene temporanee in legno che poi venivano smantellate. Gli anfiteatri sono diffusi soprattutto in Italia, in Gallia, in alcune parti del Nord Africa, in Spagna e in Gran Bretagna, ma sono quasi del tutto assenti nell’Oriente di influenza greca, ad esclusione di Pergamo, in Asia Minore.

Le arene più sofisticate erano munite di aree sotterranee per tenere gli animali, i prigionieri e i gladiatori, oltre agli impianti di sollevamento per portarli in scena. Disponevano anche di attrezzature idrauliche per inondare l’arena in caso di battaglie navali e sistemi di drenaggio – l’acqua poteva essere usata anche per lavare via il sangue dopo i combattimenti.

Ovviamente i posti migliori nell’arena dipendevano dal proprio status sociale. L’imperatore, la sua famiglia e i suoi accompagnatori avevano una sorta di “palco reale”. I senatori occupavano le prime file, dietro di loro venivano gli equestri e poi i cittadini. Le loro donne si sedevano dietro a questi e poi c’erano le classi inferiori, situate nelle file più alte e con posti in piedi.

Il Colosseo

Il Colosseo di Roma, era originariamente chiamato Amphitheatrum Flavium, e rimane ancora oggi l’anfiteatro più famoso e imponente di tutti, gran parte del quale è ancora oggi in piedi e domina il centro della città. Fin dalla sua costruzione (72-80 d. C.) questo gigantesco monumento è stato considerato sia un simbolo della potenza di Roma sia una delle più grandi meraviglie del mondo.
La struttura, costruita in blocchi di travertino sul sito della Domus Aurea di Nerone dagli imperatori Vespasiano e Tito (che vollero così, in maniera propagandistica restituire al popolo un enorme spazio sottratto dal loro predecessore alla collettività per soddisfare il proprio lusso), è un’ellisse di 523 metri di circonferenza e 48 di altezza, con un’arena di 82 per 53 metri. La sua sezione meglio conservata è alta quattro piani. I primi tre piani sono formati da arcate con pilastri rispettivamente di ordine dorico, ionico e corinzio; il quarto è costituito da un ordine di arcate cieche, interrotto da pannelli e finestre alternate. L’interno aveva tre ordini di sedili in marmo per circa 50.000 spettatori. Sotto l’arena levigata si trovava un’elaborata struttura di stanze, volte, passaggi e scarichi.

L’intricato sistema di strutture presenti sotto l’arena sembra indicare che essa poteva essere inondata per simulare battaglie navali. Esistevano efficienti dispositivi per il drenaggio dell’intera parte interna, che sono stati in parte restaurati. Il Colosseo era anche dotato di un vasto tetto apribile che poteva essere steso sulla folla per tenere gli spettatori all’ombra. Le operazioni sotterranee si svolgevano in nove sezioni di tunnel, da cui si diramavano numerose sale di lavoro.

L’arena era circondata da un basso muro sormontato da una ringhiera abbastanza alta da proteggere il pubblico da animali selvatici e combattenti. Lo scopo principale dell’enorme arena era l’intrattenimento, come i combattimenti tra gladiatori, gli scontri navali e le lotte tra bestie selvatiche. 

Un quarto dell’arena era costituito da pavimentazioni mobili che fungevano da soffitto per le gallerie. Queste avevano dei perni su un lato e venivano calate con corde e carrucole nelle gallerie, dove venivano preparate tutte le scene. Poi venivano sollevate mentre anche i combattenti e gli animali venivano fatti salire attraverso botole e ascensori.

Il Colosseo poteva sia gestire grandi folle di pubblico, (si riusciva a far entrare e uscire dalla struttura tutti gli spettatori in tempi rapidissimi) che ospitare grandiosi combattimenti: sotto Traiano (98-117 d.C.), per celebrare la conquista della Dacia da parte dell’imperatore, si tennero dei giochi in cui combatterono ben 10.000 gladiatori.

Sebbene sia stata venerata come teatro di numerosi martiri cristiani a partire dal XVII secolo, questa tradizione tardiva è stata messa seriamente in discussione da studiosi recenti, poiché le antiche fonti cristiane non fanno menzione di tali martiri.

Curiosità sul Colosseo
Ci sono voluti 12 anni per costruire il Colosseo con migliaia di blocchi di pietra da 5 tonnellate.  Il tempo di uscita stimato per tutti i 70.000 spettatori era di tre minuti!
L’uso efficiente di archi e volte ha consentito di utilizzare solo 9.198 metri cubi di pietra.  Il Colosseo non fu terminato fino al regno di Tito, figlio di Vespasiano (79-81 d.C.) e fu dedicato a quest’ultimo nell’80 d.C. Prese il suo nome attuale perché nelle vicinanze si trovava una colossale statua in bronzo di Nerone, successivamente adattata in un’immagine del dio-sole. Plinio il Vecchio descrisse la statua, chiamata il Colosso, alta 32 metri, definendola “mozzafiato”. Poiché tutti sapevano dove si trovava il colosso, alla fine esso è diventato una specie di targa con l’indirizzo della nuova arena e questo nome è rimasto appiccicato addosso all’edificio per sempre.
I blocchi erano tenuti insieme da 300 tonnellate di morsetti metallici.   Nel 217 il Colosseo fu gravemente danneggiato da un fulmine. Le riparazioni durarono fino al regno di Gordiano III (238–244).
Il Colosseo era lungo 186 metri e largo 154 metri e poteva ospitare fino a 70.000 spettatori, il che significa che sarebbe ancora oggi tra i primi venti stadi in Europa, superato di poco dallo Stadio Olimpico di Roma e battendo il Wanda Metropolitano di Madrid, il Ferenc Puskàs Arena di Budapest, l’Olympiastadion di Monaco e lo Stadio Olimpico Spyros Louis di Atene. Stadi come il Mercedes-Benz Arena e l’Emirates Stadium per l’Arsenal a Londra, rispetto al Colosseo stanno sotto di diecimila posti!   Le ultime cacce di animali documentate nel Colosseo furono tenute nel 523 da Eutarico, genero di Teodorico il Grande.
Il Colosseo si erge ancora per tutta la sua altezza di 50 metri su un lato. Nel 2007, il Colosseo è stato aggiunto alle Nuove Meraviglie del Mondo.
  C’erano 76 ingressi numerati. I biglietti venivano emessi con ingressi specifici in modo che la folla di 70.000 persone sapesse esattamente dove andare e dove uscire in caso di emergenza.  Le caserme dei gladiatori erano proprio accanto al Colosseo e gran parte di esse è ancora oggi visibile.
Sezione del Colosseo
Sezione del Colosseo (clicca sull’immagine per ingrandire)

 

Un giorno alle corse, ovvero: Formula uno alla Romana

Le corse delle bighe erano uno sport molto popolare a Roma e in tutto l’impero e il corrispettivo delle gare automobilistiche di oggi. La tradizione risaliva alle origini. Il mitico fondatore di Roma, Romolo, intorno al 753 a.C. avrebbe invitato i suoi vicini, i Sabini, a godersi un pomeriggio di corse di bighe. In realtà, Romolo li aveva ingannati. Mentre i Sabini erano impegnati  seguire l’azione, egli fece in modo che i suoi rapissero le donne sabine.

Immagine: Raffaello Sorbi
Immagine: Raffaello Sorbi

Carri romani

Le bighe romane erano oggetti ultraleggeri e fragili, con appena lo spazio necessario a un uomo per stare in piedi e tenere le redini. In caso di incidente, la biga cadeva a pezzi all’istante e scagliava l’auriga fuori, probabilmente nella traiettoria di un’altra biga che stava sopraggiungendo in quel momento.

I carri erano (principalmente) di tre tipi diversi:

  • Carri a due cavalli (biga)
  •  
  • Carri a tre cavalli (triga)
  •  
  • Carri a quattro cavalli (quadriga)

I carri utilizzati nel film Ben Hur (1959) erano molto diversi rispetto a quelli autentici usati dai Romani. Ma il film è eccezionale per il modo in cui trasmette l’eccitazione e il pericolo della corsa delle bighe.

Gli aurighi

Gli aurighi erano generalmente schiavi o liberti, poiché nessun cittadino romano che si rispetti si sarebbe umiliato sporcandosi le mani in quel modo. Controllare una biga richiedeva un’abilità incredibile e riflessi pronti. Più cavalli c’erano, più diventava difficile.

Immagine: Alfredo Tominz
Immagine: Alfredo Tominz

Poiché le corse si svolgevano in un’unica direzione all’interno dello stadio, il cavallo più lento della squadra veniva attaccato all’interno. Una mossa falsa e la biga poteva ribaltarsi o deviare attraverso la pista e schiantarsi contro il muro esterno.

Gli aurighi cavalcavano per una delle quattro squadre principali:

  • i Rossi (Russata)
  •  
  • i Bianchi (Albata)
  •  
  • i Blu (Veneta)
  •  
  • i Verdi (Prasina)

Essere un auriga era un po’ come essere Ayrton Senna: si viveva una vita spericolata, fatta di duri allenamenti e in genere non si durava molto a lungo.

 

I Grand Prix Driver dell’antichità

Gaio o Gaio Apuleio Diocle, un ispano-romano nativo della provincia romana di Lusitania, fu l’auriga più celebre del mondo antico. Si pensa che fosse originario città di Merida, anche se il luogo esatto di nascita non è noto.

La sua carriera, durata 23 anni, fu insolitamente lunga, poiché molti aurighi morivano giovani negli incidenti. Iniziò a correre all’età di 18 anni per la fazione bianca, passando poi alla verde a 24 e infine alla rossa a 27, dove continuò a correre fino al suo ritiro, avvenuto all’età di 42 anni. Gareggiò in 4.257 gare, ottenendo 1.462 vittorie e piazzandosi secondo o terzo in altre 1.438 gare. La sua percentuale di vittoria è superiore al 34%. Si stima che abbia guadagnato ben 35.863.120 sesterzi prima di ritirarsi, stabilendosi alla fine della sua carriera nella città latina di Preneste, dove morì. La cifra di 35 milioni di sesterzi per noi oggi non è facile da quantificare, ma si pensi che all’epoca avrebbero coperto il salario annuale di circa sei legioni romane (circa 30.000 uomini)

Vero asso del suo tempo, Diocle doveva essere, nelle parole di Antonio García y Bellido, “l’eroe delle folle più appassionate, l’idolo di un popolo che racchiudeva la propria felicità in queste due parole: panem et circenses “.

La vita e la carriera del Diocle lusitano ci è nota solo grazie a due documenti epigrafici. Il primo è una lapide ritrovata a Roma, la città dei suoi trionfi, che riassume il suo percorso sportivo e le sue ineguagliabili imprese. Probabilmente fu fatta realizzare dai suoi ammiratori nel Circo di Nerone, nell’odierna Città del Vaticano, dove Diocle deve aver corso migliaia di volte e dove sono apparsi molti altri monumenti dello stesso tipo. Quella di Diocle è la testimonianza epigrafica più importante che possediamo sulle corse delle bighe.

Il secondo documento sulla vita di questo formidabile atleta, proviene dal Tempio della Fortuna Primordiale a Preneste (l’odierna Palestrina), dove egli decise di ritirarsi fino alla fine dei suoi giorni. Nulla si sa della sua morte. Si pensa che abbia trascorso la vecchiaia appunto a Preneste, ricco e benestante. Lasciò due figli, un maschio e una femmina, Gaio Apuleio Nimfidiano e Nimfidia, che dedicarono al padre una statua oggi scomparsa, alla base della quale c’era un’iscrizione su una stele.

Un altro dei piloti più popolari a Roma, si chiamava Flavio Scorpo, anche lui iberico, vissuto nella seconda metà del I secolo d.C. Questi vinse 2048 gare (quindi molte di più di quelle di Diocle) e anche lui aveva un enorme seguito di fan. Il poeta Marziale lo menzionò in una serie di epigrammi quando egli era ancora in vita. Scrisse anche della sua morte in pista, quando aveva solo 26 anni.

«O Roma, io sono Scorpo, la gloria del tuo circo rumoroso, l’oggetto del tuo applauso, il tuo favorito di breve durata. L’invidiosa Lachesi, quando mi interruppe nel mio ventisettesimo anno, mi giudicò vecchio, a giudicare dal numero delle mie vittorie.»

(Marziale, 10.53)

Per il riferimento di Marziale alle Parche o Moire (in particolare Lachesi), ricordiamo che esse erano le tre divinità che presiedevano al destino degli uomini: Cloto tenendo la conocchia su cui si avvolge il filo della vita umana; Lachesi tessendo il filo; Atropo recidendolo al momento della morte.

Su una tavoletta ritrovata nel Nord Africa un auriga malediceva quattro suoi acerrimi rivali, chiedendo che un demone torturasse e uccidesse i loro cavalli e poi schiacciasse a morte gli aurighi stessi.

Sebbene la causa della morte di Scorpo sia sconosciuta, è probabile che sia dovuta a uno dei tanti incidenti avvenuti durante le corse delle bighe, noti come naufragia (“naufragi”). Gli aurighi avvolgevano le redini attorno ai loro corpi per usare il loro peso in modo da controllare meglio i cavalli. Poiché ciò era estremamente pericoloso, i piloti avevano con sé dei coltelli che, in caso di incidente, servivano loro per liberarsi. Tuttavia, dopo una caduta, gli atleti non riuscivano sempre a districarsi in tempo, prima del sopraggiungere dei carri degli altri avversari. Gli incidenti si verificavano spesso in prossimità delle curve, come dimostra un rilievo circense conservato al Pergamon Museum di Berlino, che raffigura un auriga che cade dal suo carro e viene calpestato da un’altra quadriga.

La biografia di Scorpo è stata ricostruita e sceneggiata nel 2019 nel documentario Brot und Spiele – Wagenrennen im alten Rom di Jens Monath e Giulia Clark, andato in onda il 19 aprile 2019 nella serie televisiva Terra X trasmessa dall’emittente tedesca ZDF. Diverse scene del documentario tedesco sono state poi riutilizzate nella puntata Il mondo di Ben Hur della trasmissione Ulisse – Il piacere della scoperta condotta da Alberto Angela e andata in onda il 26 ottobre 2019 su Rai Uno.

Il patrimonio

Secondo Peter Struck, storico dell’antichità, i guadagni finanziari di Diocle furono tali che, se si confronta la moneta romana con quella odierna, egli risulta esser stato lo sportivo più ricco della storia. Secondo i suoi calcoli infatti, Diocle ottenne un totale di 1.462 vittorie e guadagnò ben 35 milioni di sesterzi, ovvero quasi 11 miliardi di euro.

Nei fumetti

In Asterix e la corsa d’Italia, si parla del grande pilota romano di carri Coronavirus, “il campione delle vittorie del MCDLXII “. Si tratta di un’allusione a Diocle e alle sue “1.462 vittorie in gare di quadriga e in gare di carri ancora più grandi”.

Una vignetta da Asterix e la corsa d'Italia
Una vignetta da Asterix e la corsa d’Italia

 

Tifosi

Le folle cittadine di tutto il mondo romano erano fanatiche sostenitrici delle corse dei carri. I sostenitori di ogni squadra provavano un enorme piacere a scontrarsi con i tifosi avversari. Le occasioni non mancavano e i soldati erano spesso impegnati a cercare di mantenere l’ordine (come si può ben vedere alcune cose non cambiano mai neppure ai giorni nostri).

Il folle imperatore Caligola (37-41 d.C.) era un fanatico sostenitore dei Verdi, tanto che mangiava nelle loro stalle e a volte ci passava anche la notte. Come i gladiatori, gli aurighi erano le grandi star dell’epoca: Le donne aristocratiche spasimavano al solo pensiero di un auriga bello e muscoloso e spesso molti di loro diventavano delle superstar internazionali, il che spiega perché alcuni continuavano a gareggiare anche una volta ottenuta la libertà.

La corsa delle bighe fu uno degli sport romani più diffusi e longevi. Nella capitale bizantina dell’Impero Romano d’Oriente, Costantinopoli, molto tempo dopo la caduta di Roma, i tifosi violenti del circo, gli ultras, si picchiavano ancora a sangue tra di loro ogni volta che potevano (anche queste sono scene purtroppo molto familiari tutt’oggi) e una volta in particolare la cosa degenerò a tal punto che l’imperatore Giustiniano per poco non ci rimise il trono. 

La zuffa tra gli ultras di Pompei

Nell’anno 59 d.C., a Pompei, come ci racconta Tacito, fu organizzato uno spettacolo di gladiatori da un senatore di nome Livineio Regolo. I tifosi rivali di una città vicina, Nuceria (Nocera inferiore), arrivarono sul luogo per fare il tifo per i loro eroi. Gli abitanti e i visitatori cominciarono a insultarsi e a gridare l’uno contro l’altro e poi passarono alle vie di fatto scagliandosi addosso delle pietre. Ben presto vennero sguainate le spade e, prima che qualcuno potesse fare qualcosa per riportare la pace, molti nuceriani vennero pugnalati e colpiti a morte dai pompeiani che sembravano essersi ben preparati con le armi proprio per causare disordini. Persino donne e bambini vennero trucidati durante questi scontri. L’imperatore Nerone, dopo essersi consultato con i nuceriani, istituì una commissione d’inchiesta composta da alcuni consoli per punire i colpevoli. Il Senato di Roma fu così indignato e disgustato dall’episodio che gli spettacoli gladiatori furono vietati per dieci anni a Pompei e come punizione Regolo fu costretto all’esilio.

 

Il calendario dei giochi

I divertimenti pubblici romani erano una parte importante del calendario religioso annuale. I Ludi Consualia erano dedicati a Consus, divinità identificata con Nettuno (Neptunus Equestris), dio del mare. Anche il suo equivalente greco, Poseidone, era associato ai cavalli. Quindi le corse dei carri erano sempre consacrate a Nettuno.

Per quel che riguarda l’origine più lontana degli spettacoli e che per la maggior parte dei nostri resta come qualcosa di avvolto nella più fitta tenebra, non abbiamo creduto che si dovesse risalire nella nostra investigazione al di là di quanto possono averci lasciato tanti scrittori del mondo pagano, e che non si avesse a ricercare altre fonti: molti infatti, sono coloro che su questo argomento ci hanno tramandato testimonianze e notizie: secondo quelli l’origine dei giochi si deve così ricostruire: Timeo riferisce che i Lidi, movendosi dall’Asia, si siano fermati in Etruria: il loro duce sarebbe stato un Tirreno, che aveva ceduto, dopo qualche contrasto, il diritto di succedere al trono, al fratello.

Così in Etruria, fra i diversi riti spettanti alle diverse convinzioni religiose di quelle genti, fissano l’istituzione degli spettacoli con carattere sacro. Pare che i Romani in un secondo momento s’accaparrassero coloro che di tali cerimonie erano esperti; stabilissero il tempo in cui dovessero esser compiute, ne fissassero il nome e che appunto dai Lidi si chiamassero Ludi; per quanto Varrone faccia risalire tale denominazione a ludus: gioco, il che equivale a dire, a lusus scherzo, come appunto chiamavano ludi anche quelli dei Luperci, perché scorrazzavano scherzando e saltando qua e là.

Tuttavia, riporta e ricollega questo che è svago e spasso giovanile a giorni riconosciuti festivi, a luoghi sacri e a riti religiosi. Non importa pertanto indugiarsi per ristabilire l’origine del vocabolo, ma è chiaro che la cosa in sé, trova la sua ragione in un principio idolatra. I giochi venivano compresi sotto la generale denominazione di Liberalia e tale  parola richiamava evidentemente qualcosa del culto di Libero: erano essi infatti, dapprima celebrati proprio in onore di Libero, dai contadini, perché facevano risalire a lui l’aver conosciuto la forza e il valore del vino; si ebbero poi quelli detti Consualia: erano in onore, dapprima, di Nettuno che era appunto chiamano Conso; ci furono poi gli Equiria, che un Remolo pare dedicasse a Marte; per quanto taluni facciano risalire a un Romolo anche i Consualia, che, pare, dopo, li facesse propri di un dio Conso, quasi una divinità del consiglio, alludendo, con tal nome, alla deliberazione presa di procurare ai suoi soldati la maniera di aver donne, mediante il ratto delle fanciulle Sabine.

Consiglio buono davvero; giusto per i Romani e lecito, anche agli occhi dello stesso Dio; ma il suo vizio d’origine fa sì che tu, o cristiano, non possa approvare un consiglio di tal genere; esso ripete il suo principio dal male; è appunto dalla impudenza maggiore, dalla violenza, dall’odio che trae sua origine, e chi stabilì tale cosa fu il figlio di Marte, che si macchiò del sangue del fratel suo; ed è stata scoperta un’iscrizione sotterranea nel Circo, proprio alle prime mete, che diceva proprio così: Conso potente nel consiglio, Marte nella guerra, i Lari nel Comizio; i pubblici sacerdoti compiono sacrifici in questo luogo il sette Luglio e il ventuno Agosto, il rito viene ripetuto dal Flamine Quirinale e dalle vergini Vestali. Di poi lo stesso Remolo istituì giochi a Giove Feretrio sul colle Tarpeo, i quali Pisone ci dice che prendessero oltre il nome di Tarpei, anche quello di Capitolini.

Dopo costui, Numa Pompilio li istituì in onore di Marte e della dea Robigine, perché anche questa la considerarono avente attributo divino. Fu poi la volta di Tulio Ostilio, e via via di Anco Marzio e degli altri. Si legge in Svetonio Tranquillo e in quegli scrittori dai quali appunto egli attinse, quali e quante specie di giochi, esattamente distribuiti, essi avessero dedicati alle loro pretese divinità idolatre. Ma mi pare che ormai sia sufficiente quanto si è detto per esser convinti e per provare che essi tengono in loro il vizio di origine che è quello appunto di discendere da un principio d’idolatria.

Tertulliano, De Spectaculis, Cap. V (traduzione e fonte: tertullian.org)

Al tempo dell’Impero, il calendario religioso annuale con i suoi giochi erano abbastanza fitto di eventi, poiché circa la metà dell’anno era destinata alle feste religiose con giochi (ludi). Questi giochi comprendevano di tutto: dalle corse dei carri ai combattimenti tra animali, fino agli scontri tra gladiatori. Alcuni, come i Ludi Cereales, si rifacevano a un remoto passato mitico di Roma, mentre altri erano legati alla politica e alla guerra. Questi sono i principali, ma ce n’erano anche altri perché non se ne aveva mai abbastanza:

  • I Giochi Megalesi (Ludi Megalenses): Si celebravano dal 4 al 10 aprile e traggono origine dall’introduzione a Roma, nel 204 a.C., della Grande Madre (Magna Mater) degli dei, Cibele.
  • I Giochi Cereali (Ludi Cereales): Si celebravano il 12 e il 19 aprile in onore di Cerere, dea dei raccolti, e dei suoi figli, Liber e Libera, divinità della semina.
  • I Giochi Floreali (Ludi Florales): Si celebravano dal 28 aprile al 3 maggio in onore di Flora, dea dei fiori e associata anche a comportamenti licenziosi.
  • I Giochi Apollinari (Ludi Apollinares): Si celebravano dal 6 al 13 luglio e si tennero per la prima volta nel 212 a.C. per celebrare la sconfitta di Annibale a Canne. Dedicati ad Apollo.
  • Giochi Consuali (Ludi Consualia): Si celebravano due volte l’anno, il 21 agosto e il 15 dicembre.
  • I Giochi Romani (Ludi Romani): Si celebravano dal 5 al 19 settembre in onore di Giove Ottimo Massimo, re degli dèi e detentore del potere ultimo sul destino dei Romani.
  • Giochi della Plebe (Ludi Plebei): Si celebravano dal 4 al 17 novembre. Furono istituiti durante la Seconda guerra punica (218-202 a.C.) per tenere alto il morale della popolazione (la plebe).

 

Ludi Circensis: I giochi del circo

In pratica erano i giochi che si svolgevano nei circhi romani. Il circo era un recinto di forma ovale con una separazione centrale o spina. Questa spina divideva l’arena in due corsie, formando così la pista da corsa. Questi edifici erano anche i più grandi che esistevano e il Circo Massimo di Roma poteva contenere tra i 200.000 e i 300.000 spettatori. Il circo romano di Mérida in Spagna, ad esempio, costruito al tempo dell’Imperatore romano Tiberio (nel 20 circa), aveva una capacità di 30.000 spettatori, quasi l’intera popolazione della città, che allora si chiamava Emerita Augusta, al suo apice.

Curiosità sul Circo Massimo

Le prime parti in pietra furono costruite nel 174 a.C.

Dei cristalli di gesso nero venivano sparsi sul percorso per renderlo scintillante.

Nel I secolo a.C. poteva già accogliere 100.000 spettatori.

C’erano santuari religiosi lungo la spina.

Durante il regno di Nerone (54-68 d.C.), il circo poteva ospitare fino a 250.000 spettatori, pari all’Indianapolis Motor Speedway (costruito nel 1909). Alcuni ritengono che una folla fino a 320.000 potesse esservi stata stipata in seguito.

La spina era ornata da obelischi provenienti dall’Egitto per mostrare il grande potere di Roma.

Il Circo Massimo era lungo 594 metri e largo 201 metri.

Nei passaggi e negli archi sotto i sedili, cuochi, astrologi e prostitute provvedevano a Tutte le altre necessità dei tifosi.

La spina al centro aveva un palo di svolta in ciascuna estremità.

Sotto Antonino Pio (138–161 d.C.) il sovraffollamento causò la morte di oltre 1.000 spettatori.

Ogni gara era composta da sette giri (circa 8 chilometri). Per contarli ci si serviva di sette delfini di bronzo posti su dei perni a un’estremità della spina e sette uova di bronzo nell’altra.

Nel 2006, decine di migliaia di tifosi italiani si riunirono qui ancora una volta per guardare sui maxi schermi la nazione italiana vincere la Coppa del mondo di calcio e poi per festeggiare.

Pianta del Circo Massimo (Clicca sull'immagine per ingrandire)
Pianta del Circo Massimo (Clicca sull’immagine per ingrandire)

Qui le corse dei carri venivano praticate in forme diverse a seconda del tipo di tiro. In primo luogo, c’erano le bighe (a due cavalli), le trighe (a tre cavalli, più rare) o le quadrighe (a quattro cavalli).

A un’estremità del recinto si trovavano i cancelli o carceres, dove i carri venivano posizionati prima di uscire in pista. Quando erano pronti, il padrone di casa lanciava un fazzoletto o mappa per dare il via alla corsa che durava dai 7 ai 5 giri (nelle gare greche erano 12) e chi li completava per primo veniva incoronato vincitore.

Gli Stadi

Lo stadio (o circo) era utilizzato per le corse dei carri, costituito da un lungo recinto rettangolare, curvo a un’estremità, con posti a sedere su tutto il perimetro, tranne che all’estremità diritta. Al centro c’era la spina dorsale (spina), su cui i carri sfrecciavano, giro dopo giro, cercando di tagliarsi la strada a vicenda e sorpassarsi.

Solo a Roma c’erano otto stadi per le bighe, e la maggior parte delle altre grandi città aveva uno stadio permanente o un campo aperto che poteva essere allestito come sede temporanea. C’erano circhi in tutto l’impero: Italia, Gallia (Nîmes, Arles, Lione, Saintes, Vienne), in Germania (Treviri), in Bulgaria, in Spagna (Merida, Sagunto,Tarragona, Toledo…) e in mille altri posti. Ne è stato rivenuto uno perfino in Gran Bretagna, a Colchester, che si aggiunge a quelli delle grandi città dell’Oriente, come Afrodisia in Asia Minore (Turchia), che ne possiede uno dei meglio conservati.

Il più grande circo di Roma era il monumentale Circo Massimo, (“Il circo più grande”). È uno dei più grandi edifici, se non il più grande, mai eretto nella storia del mondo per un evento con spettatori. Le prime corse si tennero qui già ai tempi semi-mitici dei re di Roma. Sotto gli imperatori, venne ampliato e ingrandito. Il Circo Massimo è ancora oggi visibile a Roma, ma è una struttura ormai spoglia e il resto è sepolto.

Uno dei circhi meglio conservati è quello di Massenzio, appena fuori dalle mura di Roma, lungo la via Appia. Plinio il Giovane detestava i giochi e le corse, eppure era ugualmente contento quando si svolgevano, perché più della metà della popolazione di Roma si trovava allo stadio, quindi le strade erano deserte e regnava il silenzio e lui poteva continuare a lavorare in pace e tranquillità. Un po’ come oggi può accadere per una finale dei Mondiali di Calcio o per quella della Champions League.

Questi spettacoli erano estremamente pericolosi, sia per l’auriga che per il cavallo. Gli incidenti erano frequenti e in molte occasioni i partecipanti riportavano gravi ferite o andavano incontro perfino alla morte.

Le corse raggiunsero un alto grado di popolarità in Spagna e gli aurighi di questa provincia, come anche i loro cavalli erano famosi in tutti gli angoli dell’Impero. Uno dei più importanti fu l’ispanico Gaio Apuleio Diocle (II secolo d.C.). Alla fine della sua carriera, aveva vinto 1.462 gare e aveva accumulato una fortuna di 35.863.120 sesterzi.

 

Ludi Scenici: Spettacoli delle arti drammatiche

Mosaico di “Musici erranti” realizzato da Dioscorido di Samo nella Villa di Cicerone, Pompei. Museo Archeologico di Napoli

Gli spettacoli teatrali a Roma ebbero una notevole importanza grazie all’influenza ellenistica della Magna Grecia, soprattutto dopo la conquista di Tarentum nel 272 a.C., con l’assimilazione di tragedie e commedie greche.

Inizialmente, i luoghi utilizzati per le rappresentazioni teatrali erano temporanei o improvvisati. Nel 55 a.C. fu costruito il primo teatro in pietra, che poteva ospitare 20.000 spettatori, il Teatro di Pompeo. Le dimensioni della scaena e della frons scaneae sono simili a quelle greche. L’orchestra è semicircolare, a differenza dei Greci. Inoltre, i Romani, maestri di ingegneria, costruirono i teatri utilizzando archi, volte e gallerie sempre semicircolari che mettevano in comunicazione tutti gli spazi del recinto.

Sezione di un teatro romano

Gli attori romani indossavano la toga praetexta e le scene erano accompagnate da musica ed effetti; inoltre, si usavano maschere per esprimere i sentimenti del personaggio. Esistevano anche vari generi, sebbene il preferito dalla plebe romana fosse la commedia. Autori importanti in questo genere furono Plauto e Terenzio.

I dialoghi delle commedie seguivano un metro specifico e una parte di esse era cantata (cantica), l’altra invece dialogata (divervia). Erano previsti anche intermezzi di danza (embolia) e farse finali (exodia).

Questi spettacoli potevano essere pubblici, organizzati dallo Stato, o privati, pagati da un patrizio.

Generi teatrali

  • Mimo e pantomima: genere teatrale in cui l’attore danza e interpreta la storia attraverso i gesti, senza parlare. Per completare lo spettacolo c’erano altri attori o musicisti persone che cantavano e suonavano strumenti musicali.
  • Tragedia: dal tono solenne, aveva solitamente come protagonisti dèi ed eroi. Il coro è sostituito da degli attori, che cantavano alcune parti dell’opera. Inoltre, conteneva un carattere imponente e un linguaggio nobile. Uno dei suoi massimi esponenti di questo genere fu Seneca.
  • Commedia: opere dal tono satirico che si rivolgevano principalmente alla gente comune, quindi usavano a volte un linguaggio leggero e sboccato. Spiccavano come autori del genere Plauto e Terenzio, le cui opere avevano anche uno scopo didattico. La commedia aveva diversi sottogeneri come la favola trabeata (che ritraeva i nobili romani), la favola togata (su temi e personaggi romani) e la favola palliata (commedia su soggetto greco).
  • Citarodia: gare di canto e poesia in cui gli esecutori erano accompagnati da una cetra. Era un fatto comune che venissero cantati frammenti di tragedie, come oggi nei concerti di canto lirico si eseguono le arie delle opere più famose. Curiosamente, l’imperatore Nerone era un fervente estimatore di questo genere, arrivando a tenere recital che duravano persino delle ore, durante i quali le porte venivano chiuse per impedire alle persone di uscire dai locali. Secondo Svetonio, in questi recital alcuni partecipanti si gettarono giù dagli spalti e capitava che le donne incinte partorissero nel teatro stesso perché non potevano andarsene nel bel mezzo dello spettacolo.
  • Atellana: originario dalla città osca di Atella. Erano per lo più farse improvvisate eseguite in tono satirico. In esse si alternavano strofe e prosa e gli attori usavano maschere. A questi spettacoli, spesso considerati osceni, assistevano solo gli uomini.
  • Tetimomo: genere di spettacoli coreografici acquatici, il cui nome è dato dalla dea del mare, Teti. Venivano rappresentati nella parte dell’orchestra che veniva inondata per questo scopo. Capitava molto spesso di vedere dei nudi femminili in questo genere di esibizioni.

La demagogia al potere

All’inizio, l’aristocrazia e i ceti altolocati in genere della società romana, disprezzavano i giochi, giudicati incompatibili con le virtù del vero cittadino romano: moderazione e autodisciplina. Quindi, nei loro primi allestimenti, non si aveva alcun riguardo per le comodità del pubblico. Ad esempio, negli spettacoli di combattimenti tra gladiatori non erano previsti posti a sedere.

Oltre a ciò, dopo aver allestito le arene temporanee per questi combattimenti, esse veniva smontate subito in tutta fretta, anche perché potevano trasformarsi in luoghi per adunanze sediziose del popolo. Tuttavia, i giochi furono un formidabile strumento di controllo delle masse; in primo luogo perché rafforzavano il sentimento religioso e poi perché fornivano un luogo di libero sfogo per la folla che, distraendosi, evitava così di riservare le proprie energie per qualche sommossa di tipo sociale (il circo e non la religione era l’oppio dei popoli a quell’epoca).

Proprio durante la seconda guerra punica, uno dei momenti più terribili della storia romana, i giochi pubblici divennero sempre più importanti, perché serviva una formidabile arma di distrazione di massa. Inoltre, se finanziavi i giochi, ti eri praticamente guadagnato il favore di un nutrito gruppo di potenziali elettori, così, durante la tarda Repubblica, uomini come Silla e Cesare si resero presto conto che l’organizzazione di giochi gratuiti per la folla a loro spese avrebbe aumentato la loro popolarità.

Gli imperatori seguirono lo stesso esempio, così come i politici locali di ogni parte dell’Impero e tutto divenne una gara nella gara: ognuno dei contendenti metteva mano al portafogli per finanziare giochi sempre più spettacolari, cercando di ottenere maggiori vantaggi politici e popolarità. Un po’ come i presidenti delle squadre di calcio di oggi, che spesso hanno interessi in politica, se non sono politici essi stessi, nella finanza e nell’industria: avere una squadra di calcio che vince molti titoli, nazionali ed internazionali, e comprare i migliori giocatori o il migliore allenatore sul mercato, è un investimento sulla propria immagine e sul proprio potere di influenzare la folla – e così sulla possibilità di poter spostare questa stessa influenza da una parte politica all’altra, a seconda delle proprie esigenze – che non ha eguali.

Tutto ciò comporta però un abbrutimento generale delle masse e la diffusione di un complessivo decadimento morale, ragion per cui, successivamente, si griderà alla morte delle “virtù propriamente romane”, calpestate per accattivarsi la folla. Ma allora come oggi, senza i giochi, sarebbe stato difficile, per non dire impossibile, contenere l’impeto irrazionale delle masse.

«La follia è qualcosa di raro nei singoli individui – ma nei gruppi, nei partiti politici, nei popoli, nelle epoche essa è la regola.»

(Friedrich Nietzsche, da Al di là del bene e del male)

 

 

Le Venationes

Mosaico con scena di caccia

Le Venationes erano un altro dei principali spettacoli pubblici che facevano parte dei ludi. La loro origine era sacra, poiché si svolgevano solo in occasione di feste religiose. Gli altri ludi erano il circo, gli scaenici (già citati), le naumachie e gli spettacoli gladiatori. Questi ultimi, tuttavia, potevano essere pagati dallo Stato o da un privato.

I giochi venatori si svolgevano nell’anfiteatro al mattino, iniziando essi all’alba secondo la testimonianza di Svetonio (ludi matutini). Sebbene fossero soliti precedere gli spettacoli gladiatori, la prima delle venationes si tenne a Roma nel 186 a.C. per celebrare la vittoria sugli Etoli, ottant’anni prima dell’introduzione dei primi combattimenti gladiatori.

I combattenti che vi partecipavano erano noti come venatores o bestiarii. Grazie all’ampia estensione dell’impero si potevano trovare animali come leoni, tigri, elefanti, rinoceronti, orsi, coccodrilli, giraffe o ippopotami. Allo stesso modo, possiamo trovare diversi tipi di venationes:

  • Esibizioni con animali esotici addestrati, simili a quelli dei circhi di oggi.
  • Cacce agli animali selvatici con coltelli e spade. In queste cacce venivano spesso utilizzati anche i cani.
  • Combattimenti all’ultimo sangue tra animali selvatici. Prima dello spettacolo venivano pungolati per aumentarne l’aggressività. Venivano anche legati a coppie e venivano lanciati contro di loro dei pupazzi di stoffa rossa, frecce o del fuoco, il tutto per aizzarli meglio.
  • Scontri tra venatores e bestie selvatiche. Animali selvatici come leoni, orsi o tigri combattevano contro persone equipaggiate come gladiatori.
  • Esecuzioni (damnatio ad bestias). Alcuni prigionieri erano condannati a morire sotto le fauci delle bestie selvatiche. Questa era il tipo di punizione diventata tristemente celebre durante le persecuzioni dei cristiani.

Un mosaico proveniente da una villa romana nell’East Yorkshire, in Inghilterra, chiamata Rudston, mostra varie scene di lotta in un anfiteatro, comprese le venationes con bestie selvatiche. Uno dei leoni è chiamato Omicida, che significa appunto “colui che uccide gli uomini” (da cui la parola “omicidio”). Quasi certamente si tratta di un’immagine di un leone realmente esistito e famoso, che veniva esibito in un’arena da qualche parte e che il mosaicista o il proprietario della villa conoscevano di certo. Mosaici come questo erano particolarmente popolari nel Nord Africa, e probabilmente anche questo di cui parliamo proviene da lì.

La caccia agli animali feroci, come già detto, costituiva l’inizio della giornata dei giochi nell’arena. Durante i giochi inaugurali del Colosseo, nell’80 d.C., furono uccisi ben 5.000 animali in un solo giorno.

Dopo la conquista della Dacia, Traiano (98-117 d.C.) organizzò nell’anno 107 un combattimento di 11.000 animali nell’arena. La totalità di esse fu uccisa, anche se si trattava di bestie mansuete.

Per celebrare il millesimo anniversario della fondazione di Roma, nel 247 d.C., l’imperatore Filippo l’Arabo (244-249 d.C.) organizzò un’esibizione speciale che comprendeva (tra gli altri): 60 leoni, 40 cavalli selvaggi, 32 elefanti, 6 ippopotami e un rinoceronte.

 

Una delle attrazioni principali era proprio l’utilizzo di animali esotici, che metteva in mostra l’incredibile controllo che Roma esercitava su una così vasta gamma di territori. Leoni, rinoceronti e giraffe erano scomparsi da tempo dall’Europa, ma nell’antichità il Nord Africa ne era molto più fornito rispetto ad oggi.

Una volta che i Romani ebbero il controllo di tutto il Nordafrica, ebbero anche accesso a una fauna selvatica che oggi non potrebbe più vivere lì, anche se i Romani non avessero fatto un ottimo lavoro per decimarla in quei territori.

Vennero infatti inviate spedizioni per catturare questi animali selvatici e trasferirli nei porti del Nordafrica, da dove potevano essere spediti a Roma. Naturalmente, era impossibile rifornire ogni singola arena con un flusso costante di animali selvatici africani, quindi probabilmente la maggior parte delle arene di provincia dovette accontentarsi di animali meno eccitanti come lepri, lupi e cinghiali.

Gli animali erano tenuti in gabbie nelle camere sotterranee del Colosseo e alimentati con bestiame e, almeno una volta, sotto Caligola, gli furono dati in pasto anche dei criminali.

Il giorno dei giochi, le bestie venivano portate sopra, nell’arena, a fare il loro lavoro. A volte si trattava per loro  – letteralmente – di prede facili, soprattutto quando l’intrattenimento offerto era l’esecuzione di criminali o di altri indesiderabili.

Sebbene un modo semplice per ottenere uno spettacolo fosse quello di mettere gli animali l’uno contro l’altro, questo non rendeva possibile un intrattenimento coordinato e organizzato. Per scaldare gli animi e dare il via a un’azione vera e propria, venivano inviati nell’arena cacciatori di animali specializzati per entusiasmare le folle.

Proprio come i gladiatori, questi venivano selezionati tra i criminali, gli schiavi e i prigionieri di guerra. Erano chiamati appunto venatores (“cacciatori”), aiutati dai bestiarii (“combattenti di animali”, derivato da bestia, “animale selvaggio”), ma questi non erano proprio così popolari come i gladiatori. Giulio Cesare fu il primo a introdurre nell’arena un modo particolare per uccidere i tori. I cacciatori cavalcavano i cavalli accanto ai tori in corsa e poi li uccidevano torcendo loro la testa con le corna.

Le battaglie

A Roma, l’epica derivava dai grandi racconti di battaglie eroiche e dal mito, quindi le esibizioni più spettacolari nell’arena derivavano da rievocazioni di questi grandi eventi o erano semplicemente inventate per il gusto della novità.

Giulio Cesare organizzò una finta battaglia tra due eserciti. Ognuno aveva 500 soldati, 20 elefanti e 30 cavalieri. Inoltre, organizzò una finta battaglia navale, allagando un’arena e facendo arrivare navi con due, tre e quattro banchi di remi, ognuno dei quali era presidiato da una squadra di soldati.

Le navi rappresentavano le flotte rivali dell’Egitto e della città di Tiro. L’evento fu così popolare che la gente accorse da lontano per assistere allo spettacolo, arrivando persino ad accamparsi ai bordi delle strade per assicurarsi una buona visuale il giorno stesso.

Nerone inscenò una battaglia navale con finti mostri marini che nuotavano tra le navi. Ma ebbe un’idea ancora migliore per rendersi il più popolare possibile. Istituì i Ludi Maximi, “i più grandi giochi”, e organizzò una serie continua di doni gratuiti per tutto il giorno, che andavano da 1.000 uccelli a cibo, dai metalli preziosi e i gioielli fino alla distribuzione di navi, di case e fattorie.

Naumachie

La naumachia, lett. "battaglia navale", che l'Imperatore Augusto approntò davanti ad un'immensa folla accorsa da tutta Roma (dipinto di Ulpiano Checa, 1894)
La naumachia, lett. “battaglia navale”, che l’Imperatore Augusto approntò davanti ad un’immensa folla accorsa da tutta Roma (dipinto di Ulpiano Checa, 1894)

Le naumachie erano simulazioni di combattimenti navali (la parola naumachia in latino si traduce letteralmente con “combattimento navale”). Questi spettacoli non erano molto frequenti, poiché la loro realizzazione era estremamente costosa. Erano anche tra i più sanguinosi, arrivando essi a coinvolgere migliaia di uomini.

La prima naumachia di cui si abbia notizia fu tenuta da Giulio Cesare nel 46 a.C., si ritiene in una piscina costruita nel fiume Tevere. Augusto tenne la successiva, in un lago artificiale sulla riva destra del Tevere, alla quale parteciparono più di 30 navi e 3.000 uomini. Anche l’imperatore Claudio sponsorizzò uno di questi spettacoli sul lago del Fucino, nell’anno 52.

Altri imperatori, come Tito Flavio Domiziano, offrirono al popolo naumachie negli anfiteatri. In particolare, ne organizzò una nel Colosseo a Roma nell’anno 85, anche se non si sa ancora come riuscirono ad allagare gli spazi disponibili. Ne organizzò un’altra nell’anno 89 in una grande vasca circondata da gradini e scavata vicino al Tevere.

Illustrazione della naumachia celebrata da Tito Flavio Domiziano nell’anno 85. Autore: E. Du Pérac (1581)

Certamina Athelarum: competizioni atletiche

Si trattava probabilmente di uno degli spettacoli di minor successo tra la popolazione romana. Consistevano principalmente in gare atletiche in stile greco. In esse si potevano trovare le seguenti modalità:

  • Quinquertium (Pentathlon): giavellotto, lancio del disco, salto in lungo, atletica e lotta.
  • Lampadedromia: gare a squadre. Spesso si svolgevano anche gare in cui i corridori indossavano un equipaggiamento militare completo.
  • Pugilato: si praticava, in principio, con guantoni rudimentali fatti con cinghie di pelle grezza o a pugni nudi. I Romani inserirono anche pezzi di metallo in queste fasce, creando un accessorio sportivo: il caestus.

Esisteva una forma particolarmente cruenta di lotta nota come pancrazio, di origine greca, in cui non c’erano praticamente regole. In questo caso il vincitore doveva far arrendere l’avversario o lasciarlo incapace di continuare a combattere.

Esistevano anche altre competizioni come le corse di cavalli con fantini, le corse dei carri, il lancio del peso, le gare di sprint e le corse sulla lunga distanza.

Munera Gladiatorum: spettacoli di gladiatori

Gli spettacoli gladiatori sono probabilmente la forma di intrattenimento romano più noto e popolare anche al giorno d’oggi. I combattimenti tra gladiatori hanno origini etrusche e risalgono al VI secolo a.C., come usanza unicamente nel corso di celebrazioni funerarie. In origine si svolgevano nell’ambito dei giochi saturnali, intorno al III secolo a.C.

Furono però i Sanniti a sviluppare realmente i combattimenti tra gladiatori. Dopo il 400 a.C. essi raffigurarono tali incontri sulle pareti delle loro tombe, per questo i Romani chiamavano tutti i gladiatori “sanniti”.

Il primo combattimento di gladiatori messo in scena a Roma risale al 264 a.C., quando Decimo Giunio Bruto fece combattere tre coppie di schiavi in onore del padre morto. Si trattava di una sorta di sostituto dei vecchi sacrifici umani.

In seguito, i gladiatori si evolsero in una forma privata di intrattenimento aristocratico, prima di diventare un intrattenimento da botteghino per le masse nelle città dell’Occidente e dell’Africa settentrionale.

Sebbene gli anfiteatri per i combattimenti dei gladiatori fossero molto rari nell’Impero d’Oriente, anche qui dovevano essere utilizzati altri luoghi come teatri o piazze pubbliche per esibizioni dello stesso genere. Efeso, in Asia Minore, non aveva anfiteatri, ma la scoperta di un grande cimitero di gladiatori (gli epitaffi delle tombe e le ferite sulle ossa lo dimostrano) rivela che anche qui i combattimenti tra gladiatori facevano parte dell’intrattenimento locale.

I combattenti erano prigionieri di guerra, liberti e schiavi, o più raramente uomini liberi che rinunciavano ai loro diritti civili di romani per esercitare una professione così pericolosa.

Da spettacolo religioso, divennero poi un evento pubblico e i combattimenti negli anfiteatri erano tra gli intrattenimenti più popolari tra i Romani.

Inoltre, i gladiatori venivano addestrati nelle cosiddette scuole laniste (di vecchi gladiatori), gestite da uomini d’affari, e sottoposti a un rigoroso addestramento. Allo stesso tempo, questi lanisti erano i padroni e i datori di lavoro dei gladiatori, che li vendevano, li affittavano e pagavano i loro salari. Allo stesso modo, i gladiatori potevano guadagnare premi di combattimento equivalenti allo stipendio annuale di un maestro e molto più del legionario medio, che nel III secolo guadagnava 15.400 denari all’anno.

Le scuole laniste non erano le uniche a possedere gladiatori. Con la fama acquisita, era frequente che privati facoltosi possedessero anche essi dei gladiatori.

Il combattimento dei gladiatori era un’attività sportiva lucrosa e di grande richiamo che attirava le folle, quindi serviva una formazione professionale. Venivano scelti solo gli uomini con un serio potenziale di combattimento. L’allenamento era duro, ma i gladiatori erano ben nutriti e allenati al massimo della forma fisica. Pompei aveva una scuola di gladiatori grande e ben arredata, che fu seppellita dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Vi perirono oltre 60 gladiatori, ma fu trovata anche una vittima inaspettata. Sono stati recuperati infatti, i resti di una donna aristocratica che, a quanto pare, si era fermata per fare sesso con uno dei gladiatori, ma evidentemente, proprio sul più bello, avvenne il cataclisma (non c’è che dire, almeno per loro due fu un incontro hot in tutti i sensi). Questo ci ricorda che i gladiatori di successo erano incredibilmente popolari sia per quello che facevano nell’arena…sia a letto.

I gladiatori

 

La parola “gladiatore” deriva dalla parola latina che indica la spada, gladius, quindi significa letteralmente “spadaccino”. Il modo migliore per convincere un uomo a combattere fino alla morte era usarne uno che non avesse nulla da perdere, per questo gli schiavi, i criminali e i prigionieri di guerra erano i candidati perfetti.

Se uno riusciva a diventare davvero bravo come gladiatore, poteva continuare a vivere e ottenere la libertà. Nel complesso, era un’offerta che non si poteva rifiutare, anche se le probabilità di sopravvivere, diciamolo pure, non erano particolarmente buone.

Gli schiavi non erano gli unici gladiatori, tuttavia. Anche alcuni uomini liberi si offrivano volontari, soprattutto se erano sfortunati. Nerone (54-68 d.C.), uno degli imperatori diciamo più “originali” della storia e dotato di un discutibile senso dell’umorismo e dello spettacolo, una volta ordinò che 400 senatori e 600 equestri combattessero l’uno contro l’altro come gladiatori. Questo era un modo senza dubbio per umiliarli, ma la folla romana pensò che fosse uno spettacolo estremamente divertente. Allora come adesso, la gente non amava senatori, deputati e in generale uomini di potere. Infatti, chi non desidererebbe anche oggi vedere i politici che ci comandano combattere a morte l’uno contro l’altro solo per il nostro divertimento?

Ma tornando agli imperatori e al loro rapporto con i gladiatori e le stravaganze, sotto questo aspetto, il più famoso o famigerato di tutti fu probabilmente l’imperatore Commodo (180-192 d.C.), che era un vero esperto e un campione di combattimenti tra gladiatori (anche perché ovviamente un imperatore non può mai perdere un bel niente: che si tratti di una partita a dadi o di un duello all’arma bianca. Infatti, nell’improbabile rovesciamento di un pronostico scontato, il presunto “vincitore” non avrebbe il tempo materiale per andare certo a vantarsene in giro, soprattutto se i perdenti si chiamano Nerone, Caligola o Caracalla). Commodo dichiarava fieramente di aver combattuto 735 volte senza essersi mai ferito e di aver sconfitto 12.000 avversari. Gli piaceva vincere facile, eh?

 

La lotta

Prima della sera, i gladiatori arrivavano ​​sul luogo dello scontro, armati e con la corazza, dopo aver precedentemente sfilato per la città. Subito dopo, eseguivano una simulazione di combattimento con armi di legno o finte nell’arena, per iniziare poi un vero duello con armi autentiche una volta suonato il corno che dava inizio al combattimento stesso.

Gli organizzatori sceglievano i gladiatori che si sarebbero affrontati di volta in volta e i guerrieri, una volta designati, saltavano nell’arena. Dopo il combattimento, il pubblico doveva decidere se risparmiare la vita allo sconfitto: c’era chi alzava il pollice per salvarlo o lo abbassava a significare che lo sconfitto doveva essere giustiziato. Nonostante questo, vale la pena ricordare che solo uno su dieci gladiatori moriva tra le sabbie del circo.

Durante il Basso Impero, solo l’imperatore o l’organizzatore dei giochi avevano il potere di risparmiare la vita allo sconfitto. Allo stesso modo, solo uno di loro poteva consegnare al Gladiatore una spada spuntata, il che significava che egli era un uomo libero e poteva abbandonare la carriera del combattente.

I vincitori venivano premiati con corone ornate di nastri, palme e una ricompensa in denaro. Coloro che erano morti venivano trascinati nello spolarium dagli schiavi, dove venivano appunto spogliati delle armi e dei vestiti, prima di essere portati fuori attraverso la cosiddetta porta della morte.

Tipi di gladiatori:

I vari tipi di gladiatori si distinguevano secondo il loro equipaggiamento o secondo la loro modalità di combattimento:

    • Sannita: il loro nome derivava dall’armamento che Roma prese da questo popolo. Erano dotati di un grande scudo oblungo, di un elmo con visiera e di un cimiero o una cresta con piume. Portavano anche una spada corta, uno schiniere sulla gamba sinistra e un bracciale di cuoio o metallo che copriva il braccio destro e parte della spalla destra.
    • Murmillo (Mirmillone in origine Sannita): indossavano un elmo a bordi larghi con una grande cresta che dava loro l’aspetto di un pesce. Inoltre, indossavano una tunica corta con un’ampia cintura, uno schiniere sulla gamba sinistra, portavano un gladio o una spada corta e avevano lo scudo rettangolare e ricurvo tipico del legionario romano. Avevano anche uno scudo sul braccio destro e, a volte, erano forniti di un’armatura completa.
    • Traci: erano dotati di un piccolo scudo rettangolare e ricurvo e di un pugnale anch’esso ricurvo detto sica da cui il termine “sicario” ad indicare un assassino su commissione. Avevano schinieri su entrambe le gambe, una corazza sulla schiena e una protezione sul braccio che portava la spada. Indossavano una corta tunica con un’ampia cintura e sul capo portavano un elmo con visiera, un pennacchio laterale e un’alta cresta.
    • Secutores: armati di uno scudo rettangolare ricurvo, di una spada corta e dritta, dotati di un elmo pesante con piccoli fori per gli occhi e un’armatura su un braccio. Erano una derivazione del murmillo ed erano pensati per combattere con i reziari. Il nome significa “inseguitore”. I secutores erano originariamente basati sui guerrieri sanniti
    • Reziari: erano dotati di una rete, un tridente e un pugnale. Inoltre, indossavano una corta tunica con un’ampia cintura, avevano la testa scoperta e portavano uno scudo sul braccio sinistro. Combattevano lanciando la rete contro gli avversari per immobilizzarli e trafiggerli con il tridente, finendoli poi con il pugnale, che usavano anche per tagliare la rete.
    • Laquearii: scarsamente armati di lazo, avevano una tecnica di combattimento simile a quella dei reziari.

Altri gladiatori

  • Hoplomachus: dotati di un’armatura abbastanza completa con corazza, schinieri ed elmo con visiera. Le loro armi erano una lancia e uno scudo circolare simile all’equipaggiamento degli opliti.
  • Sagitarius: Combattevano con archi e frecce
  • Equites: combattevano tipicamente a cavallo. Indossavano un elmo con visiera chiusa ed erano armati di uno scudo circolare e di una lancia detta spiculum.
  • Scissor si distinguevano per l’uso di un’arma molto caratteristica chiamata forbice romana, un tubo di acciaio temprato in cui veniva inserito l’intero braccio e che aveva a un’estremità un altro tubo con una lama semicircolare. Portavano un elmo chiuso con visiera e una piccola spada dritta.
  • Essedarii: erano coloro che combattevano sui carri. Furono introdotti da Giulio Cesare e cercarono di emulare lo stile di combattimento dei Bretoni.
  • Andabatae: erano costretti a combattere indossando un elmo con una visiera senza fori.
  • Dimachaerus: probabilmente il famoso Spartaco apparteneva a questo tipo di gladiatori. Erano equipaggiati con due spade e avevano schinieri su entrambe le gambe. Anche le braccia erano protette e indossavano un’ampia cintura.
  • Provocatores: erano dotati di una spada, uno scudo e un elmo con due visiere senza tesa per evitare di essere vulnerabili ai retiarii. Potevano anche indossare una corazza e di solito erano loro a iniziare gli spettacoli serali nell’anfiteatro.

Contrariamente a quanto si credeva un tempo, è stata dimostrata l’esistenza anche di gladiatrici.

Temuti quasi quanto le legioni

Giulio Cesare organizzò un’esibizione di 320 coppie di gladiatori per commemorare il padre morto, ma sapeva perfettamente che ciò avrebbe impressionato la gente e accresciuto il proprio sostegno popolare. I suoi nemici erano assolutamente terrorizzati al pensiero che 640 assassini addestrati fossero sul libro paga di Cesare (640 gladiatori erano un numero maggiore di una coorte di legionari, che era composta da composta da 480 soldati) e approvarono prontamente una legge che limitava il numero di gladiatori che potevano essere utilizzati in una sola volta.

La rivolta degli schiavi guidata da Spartaco nel 73 a.C. ebbe inizio in una scuola di addestramento per gladiatori: ricordiamo che questi erano uomini che sapevano usare bene le armi, non avevano nulla da perdere e terrorizzavano l’Italia .

Gli spettacoli gladiatori erano pubblicizzati in anticipo per suscitare un’eccitazione che raggiungeva poi il livello massimo il giorno stesso. Un annuncio dipinto sulle mura di Pompei annunciava che quell’anno, dall’8 al 12 aprile, 30 coppie di gladiatori avrebbero combattuto ogni giorno, insieme a una caccia agli animali.

Pollice verso e i morituri te salutant

Nel Colosseo, i gladiatori sfilavano e si presentavano davanti all’imperatore annunciando Ave Imperator, morituri te salutant (“Salve imperatore, coloro che stanno per morire ti salutano!”).

Il culmine di ogni incontro era quando un gladiatore era a terra. A quel punto la decisione spettava alla folla. Se il combattimento era stato noioso e fiacco, si gridava Jugula, “Uccidilo”, ma se entrambi avevano combattuto bene, si gridava Mitte, “Lascialo andare”.

L’ultima parola spettava all’uomo che aveva organizzato i giochi. Se il gladiatore abbattuto veniva risparmiato, il combattimento continuava. Nel frattempo, il fortunato vincitore riceveva denaro e una foglia di palma, un simbolo di vittoria che risaliva ai Greci, quando gli uomini gareggiavano nello sport solo per l’onore di parteciparvi.

Se un gladiatore era stato particolarmente bravo, riceveva il premio finale: una spada di legno, simbolo della sua libertà. Incredibilmente, alcuni gladiatori anche dopo essersi guadagnati la libertà continuarono a combattere, forse perché non sapevano fare altro.

Pollice verso o verso pollice è un’espressione latina , che significa “con il pollice in basso”, usata nei combattimenti tra gladiatori. Si riferisce al gesto usato dalle folle nell’antica Roma per decretare la sconfitta di un gladiatore e il suo destino.

Le fonti sul gesto sono scarse e contraddittorie. Le Satire di Giovenale («verso pollice vulgus cum iubet») sembrano dare spazio all’interpretazione comune, ma le fonti storiche non parlano chiaramente di questo segno.

Il poeta latino Prudenzio usa il verbo convertere. Altre espressioni sono pollicem premere​ e pollex infestus.

In realtà il problema sta nel significato da dare all’espressione “verso pollice” o “converso pollice”, cioè se bisogna intendere che il giro del polso dovesse essere fatto con il pollice verso l’alto o verso il basso. È probabile che con “Pollex Versus” si intendesse che con il pollice orizzontale si rappresentasse la posizione assunta dal gladiatore quando questi doveva ricevere il “colpo di grazia”. Pertanto, sembra ragionevole pensare che il pollice in giù non significasse la morte del gladiatore. Contrariamente a quanto spesso viene mostrato nei film, per che l’uomo a terra dovesse morire, si usava il pollice puntato verso l’alto o in orizzontale, in quanto è un gesto che ricorda l’atto di sguainare una spada. Al contrario, il gesto di inserire il pollice nel pugno (spada rinfoderata) salvava la vita al gladiatore che era stato sconfitto. Nel 1997, nel sud della Francia, è stato scoperto un medaglione romano del II o III secolo, che mostra in tribunale un giudice con il pollice inserito in un pugno chiuso, vicino a due gladiatori, con l’iscrizione “coloro che stanno in piedi saranno liberati”. 

L’origine dell’equivoco deriva dal dipinto Pollice verso (1872) di Jean-Léon Gérôme, la cui errata interpretazione ha finito per rendere popolare un significato diverso del gesto. Anche tutto il “cinema romano”, come si può osservare in film come Quo vadis (1951), Ben Hur (1959) o Il Gladiatore (2000), ha contribuito al consolidamento di questa credenza nella cultura popolare.

(Libera rielaborazione da https://archivoshistoria.com/espectaculos-antigua-roma/, con aggiunte e integrazioni da The Romans For Dummies di Guy de la Bédoyère – 2006, dalle edizioni in varie lingue di Wikipedia e da altre fonti)

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