Il potere era l’elemento più importante nella società romana, per cui si posero presto tre problemi: Come si raggiunge il potere? Come si mantiene? E, cosa più importante, come si esercita il potere?
I romani avevano un sistema di misure e contromisure, basato su vari tipi di assemblee e sulla mancanza di un’unica magistratura. Questo sistema combinava le caratteristiche della monarchia (magistrati), dell’oligarchia (Senato) e della democrazia (assemblee del popolo).
Sembra un paradosso, ma è per evitare la tirannia, che i romani crearono la figura del dittatore. Un dittatore era un magistrato temporaneamente eletto a cui veniva conferita un’autorità assoluta, ma solo quando veniva dichiarato lo stato di emergenza. Quindi “l’uomo forte” arrivava quando ce ne era bisogno e quando il pericolo era passato, si tornava alle regole della Repubblica. Con un monarca assoluto o un tiranno, la situazione sarebbe stata invece irreversibile. Tuttavia, altro paradosso, fu proprio la dittatura che portò di nuovo alla tirannia. Infatti, con l’aiuto dei suoi soldati fedeli, un generale poteva aggirare tutte le protezioni del sistema repubblicano, come dimostrano i casi di Mario e Silla. Diventando dittatore a vita, Giulio Cesare decretò la morte definitiva della Repubblica e pose le basi per un regime in cui un solo uomo, l’imperatore, avrebbe detenuto il potere supremo nel quadro delle istituzioni repubblicane.
Assemblee politiche
Le assemblee romane erano un gruppo di organi politici che svolgevano una varietà di funzioni, tra cui l’elezione di magistrati, l’approvazione di leggi e la risoluzione di controversie. Le assemblee erano divise in base al loro status sociale, con i patrizi che avevano più diritti dei plebei.
Il Senato era l’assemblea più importante ed era composto da membri nominati a vita. Il Senato aveva il potere di approvare le leggi e di consigliare i magistrati.
Il concilium plebis tributum era un’assemblea popolare che era aperta a tutti i cittadini romani, indipendentemente dal loro status sociale. Esso aveva il potere di approvare leggi che si applicavano solo ai plebei, e poteva anche votare le leggi approvate dal Senato.
Le assemblee romane erano un importante strumento di governo a Roma. Contribuirono a mantenere la pace e la stabilità della città, e aiutarono a garantire che i diritti di tutti i cittadini fossero protetti.
Comitia curiata
(“Assemblea delle divisioni”)
I comitia curiata (dal latino com-eo, radunarsi e co-viria = gruppo di uomini) erano erano la più antica delle assemblee romane e svolgevano un ruolo importante nel governo della città durante il periodo monarchico. Tuttavia erano privi di vere e proprie funzioni deliberative.
Erano composti da 30 curiae (cioè dieci curie per tribù), che erano gruppi di 100 famiglie delle prime tre tribù patrizie (Ramnes, Tities e Luceres) raggruppate in gentes. Ogni curia era guidata da un curio, che era un sacerdote. I comitia curiata si riunivano sul Palatino, uno dei sette colli di Roma.
Essi riunivano i cittadini romani , a loro volta divise in trenta curiae composte da famiglie
I comitia curiata ratificavano la scelta del re – dopo il parere favorevole del Senato, approvavano le leggi, nominavano i magistrati e dichiaravano la guerra. I comitia curiata avevano inoltre la facoltà di giudicare i criminali.
Durante il periodo repubblicano, il potere dei comitia curiata diminuì. Tuttavia, continuarono a svolgere un ruolo importante nel governo della città. I comitia curiata eleggevano i consoli, i pretori e i censori. Continuavano poi ad approvare le leggi e a dichiarare guerra.
I comitia curiata furono infine aboliti nel IV secolo d.C.
Comitia centuriata
(“assemblea delle centurie”)
Il Comitia Centuriata era un’altra importante assemblea politica nella Repubblica Romana, responsabile dell’elezione dei magistrati e con la facoltà di votare sulle leggi proposte. Questa assemblea, conosciuta anche come “assemblea delle centurie”, rifletteva la struttura militare della società romana e rappresentava una delle principali forme di partecipazione democratica nel mondo antico.
Origini e Struttura
I Comitia Centuriata traevano le loro origini dai tempi in cui Roma era ancora una società prevalentemente agricola e militare. Oltre ai cavalieri, le trentacinque tribù del popolo romano comprendevano cinque (classi) organizzate in base alla ricchezza e suddivise in unità di cento fanti chiamate centuriae, unità militari formate principalmente da fanti, suddivise in base alla capacità dei suoi soldati di equipaggiarsi (cioé ancora una volta dalla ricchezza): la prima era composta da uomini con armatura completa, spada e lancia, mentre l’ultima riuniva i cittadini meno agiati e con minori risorse militari.
Queste centurie costituivano il corpo elettorale dell’assemblea. In pratica, le prime due classi generalmente si coalizzavano per escludere le altre dal voto. Questo sistema risale alle origini di Roma; in seguito, in epoca imperiale, la divisione in tribù ebbe solo un valore formale.
Funzioni
Il principale compito del Comitia Centuriata era l’elezione dei magistrati, in particolare dei consoli, che erano i massimi dirigenti politici e militari di Roma. Ogni anno, i cittadini si riunivano in questa assemblea per votare i candidati ai vari uffici pubblici. Le prime classi ottenevano la maggioranza di voti, il che significa che spesso le loro preferenze determinavano l’esito delle elezioni.
Oltre all’elezione dei magistrati, i Comitia Centuriata avevano il potere di ratificare le leggi proposte dai magistrati e di votare su questioni di importanza nazionale, come dichiarare guerra o ratificare trattati internazionali. Questo rendeva l’assemblea un organo fondamentale per il funzionamento della Repubblica Romana.
La Transizione all’Impero
Con il passare del tempo, il potere politico e militare delle classi inferiori diminuì, mentre l’élite aristocratica acquisì sempre più il controllo. Con l’avvento dell’Impero, anche i Comitia Centuriata persero gradualmente la loro importanza politica, poiché l’imperatore deteneva un potere sempre maggiore sulle decisioni statali.
Tuttavia, nonostante la loro progressiva riduzione di ruolo, i Comitia Centuriata continuarono a svolgere funzioni cerimoniali e formali durante i primi secoli dell’Impero. Fino a Costantino il Grande, i Comitia Centuriata furono un organo di rappresentanza dell’antica tradizione romana, anche se le loro decisioni non avevano più un impatto significativo sulla politica del tempo.
Il concilium plebis tributum
(“consiglio plebeo organizzato su base tribale”)
Il concilium plebis tributum era un’assemblea popolare dell’antica Roma, composta da 35 tribù. Fu fondato nel 471 a.C. dai plebei, che erano la classe sociale inferiore a Roma. Il Consiglio della Plebe, formato dai comitia tributa (equivalente plebeo dei comitia curiata descritti in precedenza), aveva il potere di approvare leggi (plebiscita), eleggere i tribuni della plebe (tribuni plebis) e i loro assistenti, gli aedili della plebe (aediles plebii), e di giudicare i criminali.
I tribuni, gradualmente estesero il loro potere fino a poter agire a piacimento con il pretesto di difendere gli interessi del popolo.
Il potere dei tribuni
I tribuni della plebe (tribunus plebis), istituiti nel 494 a.C., avevano il potere di intercedere a favore di qualsiasi plebeo oppresso dal patriziato. Questo potere era molto importante perché i tribuni potevano bloccare l’elezione di un magistrato, autorizzare o sospendere la mobilitazione delle truppe e persino bloccare le azioni del Senato. I tribuni usarono questi poteri per porre fine allo strapotere dei patrizi. Nel 367 a.C., il consolato fu finalmente aperto alla plebe
Purtroppo la lotta tra le diverse fazioni rivali, vedrà i tribuni trasformarsi progressivamente in demagoghi ed essi finiranno per causare il caos politico che porterà alla fine della Repubblica.
Il potere dei tribuni si indebolì notevolmente durante il regno di Silla, prima di essere ripristinato da Crasso e Pompeo. Il loro esilio, ordinato dal Senato, servì a Cesare come pretesto per attraversare il Rubicone e marciare su Roma nel 50 a.C.
Il diritto di veto del tribuno della plebe
In latino, la parola veto significa “mi oppongo”. Quando il tribuno ritiene che una legge o un decreto di un magistrato sia contrario agli interessi o alle libertà del popolo, può opporsi attraverso il suo diritto di intercessione (jus intercessionis), che non ha alcuna base giuridica ma è giustificato dall’indefettibile protezione e sostegno che la plebe dà al suo rappresentante. In altre parole, quando il tribuno alzava la voce contro un provvedimento, il Senato non poteva permettersi di rimanere sordo. Augusto sfruttò questa onnipotenza del tribuno per arrogarsi il potere supremo, fingendo allo stesso tempo di “restaurare la Repubblica”.
I Tribuni sotto l’Impero
Da Augusto in poi, i tribuni si limiteranno sempre a rispettare la volontà imperiale. L’imperatore stesso assumeva spesso questa carica per ottenere diritti sulla legislazione e sul Senato. Poiché nessuno voleva ricoprire questo titolo a fianco del sovrano, Augusto fu costretto a emanare una legge che prevedeva l’estrazione a sorte dei tribuni tra gli ex mendicanti. La carica continuò ad esistere a Roma e poi a Costantinopoli fino al Vo secolo, anche se ormai non era più che una carica di natura onorifica.
Gli aedili (I consiglieri)
Gli aedili erano funzionari romani che erano responsabili di vigilare le tavolette su cui erano iscritte le leggi del Consiglio della Plebe e i decreti del Senato, conservate nel tempio di Cerere (aedes, da cui deriva la parola aedile, significa “il tempio”), per evitare che i patrizi modificassero queste stesse leggi a loro piacimento.
Verso la fine del V secolo a.C., gli aedili ebbero il potere di effettuare arresti, ricoprire cariche amministrative nella città e controllare l’uso dei fondi pubblici. Il termine latino “plebiscito” (plurale “plebiscita”) è composto da due parole, “plebs” (“la plebe”) e “scitum” (“il decreto”). Da questo termine deriva il nostro “plebiscito”, che è una votazione diretta da parte dell’elettorato su una questione specifica, espressa con un assenso o un rifiuto (i classici Sì e No riportati sulle schede elettorali dei referendum).
Il Senato
Il Senato era un’assemblea di nobili romani che avevano svolto carriere come magistrati. Durante l’era di Augusto, un senatore doveva possedere almeno un milione di sesterzi, mentre i cavalieri ne possedevano solo quattrocentomila.
Le origini del Senato
Il Senato discendeva dall’antico consiglio di anziani (senex significa “il vecchio”) che riuniva i capi dei principali clan (gentes), dava consigli ai primi re e teneva le sue riunioni in una parte del Foro nota come senaculum.
Il Senato fu fondato da Romolo nel 753 a.C. ed era originariamente composto da cento membri. Il numero dei senatori aumentò a trecento alla fine del regno di Tarquinio il Superbo nel 509 a.C. Il Senato aveva un ruolo consultivo e consigliava i re di Roma.
Nel corso degli anni, il Senato fu dominato da poche famiglie ricche e divenne oggetto di forti tensioni durante gli ultimi anni della Repubblica. Le fazioni rivali si contendevano il potere affidandosi ai loro eserciti personali o all’assemblea plebea.
Reclutamento dei senatori
Il Senato fu reclutato principalmente dall’ordine equestre; dopo la guerra civile, Silla scelse trecento cavalieri per farne parte.
Cesare permise agli italici e ad alcuni galli di aderire. Intorno al 29 a.C. contava circa un migliaio di membri, il che indusse Augusto a ottenere il ritiro volontario di centonovanta di loro. Ci si poteva candidare al senato se si riusciva a raccogliere la somma necessaria, come nel caso di Vespasiano che, una volta imperatore, incoraggiò altri uomini a seguire questa strada, arrivando persino a finanziare la loro carriera politica se si fossero dimostrati meritevoli. Nei secoli successivi divennero senatori uomini provenienti da tutto l’Impero. Ci furono senatori di origine gallica, africana, greca e siriana.
I poteri del Senato
Il Senato aveva diversi poteri. Poteva :
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✓ proporre e votare risoluzioni ;
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✓ ratificare trattati ;
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✓ nominare i governatori provinciali;
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✓ dal 121 a.C., dichiarare qualsiasi persona un nemico pubblico e sostenere l’azione dei magistrati contro di essi, cosa che gli permise di instaurare la legge marziale de facto attraverso il senatus consultum ultimum
Pur non essendo un testo legislativo, la risoluzione del Senato (senatus consultum) divenne legge. Era lo strumento di governo preferito dagli imperatori, che lo facevano scrivere sulle loro monete di rame e di bronzo (con la sigla SC) per dare l’impressione che il conio avesse almeno l’appoggio del Senato. Uno dei motti romani, che compare ancora nello stemma della città, è Senatus populusque romanus (SPQR): “Il Senato e il popolo di Roma”.
La curia senatoria sul Foro è uno degli edifici meglio conservati di Roma. Inaugurata da Augusto nel 29 a.C. e ricostruita da Diocleziano nel 284 d.C., poteva ospitare fino a trecento magistrati.
Gli imperatori
Non esiste una carica ufficiale che conferisca all’imperatore un potere assoluto. Da Augusto in poi, la sua autorità si basava su una serie di qualifiche, titoli e onorificenze che, in teoria, seguivano la tradizione delle magistrature repubblicane e giustificavano la sua supremazia sulle assemblee.
Titoli imperiali
Quando Augusto indossò la porpora imperiale nel 27 a.C., si fece conferire i poteri dal Senato per dimostrare che essi non erano stati ottenuti da lui con la forza o la manipolazione. Fino al governo di Diocleziano, tutti gli imperatori si sforzarono di mantenere questa facciata di legittimità, anche se, con il passare del tempo, divenne sempre più chiaro che la loro investitura non era altro che una formalità.
Gli imperatori avevano i seguenti titoli:
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✓ Augusto: nel 27 a.C., il Senato assegnò questo nome a Ottaviano, in onore del quale il mese di sextilius fu poi ribattezzato augustus, origine della parola “agosto”. Significa “santo” o “sacro” e conferisce al primo imperatore una dimensione divina. Fu poi adottato da tutti i suoi successori e venne a contrapporsi al titolo di Cesare, che indicava un sovrano subordinato o un erede della corona.
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✓ Cesare: questo titolo fa parte del patronimico dei primi imperatori giulio-claudi, di cui indica la paternità reale o adottiva (come nel caso di Tiberio) che rimanda al capostipite della famiglia o casata: Giulio Cesare. Dopo il suicidio di Nerone, nel 68 d.C., la dinastia si estinse, ma il nome sopravvisse perché i suoi successori tenevano a mantenere un’apparenza di continuità familiare. Nella Tarda Antichità, l’erede alla carica di solito è il figlio biologico o adottivo dell’augusto. Da Diocleziano in poi il titolo divenne Cesare nobilissimus (“nobilissimo Cesare”).
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✓ Imperator: questo termine significa “comandante” e ha la stessa etimologia di imperium, autorità militare concessa a un uomo dal Senato. Usato come nome di battesimo da Augusto, divenne un titolo solo con Vespasiano. Poiché l’imperatore aveva un potere assoluto, la sua dignità assunse gradualmente un significato più ampio, che si riflette nel significato moderno della parola “imperatore”.
L’imperatore salutava il Senato con la seguente frase: “Se voi e i vostri figli state bene, mi congratulo con voi. Io e le legioni stiamo bene”. Questo era un richiamo al suo ruolo di capo dell’esercito e un modo per esprimere il suo rispetto per la più venerabile delle istituzioni romane.
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✓ Imperium: questo titolo significa “comando militare” o “autorità suprema” e conferisce al suo detentore il controllo delle truppe e il potere giudiziario. Adottato dai primi re nell’antichità, fu poi riservato ai dittatori e ad alcuni magistrati come i consoli e i pretori. Nella Repubblica, fu concesso a uomini come Pompeo Magno. L’imperium era generalmente conferito per un tempo limitato e in misura variabile, a seconda del rango e dell’esperienza del destinatario. Per dare all’imperatore un’ulteriore distinzione, gli veniva conferito l’imperium majus, il “grande imperium“.
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✓ Titoli militari: gli imperatori celebravano le loro imprese belliche scegliendo titoli che spesso richiamavano il luogo delle loro imprese: Traiano celebrò così le sue vittorie contro i Parti e i Daci adottando i soprannomi di Parthicus e Dacicus, mentre Marco Aurelio si fece chiamare Armeniacus in ricordo delle sue campagne armene. Germanicus, invece, era un titolo più generico, riferito all’omonimo generale, padre di Caligola, che si distinse sull’altra sponda del Reno durante il regno di Tiberio.
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✓ Pater patriae: questo titolo, che significa “Padre della Patria”, fu conferito ad Augusto nel 2 a.C. in riconoscimento del suo importante contributo al mondo romano e fu poi portato da molti dei suoi successori.
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✓ Pontifex maximus: l’imperatore era nominato “gran pontefice” a vita, di solito al momento della sua salita al trono – anche se Augusto fu nominato solo nel 13 a.C., quattordici anni dopo la sua investitura imperiale – ciò gli conferiva pieni poteri sulla religione e sulle cerimonie romane. Il suo equivalente moderno più prossimo è senza dubbio il Papa, che porta egli stesso questo titolo.
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✓ Princeps: deriva dalle parole latine primus e capio, e significa letteralmente “colui che occupa il primo posto”. Questo titolo è associato all’espressione primus inter pares, “primo tra gli uguali”, e rende Augusto il primo cittadino di Roma in virtù della sua autorità (auctoritas) e del suo merito (dignitas). Il suo uso continuò anche in seguito e il periodo fino a Diocleziano è oggi noto come principato. Questo termine è, ovviamente, all’origine delle parole “principe” e “principato”.
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✓ Dominus noster: questa espressione si traduce con “nostro padrone” e sostituì gradualmente il titolo di imperatore a partire dal regno di Diocleziano (284 – 305 d.C.), segnando l’avvento del dominato.
Un lavoro con più funzioni
Augusto e i suoi successori assunsero molteplici ruoli, tra cui magistrature come il tribunato, il consolato e la censura, che permisero loro di legittimare il proprio potere fingendo di rispettare le tradizioni repubblicane. Questa fu la chiave della “restaurazione” della Repubblica da parte di colui che in realtà fu il primo imperatore.
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Potere tributivo: Il potere tributario dell’imperatore era la sua prerogativa più importante .Augusto fece del tribuno il fondamento del suo potere: con la scusa di essere il protettore del popolo, godeva di uno status sacrosanto e poteva convocare il Senato o porre il veto su qualsiasi sua decisione. Fu nominato tribuno a vita nel 19 a.C., anche se in seguito continuò a essere investito formalmente ogni anno, e il suo esempio fu imitato da tutti i suoi successori.
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Il consolato. La carica di console era ricoperta solo occasionalmente dagli imperatori, insieme alle qualità che tutti i dignitari romani dovevano possedere: merito, autorità e virtù.
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Censura. Garante del buon costume della città, il censore effettuava il censimento dei cittadini a partire dal 443 a.C. circa. Si trattava di un’antica magistratura repubblicana che perse il suo prestigio alla vigilia dell’Impero prima di essere esercitata da sovrani come Vespasiano (69-79 d.C.) e suo figlio Domiziano (81-96 d.C.).
La successione imperiale
Anche se, a differenza di una monarchia, il regime imperiale non era soggetto a regole ufficiali di successione, Augusto e i suoi pari si adoperarono per nominare un erede adatto, preferibilmente il proprio figlio.
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Il principio ereditario. Poiché Augusto non aveva figli o nipoti che seguissero le sue orme, dovette affidarsi al matrimonio della figlia Giulia, che sposò successivamente con Marcello, Agrippa e il genero Tiberio, per fondare una linea che sopravvisse fino a Nerone attraverso un percorso tortuoso. Da Vespasiano fino al regno di Diocleziano, gli imperatori cercarono di mantenere il principio dinastico, generalmente attraverso l’adozione. In assenza di un successore, veniva proposto come candidato al titolo imperiale l’uomo più qualificato del momento, a meno che non fosse già stato confiscato da un usurpatore.
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Il destino delle armi. Nell’Impero romano, l’uso delle armi era comune: quando un sovrano moriva senza nominare un erede, molti pretendenti alla corona usavano le loro legioni per tentare un colpo di stato. È così che nacquero le guerre civili del 68-69 e del 193-197 d.C. e che nel III secoloo si assistette a una vera e propria parata di imperatori-soldato che si impadronirono del potere con la forza e l’omicidio prima di essere (di solito) messi a morte essi stessi.
Anche quando avevano versato sangue per salire al trono, gli imperatori cercavano inevitabilmente di stabilire una dinastia e di adottare tutti i titoli tradizionalmente associati alla loro nuova carica. Massimino Io (235-238 d.C.) ne è un esempio: pastore di origine tracia, salito nella gerarchia romana prima di rovesciare e assassinare Severo Alessandro (222-235 d.C.), assunse immediatamente il titolo di imperatore dell’Impero romano. Si fece chiamare Augusto, Pontifex maximus e Pater patriae, e tenne il consolato durante il secondo anno di regno.
Solo con la tetrarchia di Diocleziano la successione si basò esclusivamente sul merito: a due imperatori esperti (“augustus”) si affiancarono due sovrani più giovani (“caesar”) chiamati a succedergli, prima di nominare a loro volta due eredi. Questo sistema crollò quando i figli biologici di alcuni tetrarchi invocarono il diritto di sangue per rifiutare di essere rimossi dal potere.
Ascesa sociale
Senatori e cavalieri dovevano seguire una carriera le cui tappe, basate su status, ricchezza ed età, erano abbastanza ben definite all’inizio dell’epoca imperiale.
Carriera al Senato
Gli uomini appartenenti a famiglie nobili di rango senatoriale dovevano ricoprire una serie di magistrature alle quali venivano generalmente eletti dalle assemblee per un mandato di un anno. Al termine di questa carriera, nota come cursus honorum (“successione di onori”), potevano accedere al Senato. A partire dal Io secolo, un senatore doveva possedere almeno 1 milione di sesterzi in proprietà. Durante l’Impero si contavano circa 600 senatori.
Sebbene, in teoria, tutte le magistrature fossero elettive, spesso venivano vendute dagli imperatori o dai loro stretti collaboratori. Ciò avvenne in particolare sotto Vespasiano (69-79 d.C.), che aveva l’abitudine di cedere le cariche per rimpinguare le proprie casse, o durante il regno dell’imperatore Commodo, che vide un traffico fiorente di titoli sotto la guida del liberto Cleandro.
Qualunque sia la loro posizione nella scala sociale, tutti i romani, a partire dall’imperatore, dovevano possedere un certo numero di qualità:
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✓ Autorità (auctoritas): è il potere di comandare, in funzione del prestigio personale.
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✓ Merito (dignitas): onore, responsabilità e serietà sono i tratti distintivi del romano, che deve dimostrare fedeltà (fides) e costanza (constantia).
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✓ Forza virile (virtus): ogni uomo viene giudicato in base alla sua eccellenza individuale, alla sua bontà e alle sue virtù.
Le magistrature
Nei secoli Io e IIo d.C., man mano che salivano nella gerarchia, i futuri senatori potevano assumere diversi ruoli, generalmente nel seguente ordine:
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✓ Questore: in fondo alla scala gerarchica, il questore era responsabile dell’erario pubblico (aerarium); riscuoteva le tasse e gestiva le spese dello Stato. Il giovane aspirante senatore assumeva di solito questa carica tra i 27 e i 30 anni, spesso dopo aver prestato servizio come tribuno militare in una legione. Poteva poi diventare tribuno della plebe o edile, entrambe tappe facoltative della carriera senatoriale. Sotto l’Impero, il tribunato era addirittura puramente onorifico.
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✓ Edile (aedilis): le competenze dell’edile comprendevano la distribuzione del grano, la manutenzione delle strade, il mantenimento dell’ordine pubblico, l’approvvigionamento idrico, l’uso di pesi e misure e alcune pratiche religiose. Inizialmente legato al tribuno della plebe, l’edilium divenne una magistratura a sé stante nel 367 a.C., con quattro rappresentanti. Pur essendo una carica facoltativa nel cursus honorum, era comunque un modo per acquisire il sostegno popolare e ottenere il diritto familiare dello jus imaginum .
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✓ Pretore ( praetor): il pretore, che era praetor urbanus a Roma e praetor peregrinus quando arbitrava questioni riguardanti gli stranieri, si occupava principalmente di giustizia e possedeva l’autorità militare dell’imperium. Durante l’Impero, vi erano dodici cariche annuali. Erano ricoperte da uomini che di solito avevano più di trent’anni. Queste cariche davano accesso alla carica di pretore.
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✓ Console (console): il console era il più alto magistrato civile e militare dello Stato. Come il pretore, deteneva l’imperium, ma la sua carica era molto più prestigiosa e portava la sua famiglia nella classe dei nobili. I primi due consoli furono eletti nel 509 d.C., alla caduta della monarchia. La loro nomina annuale era sottoposta al voto dei comitia centuriata. Per assumere l’incarico bisognava avere almeno 42 anni e bisognava aspettare dieci anni per essere rieleggibili. Tuttavia, con la fine della Repubblica, questi principi vennero abbandonati e fu generalmente l’imperatore a scegliere il suo candidato o ad assumere lui stesso questo ruolo: nei sedici anni del suo regno, Domiziano fu console dieci volte. Inizialmente ricoperta da due soli rappresentanti, la carica fu estesa nel corso dell’Impero a diverse coppie di magistrati, i primi due consoli eletti ogni anno erano consules ordinarii, mentre i due successivi, di rango inferiore, erano consules suffecti: in questo modo si aumentava il numero di uomini qualificati a ricoprire alcune alte cariche, come quella di governatore provinciale.
Sebbene queste cariche senatorie avessero origine nella tradizione repubblicana, raggiunsero il loro apice nei secoli Io e IIo d.C.. Il IIIo secolo vide importanti cambiamenti: ai cavalieri furono affidate sempre più spesso missioni che in precedenza erano state appannaggio dei senatori. Il sistema subì profondi cambiamenti sotto il governo di Diocleziano
Comandanti di legione e governatori di provincia
Gli ex pretori erano eleggibili a cariche propretorie, che comportavano il comando di legioni o il governo di province minori, mentre gli ex consoli erano eleggibili a cariche proconsolari, che li mettevano a capo delle province più grandi o più militarizzate. Poiché quasi tutti gli imperatori erano stati consoli, godevano anche dello status di proconsole. In entrambi i casi, il prefisso pro significava che il magistrato manteneva i poteri e gli onori associati alla sua precedente carica.
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✓ Proconsole: ex console, era governatore di una provincia senatoria, un territorio pacificato generalmente situato intorno al Mediterraneo, come la Grecia.
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✓ Prefetto della città (praefectus urbi): ex console divenuto senatore, possedeva l’imperium ed era responsabile del mantenimento dell’ordine pubblico a Roma.
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✓ Legato di Augusto pro pretore (legatus Augusti pro praetore): governatore di una provincia imperiale, di solito un territorio di confine come la Britannia o la Germania, era proconsole o propretore. I più esperti venivano posti a capo delle province più difficili, ma il loro ruolo era sempre descritto come pro-pretore, in modo che il loro status rimanesse inferiore a quello dell’imperatore, di cui erano rappresentanti.
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✓ Legato legale (legatus juridicus): in un ruolo creato da Vespasiano per alleggerire il carico di lavoro del governatore, occupato da altri compiti, soprattutto militari, poteva presiedere ai processi e risolvere tutte le questioni legali.
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✓ Legato di legione (legatus legionis): solitamente un propretore, era un comandante di legione.
L’attribuzione di queste cariche non era fissata in modo definitivo. Durante il regno di Gallieno (253 – 268 d.C.), per rispondere a nuove esigenze, il comando delle legioni fu affidato sempre più spesso a prefetti equestri, che probabilmente erano soldati esperti che avevano fatto carriera.
La carriera di Cneo Giulio Agricola
La carriera di Agricola (40-93 d.C.) ci viene descritta dal suocero, lo storico Tacito, che gli dedicò una biografia. Nato a Forum Julii (Fréjus), nella Gallia Narbonese, era nipote di due procuratori equestri e figlio di un senatore, Giulio Grecino. Anche se ogni caso è a sé stante, quello di Agricola è un buon esempio di carriera politica nelle alte sfere della società romana.
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✓ 20 anni: tribuno militare presso la sede del governo della Britannia (60 d.C. circa).
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✓ 23-24 anni: torna a Roma, si sposa e diventa questore del proconsole governatore dell’Asia (63-64 circa).
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✓ Età 24-25 anni: anno sabbatico (circa 64-65).
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✓ 26-27 anni: tribuno della plebe (66-67 circa).
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✓ Età 27-28 anni: pretore (circa 67-68).
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✓ Età 29-30 anni: torna in Britannia, legato pro-prefetto (comandante) della XX legione (69-70 circa).
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✓ Età 33-36 anni: legato di Augusto, pro-prefetto (governatore) della Gallia Aquitania (73-76).
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✓ Età: 37 anni: console a Roma (77).
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✓ Età 37-44 anni: legato di Augusto, proconsole (governatore) della Britannia, dove conduce una grande guerra di conquista (fine 77 – 83/4).
Dopo le campagne in Gran Bretagna, Agricola avrebbe dovuto diventare proconsole (governatore) dell’Asia o dell’Africa, ma per motivi politici rinunciò a questo incarico e si ritirò dalla vita pubblica.
I cavalieri
Mentre la maggior parte dei cavalieri si dedica a carriere bancarie o commerciali, esiste anche una sorta di carriera d’élite per l’ordine equestre, che è più flessibile dell’equivalente senatoriale e non prevede altrettanti passaggi obbligatori. Si differenziava dal cursus honorum soprattutto per le modalità di assegnazione delle cariche, che venivano assegnate direttamente dall’imperatore. A partire dal I secolo, un cavaliere doveva possedere almeno 400.000 sesterzi. Durante l’Impero, i cavalieri erano diverse migliaia.
Un cavaliere poteva scalare la gerarchia delle unità ausiliarie, iniziando con una posizione minore come quella di vice amministratore (promagister) dei diritti portuali, prima di diventare prefetto (praefectus, “colui che guida”) di un’unità di fanteria, poi comandare un’unità di cavalleria e, infine, essere promosso al comando di una flotta romana.
Infine, poteva essere nominato procuratore di una provincia, dove gli venivano affidate le finanze per limitare i poteri del governatore. I cavalieri potevano anche svolgere varie funzioni come procuratori civili e gestire proprietà pubbliche o altri possedimenti imperiali.
Una carriera di successo come cavaliere poteva portare a una o più delle seguenti posizioni:
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✓ Prefetto d’Egitto (praefectus Aegypti): era il governatore della provincia d’Egitto, che apparteneva personalmente all’imperatore; questa carica era solitamente ricoperta da un ex prefetto dell’annona.
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✓ Prefetto dell’annona (praefectus annonae): gestiva l’approvvigionamento di Roma e la distribuzione del grano al popolo.
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✓ Prefetto provinciale (praefectus civitatum): era il governatore equestre di una provincia.
Il titolare più famoso di questa carica fu Ponzio Pilato, prefetto della Giudea tra il 26 e il 36 d.C., all’epoca della crocifissione di Cristo. Era una delle province più piccole e difficili da gestire, come la Rhetia e il Norico, e l’imperatore mise alla loro guida governatori equestri.
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✓ Prefetto del pretorio (praefectus praetorio): comandava la guarnigione di Roma.
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✓ Prefetto delle strade (praefectus vehiculum): responsabile della manutenzione delle strade di Roma.
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✓ Prefetto dei Vigili (praefectus vigilum): responsabile della protezione antincendio a Roma.
Il motivo per cui queste importanti cariche erano riservate all’ordine equestre era quello di tenerle fuori dalle mani della nobiltà senatoria. Non tutti i prefetti erano però cavalieri e le cose cambiarono nel tempo: la carica di Prefetto dell’Urbe, una sorta di sindaco di Roma, divenne accessibile ai senatori, così come quella di Prefetto del Pretorio sotto Alessandro Severo. D’altra parte, il comando delle legioni passò nelle mani dei cavalieri al tempo di Commodo e Gallieno.
Dato che il Senato iniziò a reclutare tra i ranghi dell’ordine equestre fin dalla fine della Repubblica, non sorprende che molti senatori, come Agricola, e persino imperatori, come Vespasiano, avessero antenati cavalieri. La tradizione di porre cavalieri al comando delle legioni, iniziata sotto Commodo, continuò anche in seguito. L’imperatore Macrino (217-218 d.C.) aveva ancora lo status di cavaliere quando assunse il potere, un fatto senza precedenti nella storia dell’Impero romano, che non poteva che portare a pregiudizi negativi su di lui. La divisione dell’aristocrazia romana tra senatori e cavalieri si dissolse gradualmente, fino a diventare irrilevante all’epoca di Costantino.
Le “spugne equestri” di Vespasiano
Secondo la tradizione, Vespasiano (69-79 d.C.) aveva l’abitudine di nominare gli uomini più avidi alle cariche equestri più redditizie, per assicurarsi un incasso più fruttuoso in caso di successiva confisca. Erano soprannominati le sue “spugne” perché li “imbeveva” di denaro, per poi “strizzarli”.