Servio Tullio, sesto re di Roma era anche lui di origine etrusca. Era figlio di una principessa che divenne schiava di re Tarquinio il Vecchio, primo re etrusco di Roma. La donna aveva un figlio che si chiamava Mastarna. Durante la sua infanzia, Mastarna fu notato dalla regina Tanaquil, perché sopra la sua testa sarebbe apparsa una fiamma (segno di un destino eccezionale, secondo i presagi). Mastarna ricevette poi la stessa educazione dei figli di Tarquinio e sposò una delle figlie del re. Quando Tarquinio viene assassinato, Tanaquil convince i romani a scegliere Servio Tullio come re.
Gli storici romani considerano Servio Tullio il creatore di una riforma molto importante: la distribuzione dei cittadini romani secondo il censo, in 5 classi e 193 centurie. A seconda dei mezzi, gli uomini dispongono di un equipaggiamento militare più o meno completo ed efficiente. I più equipaggiati sono i più esposti nelle battaglie. In cambio, vengono dati più diritti politici nella gestione della città.
Servio Tullio avrebbe concesso ai plebei terre sottratte al demanio pubblico (ager publicus). Questo gli valse l’appoggio delle classi popolari, e il malcontento delle famiglie benestanti di Roma.
Servio Tullio iniziò la costruzione di una cinta muraria che racchiude i sette colli che formano il sito originario di Roma. Tuttavia ebbe una fine atroce. Assassinato a seguito di un complotto organizzato da sua figlia Tullia che aveva sposato Tarquinio il Superbo, uno dei figli di Tarquinio il Vecchio. Di ritorno dalla sala riunioni del Senato dove suo marito era stato appena proclamato re, Tullia incontrò per strada il cadavere di suo padre e col suo carro ci passò sopra.
Tarquinio Superbo (a. 534-510)
Servio aveva fatto sposare due sue figlie ai nipoti di Tarquinio: ma al fine di non omettere alcuna precauzione per assicurarsi il trono, sapendo che queste donne (come ancora gli sposi ai quali egli aveva progettato di unirle) erano ognuna di carattere opposto all’altra, decise, per porre in atto i propri disegni, di dare a ciascuna di esse come marito, l’uomo di indole contraria.
Alla fanciulla dolce e mite toccò l’uomo collerico, ambizioso, ma di natura e costumi deviati, il cui nome era Lucio; l’altra orgogliosa, indomabile e ribelle, sposò quello il cui carattere offriva l’esatto contrario: buono e tranquillo, il cui nome era Arunte. Servio supponeva che così facendo, da un tale innesto, le virtù degli uni avrebbero finito per correggere i difetti degli altri. Evidentemente Servio non aveva lo stesso talento di Gregor Mendel che impiegò tutta la vita a studiare le leggi dell’ereditarietà studiando i fiori e i piselli. Infatti Servio fece un esperimento del tutto mal riuscito, perché successe esattamente il contrario di ciò che si aspettava: Lucio, il genero imperioso, al quale la dolcezza della sua sposa ispirava soltanto disgusto, rimase sempre più attratto da Tullia, sua cognata, che egli amò e che ricambiò il suo amore con uguale passione. Siccome non potevano tener freno ai loro desideri, decisero di superare tutti gli ostacoli che si opponevano alla loro unione. Ciascun di essi pensò di uccidere il proprio consorte; vi riuscirono e quindi furono liberi di unirsi in matrimonio.
Ma un primo delitto ne porta sempre con sè un secondo. Dopo questo omicidio, la coppia diabolica decise di massacrare anche il re. Incominciarono col sollevare il popolo, portando a pretesto l’usurpazione del potere da parte di Servio e Lucio, reclamando la corona come erede di Tarquinio, alla fine trovò il Senato disposto ad assecondare i suoi disegni.
Subito quindi, egli si reca al palazzo Senatorio, decorato di tutti gli ornamenti della sovranità, e mettendosi a sedere da sé stesso sul trono, incomincia ad informare il popolo, riunito nel Foro innanzi alla Curia, circa l’oscura nascita del re Servio e l’illegittimità del suo titolo alla corona.
Uccisione di Servio
Proprio in quel momento compare Servio Tullio, accompagnato da un esiguo numero di sostenitori, e vedendo il suo trono occupato in maniera cosi indecente, tenta di scacciarne l’usurpatore, ma Tarquinio, nel vigore della gioventù, rovescia il vecchio sotto i gradini del trono stesso. Alcuni amici di Tarquinio ammessi in segreto, balzano fuori e trucidano il vecchio re che faceva deboli sforzi per alzarsi dalla sua caduta, gettando poi in strada il suo corpo grondante di sangue e massacrato, per metterlo in mostra al popolo.
Nello stesso momento,Tullia, ardendo d’impazienza per l’esito dei fatti, fu informata di ciò che aveva compiuto suo marito e decise di voler esser tra le prime a salutare il nuovo monarca, quindi si fece condurre su un cocchio al palazzo del senato.
Ma quando si avvicinò al luogo dove era stato disposto il cadavere del vecchio re, il cocchiere spaventato da quel crudele spettacolo e non volendo farlo calpestare dai cavalli, stava per prendere un altra strada, il che aumentò la collera di Tullia; la donna lo sgridò e gli ordinò di passare senza ribrezzo sopra il cadavere insanguinato del proprio padre.
Da quel giorno in poi, il luogo ebbe nome di Via Scellerata. Così terminò la vita di Servio Tullio, sovrano la cui dolcezza eguagliava la sua giustizia, dopo essere stato per 40 anni la felicità dei suoi sudditi.
La Tirannide del Superbo
Lucio Tarquinio ormai padrone del trono, per questa sua orribile azione soprannominato poi Tarquinio il Superbo, decise d’impiegare a sostegno della sua autorità, la medesima violenza che gli aveva assicurato la corona. Incurante dell’approvazione del popolo e del Senato, si comportò come se avesse ricevuto lo scettro per legittima via ereditaria. Rifiutò di far seppellire il corpo del re defunto, sotto pretesto che egli non era altro che un usurpatore.
Questo atto crudele aumentò l’odio che egli aveva già ispirato ed in generale non si vide senza orrore la sua ascesa al potere. Egli non lo ignorava ciò, per questo fece uccidere tutti quelli che sospettasse essere sostenitori di Servio e temendo che la sua tirannia potesse essere rovesciata,
aumentò il numero delle sue guardie personali. Costrinse la plebe ai duri lavori dell’edificazione del tempio di Giove Capitolino e del completamento della Cloaca Massima (dal lat. arcaico clŭō o cloō, “purgo”, analogo al greco κλύζω, che significa “lavare, purificare”).
Tenere continuamente il popolo occupato o in guerra o nei lavori pubblici, al fine di distrarlo e fargli dimenticare il modo illegale con cui egli era giunto al trono, tale fu il suo programma di governo. I Sabini non lo avevano riconosciuto come sovrano, ed egli marciarono contro di loro, costringendoli presto all’obbedienza. Quindi si affrettò a muover guerra ai Rutuli col pretesto che essi avevan dato asilo ai malfattori banditi da Roma.
Presa di Gabii
La città di Gabii, sotto assedio, resisteva; Tarquinio ricorse allora ad uno stratagemma: suo figlio, Sesto, finse di disertare e di cercare asilo, presentandosi nella città nemica, a quelli di Gabii, mostrando loro i lividi e le ferite dovuto ai maltrattamenti e alla barbara condotta di suo padre padre. Disse di essersi perciò a lui ribellato e si offrì come capo degli assediati.
Egli seppe guadagnarsi la simpatia del popolo così bene, che fu accolto in città, ebbe il comando delle milizie e la fiducia di tutti. Fatto questo, Sesto spedì al padre un messaggero segreto per avere consiglio su come consegnare a lui questa città. Tarquinio non diede al messo nessuna risposta, ma lo portò con sé a passeggiare nell’orto insieme ad alcun invitati, e ogni tanto, con una verghetta, tagliava le teste de papaveri più alti che vedeva fiorire; quindi congedò il messaggero con l’ordine che riferisse quanto aveva visto e niente altro.
Sesto comprese il senso di questa risposta e giunse a disfarsi degli esponenti più nobili della città, confiscando i loro beni e dandoli al popolo. La plebe, la quale non riflette mai sulle cose, fu ovviamente molto felice di questo esproprio, ma la benevolenza del nuovo capo ebbe conseguenze funeste: le porte della città furono aperte ad accogliere l’esercito romano. Gabii fu dunque conquistata e Sesto vi stette come dittatore. Tarquinio fece guerra anche contro i Sabini e i Volsci, e a questi tolse Suessa Pometia, Signa e
Circeio. Cosi ampliò fino alla valle del Liri il dominio romano. La fortuna di Tarquinio era all’apice, quando apparvero dei prodigi, annunciando sventure.
Il Presagio
Tarquinio era molto turbato da segni nefasti; anzi, era tormentato dalla sua cattiva coscienza: se un serpente appariva sul suo cammino, sembrava incombere su di lui come un orribile mostro. Se si addormentava, c’era sempre a portata di mano, un incubo per turbarlo. Sognò che alcune aquile avessero nidiato nei suoi giardini, e che durante la loro temporanea assenza, degli avvoltoi prendessero possesso del loro nido abbandonato, facendolo a pezzi. Incapace di scacciare anche i rapaci che giravano dentro la sua testa, era ansioso di accertare il significato di questi e altri presagi, e dubitava dell’affidabilità dei suoi stessi auguri, sui quali cominciava a gettare del discredito.
Il poeta latino Accio, nella sua praetexta (così si chiamavano le tragedie di argomento romano) intitolata Brutus, ci racconta i turbamenti del tiranno:
“– Tarquinio: – Mentre, sopraggiunta la notte, davo riposo al mio corpo placando le mie membra stanche… vidi…vidi un pastore in sogno… muoversi verso di me… conduceva un gregge di straordinaria bellezza e due arieti dello stesso sangue, dei quali io dovevo sacrificare il più imponente… Ma…l’altro…l’altro allora, mi attacca! Sì mi attacca a colpi di corna, facendomi cadere a terra… e io… io gravemente ferito… disteso cosi supino al suolo… ho visto…ho visto allora in cielo la cosa più grande e meravigliosa: il sole tramontava invertendo il suo corso a destra…
Sacerdote: – O re, non c’è da meravigliarsi se qualcuno dormendo, pensa, si preoccupa, agisce e osserva ciò che accade nel suo sogno così come fa nella veglia; ma una visione così grande non si presenta senza una ragione. Bada dunque che colui che tu ritieni una bestia ottusa, non sia invece un animo eccellente, fortificato dalla saggezza, e che riesca a scacciarti dal regno. Perché il prodigio che hai visto nel sole, fa presagire un grande cambiamento che sarà propizio al popolo. Se il sole ha invertito il suo corso da sinistra a destra infatti, la profezia rivela che la repubblica romana diventerà la più grande.”
Il più bello fra i due arieti simboleggia il fratello maggiore, Marco Giunio Bruto, che fu fatto assassinare da Tarquinio. Allora l’altro lo attacca con le sue corna, che erano un simbolo di potenza forza e forza: colpire a cornate era il presagio di una prossima detronizzazione di un monarca.
Il sole che inverte la sua corsa da occidente a oriente è un presagio ricorrente presso gli antichi, e sempre funesto; anche se gli indovini, in quest’occasione, lo leggono come un buon auspicio per lo stato.
È cio che si presenta in sogno, non e mai per caso…
Ma non è tutto. Comparve infatti in Roma una donna di strane fattezze, che si recò dal re, a cui offrì di vendere nove volumi che pretendeva di aver scritto lei stessa. Tarquinio rifiutò di comprarli, ignorando la sapienza arcana di quella donna, e non sapendo che ella era una delle Sibille, tanto famose per i loro oracoli.
Essa allora uscì e dopo aver bruciato tre dei suoi volumi, ritornò chiedendo sempre il medesimo
prezzo degli altri sei. Tarquinio l’accusò di impostura, e la donna uscì di nuovo e bruciò altri tre volumi; quindi ritornò e chiese la medesima somma di quelli che rimanevano. Tarquinio sorpreso dalla singolarità di questa condotta consultò gli Auguri, per sapere come si dovesse comportare.
Questi lo biasimarono per il suo rifiuto e gli ordinarono di prendere a qualunque prezzo il rimanente dei volumi che la Sibilla gli stava offrendo. Secondo gli storici la donna scomparve dopo aver venduto i suoi libri profetici ed aver consigliato Tarquinio a fare una particolare attenzione a quello che essi contenevano. Probabilmente tutto ciò fu un altro stratagemma di Tarquinio stesso che lo studiò per ingannare il popolo e consultare i fogli della Sibilla intorno agli atti del Governo.
Sia come sia, il re scelse subito due persone per conservare questi volumi. Il numero di questi custodi fu aumentato in seguito fino a quindici, i quali furono perciò chiamati Quindecemviri.
I libri furono depositati in un’urna di pietra, la quale fu posta sotto una volta. Si credeva che questo fosse il luogo ove potessero essere più sicuri. Passati quattro anni, dopo aver terminato il Campidoglio, il popolo mostrò desiderio di essere di nuovo occupato in qualche nuova impresa. Tarquinio si affrettò dunque a muover guerra ai Rutuli sotto il futile pretesto che essi avevano dato asilo ai malfattori banditi da Roma.
Il re, poi, ancora intimorito dai presagi, mandò per consultare l’oracolo di Delfi in Grecia, due figli, insieme con un nipote, Lucio Giunio, al quale – fintosi pazzo per sfuggire alla tirannia dello zio – era stato dato il nome di Bruto. Quando essi furono di ritorno dalla Grecia, Tarquinio stava al campo allestito nella guerra contro Ardea, ricca città dei Rutuli, col figlio Sesto e col nipote Tarquinio Collatino.
Lucrezia
Ardea resisteva bene all’assedio, pure troppo bene. I romani, che agivano come una sorta di esercito di occupazione, finirono per non avere, naturalmente, quasi nessuna occupazione. Infatti, mentre l’ armata era accampata, Sesto Tarquinio, figlio dello stesso Re Tarquinio, nobile e principe Romano, ed alcuni altri, passavano le notti sbevazzando insieme sotto una tenda e ammazzando la noia con veglie e conviti. Una di quelle sere cominciarono a parlare di donne (un argomento di conversazione che di solito finisce sempre male): ognuno di loro ovviamente esaltava la bellezza e la virtù della propria sposa, confrontandosi in una vera e propria gara. Lucio Collatino, il cugino di Sesto, propose allora di porre fine ad ogni disputa con una prova: andare a sorprendere le loro mogli ora e scoprire quale fra queste tenesse, in assenza del marito, gli atteggiamenti più onorevoli e appropriati, e si occupasse delle faccende che più le si addicevano: quella sarebbe stata preferita a tutte le altre.
Il suggerimento di Collatino, fu concordemente accettato, le teste erano diventate calde per via dal vino. Montano tutti quindi a cavallo senza indugio, e si dirigono alla volta di Roma, sebbene la notte fosse molto avanzata. Arrivarono prima alla reggia, dove trovarono le mogli dei principi che partecipano allegramente a dei festini. Poi vanno da Lucrezia, moglie di Collatino, che sta in mezzo alle sue figlie, distribuendo ad esse il lavoro del filare la lana, invece di stare come le altre donne, in preda ai piaceri volgari.
La sua bellezza piena di modestia, la graziosa accoglienza che fece al marito e ai suoi amici, incantarono tutti; il verdetto è unanime: la vittoria è di Lucrezia. Ma quella donna accese nel cuore di Sesto Tarquinio, suo malgrado, una passione così violenta, che il solo possesso dell’oggetto che la inspirava poteva soddisfare l’animo del principe. Ecco che allora, egli parte dal campo pochi giorni dopo, per farle di nuovo una visita: una visita particolare. Sesto riceve la medesima accoglienza da parte della moglie di Collatino, non potendo la donna sospettare delle sue reali intenzioni, Lucrezia si mise quindi e tavola con lui e gli fece poi preparare una camera.
Era mezzanotte, ora che il colpevole Sesto aveva scelta come la più adatta per l’esecuzione del suo disegno. Avendo trovato il modo di introdursi nella camera di Lucrezia, si avvicina al suo letto colla spada sguainata e la minaccia a morte se ella volesse resistere alla sua passione.
Lo spavento che provò Lucrezia nello svegliarsi e la prospettiva della morte non la smuovono tuttavia dal suo rifiuto. Sesto allora insiste: se essa non vuol cedere ai suoi desideri, egli la ucciderà insieme col suo schiavo, il cui cadavere porrà al suo fianco, nel suo letto; e dirà a tutti che egli ha ucciso ambedue, cogliendoli in flagrante, mentre compievano l’adulterio. Il timore dell’infamia fece ciò che la paura della morte non aveva potuto ottenere: Lucrezia cedette e si donò all’uomo. La mattina seguente, Sesto, tornato al campo, si vantava trionfo del brutale successo sessuale che aveva ottenuto.
Lucrezia, che per via della vergogna ormai aveva in odio la vita, risoluta di non perdonare neppure a sé stessa un delitto per cui non aveva nessuna colpa, manda a chiamare Collatino, il suo sposo e Spurio Lucrezio, suo padre, per annunciare ad essi che la loro famiglia era ormai coperta da un eterno obbrobrio. Essi arrivano subito assieme a Valerio, parente del padre di Lucrezia, e con Giunio Bruto, che passava per essere stupido ed il cui padre era stato massacrato da Tarquinio. Avendo incontrato casualmente per strada il messaggero di Lucrezia, egli entrò nella casa di lei insieme a tutti gli altri.
Il loro arrivo contribuì solo ad accrescere la disperazione della moglie di Collatino. Ella era ormai stremata, inutile fu cercare di calmarla ” No” diceva costei ” la mia vita non ha più senso per me, perché io ho perduto la mia virtù. Voi avete davanti ai vostri occhi una donna contaminata; una donna posseduta da un altro, sebbene voi siate sempre il mio cuore. Sotto il velo dell’amicizia, Sesto Tarquinio l’ultima notte ha violato il nostro onore. Solo la morte può riparar questo oltraggio. Ma se voi siete uomini, se vi resta anche un poco di coraggio, ricordatevi di vedicare la mia causa, e tutti sappiano che la morte è l’unico rifugio di colei che ha perduto la sua virtù.”
Dicendo queste parole tira fuori un pugnale, che teneva nascosto sotto la veste, e affondandolo nel suo seno, spira gemendo in un grido. Il dolore, lo sdegno e la pietà opprimono Spurio e Collatino, che si abbandonano alla disperazione. Ma Bruto estraendo dal petto di Lucrezia il pugnale ancora fumante e tenendolo alzato, esclama. “ Dei! vi prendo per testimoni del mio giuramento. Io giuro di vendicare la causa della casta Lucrezia! Fin da adesso mi dichiaro il nemico di Tarquinio e della sua infame famiglia. E non vivrò se non per oppormi alla tirannia e per rendere alla mia patria la felicità, e la libertà!”
Una nuova sorpresa s’impadroni di tutti gli altri, vedendo quest’uomo, fino ad allora considerato come uno stupido, riprendere il suo coraggio di un tempo e diventare il paladino di Roma e della giustizia. Egli poi disse ancora a loro che le grida e le lacrime erano unicamente espressione della viltà, quando quello che si richiedeva era invece la vendetta. Quindi, facendo passare nelle loro mani il pugnale, forzò ciascuno di essi a ripetere il medesimo giuramento.
Cacciata del re
Giunio Bruto era, come abbiamo già detto, figlio di Marco Giunio, fatto assassinare da Tarquinio il Superbo. Egli aveva ricevuto dal padre un’ottima educazione, dalla natura un fermo carattere ed un amore estremo per la virtù. Ma sapendo che Tarquinio stesso aveva fatto massacrare suo padre e suo fratello maggiore, si finse pazzo per schivare lo stesso pericolo. Questo fu il motivo per cui si chiamò Bruto. Tarquinio credendolo realmente fuori di senno e innocuo lo sottovalutò, ed essendosi impadronito dei suoi beni, lo tenne presso di sé per trastullare i suoi figli.
Bruto non aspettava altro che un’occasione come questa per vendicare la causa della sua famiglia. Fece esporre sulla pubblica piazza il corpo di Lucrezia e così eccitò il furore dei Romani col racconto di quell’orribile delitto. Un decreto del Senato fatto su sue pressioni, bandì Tarquinio per sempre, e si dichiarò che sarebbe stato un delitto capitale difendere la sua persona o aiutarlo a tornare in città. Questo monarca, scacciato dal trono dopo un Regno di 25 anni, si rifugiò con la sua famiglia nella piccala città di Ceri, situata in Etruria. L’armata romana fece nel medesimo tempo una tregua col nemico e Bruto fu proclamato il liberatore del popolo.
Insieme con Tarquinio finì anche la monarchia di Roma: era durata 245 anni. In questo spazio di tempo Roma era ormai divenuta una grande e ricca città, e teneva la supremazia su tutta la regione dal Tevere fino al Liri.
Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti?
William Shakespeare allude a Tarquinio in diversi suoi drammi, Tito Andronico, Giulio Cesare, Coriolano. In Macbeth (Atto II “l’assassinio s’avvia svegliato dalla sua sentinella, il lupo, il cui ululato è l’allarme, a passo lungo e lieve come il lascivo andare di Tarquinio, furtivamente alla sua impresa, come un fantasma”) e Cimbelino (Atto II “Così il nostro Tarquinio, col piè leggero calpestò le stuoie prima di ridestar la castità che doveva violare” ) il riferimento sembrerebbe essere più a Sesto Tarquinio, figlio del Tiranno (così come avviene anche in la Bisbetica Domata e nella Dodicesima Notte).
Nel 1765, Patrick Henry, uno dei protagonisti della Rivoluzione americana, tenne un discorso davanti alla Virginia House of Burgesses , in opposizione allo Stamp Act del 1765 . Verso la fine del suo discorso, inserì come divagazione retorica, un confronto tra il re Giorgio III e vari personaggi storici che furono umiliati dai loro nemici, tra cui Carlo I, Cesare, e in alcuni passi del discorso, Tarquinio.
Il fenomeno culturale noto come ” sindrome del papavero alto “, riguarda persone di prestigio o merito ragguardevole, che vengono attaccate o che subiscono del risentimento da parte di altri, a causa dei loro successi. Il fenomeno deriva il suo nome dall’episodio narrato da Livio, in cui si dice che Tarquinio abbia incaricato suo figlio, Sesto, di indebolire la città di Gabii abbattendone i cittadini più importanti. Il motivo dell’uso di un latore inconsapevole per consegnare un tale messaggio, attraverso la metafora del taglio delle teste ai papaveri più alti, potrebbe essere stato preso in prestito dalla leggenda da Erodoto le cui Storie contengono un episodio simile, in cui tuttavia vengono usate spighe di grano invece di papaveri. Un passaggio riguardante la versione di Livio della storia appare nello scritto di Kierkegaard Timore e tremore (in realtà Kierkegaard cita Hamann che a sua volta cita questo episodio “Ciò che Tarquinio il Superbo intese col taglio dei Papaveri nel suo giardino, lo capì suo figlio ma non Il messaggero” ).
L’espressione “papavero” è tuttavia anche talvolta utilizzata per indicare la gente che conta, i “pezzi grossi” o i “pezzi da novanta”
Benjamin Britten rappresentò il personaggio sempre di (Sesto) Tarquinio (colui che “guida la gioventù romana nella guerra etrusca e tratta l’orgogliosa città come se fosse la sua puttana”) figlio del despota, nella sua opera da camera del 1946 The Rape of Lucretia. Nell’opera, Tarquinio junior si rivolge a Bruto (chiamato semplicemente Junius forse per evitare l’omonimia col più famoso Bruto della congiura contro Cesare) con lo sprezzante appellativo di “cuckold” (cornuto) e dà sfogo a tutta la sua indole crudele e triviale (“The only girl worth having is wine”, “la sola ragazza meritevole è il vino”) e sessista (“Virtue in women is a lack of opportunity”, “la virtù nelle donne è mancanza di opportunità”). Sarà Lucrezia stessa, in una battuta a mettere a nudo la vile personalità del rampollo: “Passion’s slave and not a Prince” (“Schiavo della passione e non un principe”).
Lo stupro di Lucrezia era già stato argomento di un poemetto sempre di Shakespeare del 1594 (The Rape of Lucrece), ma la figura dell’eroina compare ancor prima in Ovidio nei Fasti (II,725), Sant’Agostino, che la associa ai martiri cristiani nel suo La Città di Dio (libri I e II), Boccaccio nel suo De mulieribus claris. Nel XX secolo anche Jean Giraudoux si cimenterà con questa vicenda e con la sua protagonista, nel suo lavoro per il teatro Pour Lucrèce (1953).
Tarquinio è anche presente nel quarto libro (La Tomba del Tiranno – The Tyrant’s Tomb) della serie Le sfide di Apollo (The Trials of Apollo) di Rick Riordan, autore della fortunata saga di Percy Jackson. È raffigurato come un re zombi, che attacca i semidei durante il tentativo di liberare l’Oracolo dei Libri Sibillini. Un’americanata nel senso più autentico della parola, dove semidei statunitensi si battono assieme ad Apollo non solo contro il tiranno etrusco, ma anche contro Caligola e Commodo, in un mischione del tutto improbabile che fa sembrare le trame dei film di Ercole e Maciste italiani degli anni ’60 come dei capolavori assoluti.
Nel prossimo episodio – > : Cosa c’è di vero in tutte queste storie? Possiamo discernere tra tutto questo materiale l’elemento leggendario da quello storico? Anche gli scrittori più antichi si ponevano questi stessi problemi, poiché anche per il loro spirito critico era insoddisfacenti. Occorre cercare di ricostruire un tessuto storico credibile affidandoci al confronto fra le fonti, all’archeologia e perfino alla linguistica.
(Libero adattamento e riduzione da Storia romana: dalla fondazione di Roma alla caduta dell’Impero d’Occidente. Iginio Gentile, 1885, e da Compendio della storia romana dalla fondazione di Roma fino alla caduta dell’impero romano in Occidentedel dott. Goldsmith, 1801, con successive aggiunte, aggiornamenti e integrazioni)