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IL TEATRO

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Rilievo di poeta seduto (Menandro) con maschere dalla Nuova Commedia, I secolo a.C. - inizio I secolo d.C., Museo d'Arte dell'Università di Princeton.
Rilievo di poeta seduto (Menandro) con maschere dalla Nuova Commedia, I secolo a.C. – inizio I secolo d.C., Museo d’Arte dell’Università di Princeton.

Il teatro 

Molte culture hanno prodotto una forma originale di rappresentazione pubblica che potrebbe essere classificata come dramma o teatro. Furono gli antichi greci, in particolare con i generi noti come tragedia e commedia, a definire il teatro europeo per i secoli successivi. Racine e Shakespeare tra il Cinquecento e il Seicento scrissero tragedie e commedie perché queste erano le due forme principali della drammaturgia, ereditate dai Greci.

La parola stessa teatro deriva dal greco theatron forgiato sulla radice del verbo theaomai che significa “guardare”, “contemplare”. Il teatro è quindi il luogo da cui si assiste a uno spettacolo.

Un evento sociale

ultura del dio Dioniso, a cui erano dedicate feste civico-religiose.
Scultura del dio Dioniso, a cui erano dedicate feste civico-religiose.

Nonostante la natura talvolta indecente dei drammi satirici e di alcune commedie, oltre agli uomini, erano ammessi a teatro anche donne e bambini. Tuttavia, le famiglie attente alla morale preferivano le opere tragiche.

I notabili, gli ambasciatori stranieri e i cittadini più eminenti avevano diritto ai primi posti (pro-edrie). All’inizio i posti erano gratuiti, poi il biglietto d’ingresso fu fissato a due oboli (circa un euro di oggi). I demagoghi avevano poi la possibilità di votare per concedere una “indennità di spettacolo” per i più poveri.

Ogni spettatore riceveva un gettone, il sumbolon, su cui era scritto il numero della gradinata e del posto. In platea circolavano guardie chiamate rabdoukoi, ovvero “portatori di bastoni”. Lo spettacolo iniziava all’alba. Atene mostra sull’orchestra il tributo pagato dai membri della confederazione ateniese. I figli dei cittadini morti per la patria sfilavano in armatura e le corone d’oro venivano assegnate ai cittadini onorari.

Il sacrificio di un maiale apriva la seduta. Infine, veniva estratto a sorte l’ordine di rappresentazione delle commedie.
Durante la rappresentazione si beveva e si mangiava. I cittadini ricchi facevano servire al pubblico torte e vino. La gente fischiava, applaudiva, a volte lanciava pietre agli attori. Se una rappresentazione veniva fischiata, il pubblico passava immediatamente a quella successiva, senza alcuna remora.

La tragedia greca

La tragedia greca si basava sui racconti del mito. Ciò significava che nella maggior parte dei casi tutto il pubblico conosceva in anticipo la trama della storia (come il pubblico di una moderna rappresentazione classica o di argomento sacrai). L’abilità del drammaturgo consisteva nel plasmare il materiale in modo da comunicare una particolare visione del mondo o un ritratto del personaggio. La maggior parte delle tragedie greche mostra la caduta di un eroe o di un altro protagonista di rango elevato. Nelle tragedie più sofisticate, questa caduta è dovuta all’hubris (arroganza): Dopo aver attirato l’ira degli dei, l’eroe viene distrutto da una sua decisione disastrosamente arrogante.

Tragedie: The Greatest Hits

Quasi tutte le più grandi tragedie greche sono sopravvissute fino a noi. Ecco una guida approssimativa su alcune delle migliori da approfondire:

L’esempio più chiaro di questo schema si trova nell’Agamennone di Eschilo, dove l’eroe mostra appunto la sua arroganza camminando sopra un arazzo di inestimabile valore. Il filosofo Aristotele, in un famoso passaggio della sua Poetica un’opera critico-letteraria, spiega che l’obiettivo artistico della tragedia è quello di suscitare nel pubblico emozioni di pietà e di paura in modo tale da purificarsi attraverso questi sentimenti e dare sollievo all’esistenza; questa spoliazione di se è chiamata katharsis. La tragedia greca cerca anche di esaminare la natura – o l’assenza – della giustizia divina e il ruolo dell’uomo nell’universo.

La tragedia greca ci è nota attraverso trentadue tragedie che ci sono pervenute, composte da tre grandi autori ateniesi:   

Elisabetta Pozzi nel ruolo di Medea, Teatro greco di Siracusa
Elisabetta Pozzi nel ruolo di Medea, Teatro greco di Siracusa
    •    Eschilo, nato nel 526, morto nel 456 a.C. Produzione: 90 opere, dal 484 fino alla sua morte. Di lui si sono conservate sette opere teatrali, tra cui I persiani, I sette contro Tebe, L’Orestea .È il più antico dei tre grandi tragici greci (insieme a Sofocle ed Euripide ). Tredici volte vincitore del concorso tragico, è autore di cento drammi di cui solo sette ci sono pervenuti. Il teatro di Eschilo è segnato dalla forza, dalla tensione, dall’angoscia che trapela delle sue opere. Sviluppa poco la psicologia dei personaggi, ma mette in evidenza le sue concezioni sull’equilibrio della città, il disgusto della hybris (atto sproporzionato, empio) che mette in pericolo quest’ordine, e il peso della decisione degli dei nella condotta degli umani affari, in particolare nel destino delle operazioni militari, o la maledizione familiare (in particolare nel caso di Tebe e degli Atreidi ).

 

    •    Sofocle, nato nel 496, morto nel 405 a.C. Produzione: 122 opere, dal 468 fino alla sua morte. Sono conservate sette sue opere teatrali, tra cui Aiace, Antigone, Edipo re, Elettra , Edipo a Colono. È, con Eschilo (526-456) ed Euripide (480-406), uno dei tre grandi tragici  greci (anche se non scrisse solo tragedie). Sofocle è autore di 122 drammi (tra cui un centinaio di tragedie), ma solo sette di esse sono pervenute fino a noi. Sofocle ottenne 18 vittorie nella competizione tragica delle grande Dionisie: fu quindi l’autore più premiato di tutti. Il suo teatro approfondisce gli aspetti psicologici dei personaggi. Le sue opere raffigurano eroi, spesso solitari e persino respinti (Aiace, Antigone, Edipo, Elettra ), e confrontati con problemi morali da cui nasce la situazione tragica. Rispetto ad Eschilo, Sofocle non raffigura o ritrae poco gli dèi, che intervengono solo, nel modo della ironia tragica, attraverso oracoli il cui oscuro messaggio spesso fuorvia gli uomini.

 

  •    Euripide, nato intorno al 480, morto nel 406 a.C. Produzione: 90 opere, dal 455 fino alla sua morte. Sono conservate diciotto opere teatrali, tra cui Andromaca, Le Troiane , Ifigenia in Tauride, Elettra, Orestea, Ifigenia in Aulide, Le Baccanti. Euripide è un contemporaneo di Socrate, e fu anche suo amico. Cominciò a comporre pezzi tragici per il teatro nel 455 a.C.. Nelle sue tragedie le donne – Medea, Pasifae, Fedra – mostrano la loro passione fisica e morale. Jean Racine (in Phèdre, Andromaque, Iphigénie ) si è ispirato alle sue tragedie. Euripide vinse un primo premio alle Dionisie nel 441, poi altri due nel 428 e nel 403. Divenne rapidamente popolare: Plutarco racconta che nel 413, dopo il disastro navale di Siracusa, furono liberati solo i prigionieri ateniesi che sapevano recitare a memoria i versi di Euripide. Dopo l’Oreste , nel 408, Euripide si ritirò in Macedonia, alla corte di Archelao, dove scrisse due drammi, Le Baccanti (opera conservata) e Archelao (ora perduta). Vi morì all’inizio dell’anno 406. Euripide introdusse innovazioni che hanno influenzato profondamente il teatro, in particolare nella rappresentazione di eroi tradizionali e mitici come persone comuni che affrontano circostanze straordinarie. Fu il pioniere di questo nuovo approccio e gli scrittori successivi adattarono questi sviluppi, alcuni dei quali caratteristici del romanticismo, fino alla commedia. Fu anche “il più tragico dei poeti”, concentrandosi sulle motivazioni profonde dei suoi personaggi in un modo che non era mai stato fatto prima. Fu “l’inventore della […] gabbia teatrale in cui si svolgeranno poi anche l’Otello di Shakespeare, la Fedra di Racine o il teatro di Ibsen e Strindberg, […] imprigionandovi donne e uomini che si distruggono a vicenda per l’intensità dei loro amori e dei loro odi “ (B. Knox, « Euripides », dans The Cambridge History of Classical Literature I: Greek Literature, Cambridge University Press, 1985), ed è anche il predecessore di Menandro.

 

 Il dramma dell’eroe tragico

Busto di Eschilo
Busto di Eschilo

Il metodo principale per esplorare le questioni etiche e morali era il ruolo dell’eroe tragico. Durante le opere teatrali, gli eroi tragici intraprendono tipicamente dei percorsi dell’anima e dell’esistenza, dei cammini filosofici per così dire, che si concludono con gravi perdite e spesso con la morte. Di solito, le parabole degli eroi sono il risultato di errori o trasgressioni che i personaggi hanno commesso. Molto spesso si dice che gli eroi hanno un destino fatale o tragico; di conseguenza, gli eroi – e il pubblico – conoscono meglio se stessi e riconoscono i propri difetti ed errori. I Greci chiamavano questo processo aspathos (sofferenza), mathos (comprensione) o anagnorisis (riconoscimento). Le donne erano spesso le protagoniste delle opere teatrali. Personaggi come Medea, Ecuba, Antigone, Clitennestra ed Elettra dominano le opere in cui appaiono e sono affascinanti personaggi a più livelli. Tuttavia, sarebbero stati tutte interpretati dagli uomini sulla scena!

Edipo: Un caso complesso

La tragedia greca più famosa è probabilmente l’Edipo Re (noto anche come Edipo il Tiranno) di Sofocle. La storia di Edipo, re di Tebe, si svolge come segue:  Prima dell’inizio dell’opera, Edipo, da giovane, fugge da Tebe dopo che una profezia gli ha predetto che egli avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Alla fine, Edipo torna a Tebe, sconfigge la temibile Sfinge, sposa la regina vedova Giocasta e diventa re come ricompensa.

L'attore Mounet-Sully nel ruolo di Edipo
L’attore Mounet-Sully nel ruolo di Edipo

All’inizio del dramma, Tebe è colpita da una terribile pestilenza. L’oracolo di Delfi dice a Edipo che deve uccidere l’uomo che ha ucciso il precedente re Laio. Edipo decide di farlo nonostante gli avvertimenti di varie persone (durante queste conversazioni, Edipo scopre che Laio e Giocasta avevano avuto un figlio che venne abbandonato, ma che alla fine fu adottato da altri).  Alla fine, Edipo scopre di aver ucciso Laio in un litigio sul ciglio della strada e, peggio ancora, che Laio era suo padre e la regina Giocasta sua madre. Affranto dal dolore, Edipo si acceca e pronuncia le celebri parole: “Ah Dio, ah Dio: tutto si avveri e sia conosciuto! Che questa sia l’ultima volta che vedo la luce del giorno. Maledetti i miei genitori, maledetto il mio matrimonio, maledetto il sangue che ho versato!” Edipo Re è stato definito più volte come un romanzo giallo in cui l’investigatore scopre di essere egli stesso l’assassino, e dimostra che gli esseri umani non possono sfuggire a ciò che sono e che il loro destino è inevitabile. Il difetto fatale di Edipo è il suo orgoglio e la sua arroganza, che lo rendono cieco agli avvertimenti degli altri di non proseguire la sua ricerca prima che egli scopra la tragica verità.

Freud elevò il mito di Edipo a uno dei pilastri della psicoanalisi classica. La definizione del Complesso di Edipo risale a una lettera inviata da Freud all’amico Fliess, in cui discute i rapporti di potere e conoscenza in un dramma tipicamente messo in scena dal padre, dalla madre e dal figlio. In Verità e forme giuridiche, il filosofo Michel Foucault ha analizzato le pratiche giudiziarie dell’antica Grecia attraverso la storia di Edipo raccontata da Sofocle.

 

Il coro: un po’ narratore, un po’ giudice

Nell’antica Grecia, gli interpreti che facevano parte del Coro stavano generalmente nell’orchestra e commentavano ciò che facevano gli altri personaggi, fornendone a volte anche i retroscena. Molto spesso il coro si oppone al personaggio principale e alle sue azioni. La maggior parte delle interazioni tra il coro e gli attori principali coinvolgeva il capo del coro, che era l’unica persona che parlava direttamente a coloro che si trovavano sulla scena.

Coro dell'Edipo Re
Coro dell’Edipo Re

Non abbiamo alcuna prova del tipo di musica suonata, perché nessuna di esse è giunta fino a noi. Tuttavia, se si legge una buona traduzione di una delle opere teatrali, si può notare quanto siano liriche le parole e quanto facilmente possano essere cantate piuttosto che pronunciate. Aristotele ha scritto un libro intitolato La poetica, in cui dice che la paura e la pietà tragica possono essere suscitate dallo spettacolo [l’azione in scena], ma possono anche essere suscitate dalla struttura stessa e dagli eventi del dramma – che è il modo migliore e rivela la grandezza poeta.

In molte opere teatrali i terribili problemi affrontati dai personaggi umani vengono risolti dall’apparizione di uno o più dèi dell’Olimpo. Spesso gli dèi fanno qualcosa per risolvere delle questioni in sospeso che gli uomini non potrebbero mai fare. Questo potrebbe sembrare un po’ una scappatoia, ma ricordate che l’importante sono le idee e non la trama!

Maschere tragiac e comica, mosaico della Villa Adriana
Maschere tragiac e comica, mosaico della Villa Adriana

La commedia

La commedia, invece, è sempre stata pensata per essere buffa e divertente, con personaggi meno nobili e complicati di quelli della tragedia o della vita reale. Le 11 commedie superstiti di Aristofane, datate tra il 425 e il 388 a.C., sono opere farsesche e fantastiche e rappresentano la vita politica della città, deridendo al contempo individui e istituzioni specifiche. Il teatro greco antico era una forma di poesia, con tutti i dialoghi che venivano parlati o cantati in versi. Il teatro era anche una forma di cultura di massa, destinata a un pubblico che comprendeva diverse classi sociali, e prosperava in democrazie come quella di Atene (anche se non è chiaro se alle donne, anche alle cittadine, fosse permesso di assistere).

Busto di Aristofane
Busto di Aristofane

Aristofane: il più grande di tutti

Aristofane (nato intorno al 450/445 a.C. – morto intorno al 385 a.C.) fu il più grande commediografo greco che scrisse 40 opere. Tuttavia, solo undici di esse ci sono giunte nella loro interezza. Le sue commedie erano satire pungenti rivolte a uomini famosi del suo tempo e alle debolezze fin troppo umane della gente comune.

Una delle sue opere più famosa, Lisistrata, parla di un gruppo di donne che protestano contro la guerra rifiutando di avere rapporti sessuali con i propri mariti fino alla fine del conflitto.

Il teatro greco antico è stato presentato per la prima volta in concorsi alle Dionisiache, feste dedicate al dio Dioniso. La cosa interessante è che Aristofane non vinse sempre il primo premio. Le opere teatrali di altri autori che invece vinsero la competizione prima di lui, sono andate tutte perdute, quindi non ci è consentito fare paragoni.

Una licenza per calunnia

George Grote ha detto di Aristofane:

“Probabilmente mai il pieno potere della commedia senza catene sarà così esibito di nuovo … la licenza spietata di attacco agli dei, alle istituzioni, ai politici, ai filosofi, ai poeti, ai privati ​​cittadini … e persino alle donne di Atene ” .

“[Gli ateniesi] sopportarono con bonaria indulgenza il pieno sfogo del ridicolo … su quelle istituzioni democratiche a cui erano sinceramente attaccati … La democrazia era abbastanza forte da tollerare lingue ostili sia sul serio che per scherzo .

 Le opere di Aristofane giunte fino a noi

  • Gli Acarnesi (425 aC) Aristofane mostra di non cedere alle intimidazioni politiche. L’opera si distingue per l’assurdo umorismo e un appello fantasioso per la fine della guerra del Peloponneso
  • I Cavalieri (424 a.C.) L’opera è una satira sulla vita sociale e politica di Atene e un attacco scurrile al populista favorevole alla guerra Cleone. Cleone aveva perseguito Aristofane per aver calunniato la città in una precedente commedia, I Babilonesi (426 a.C., che non ci è sopravvissuta). Aristofane aveva promesso vendetta negli Acarnesi , ed è stato ne i Cavalieri che si prese la rivincita.
  • Le nuvole (originale 423 a.C., versione rivista incompleta dal 419 al 416 a.C. giunta fino a noi) Prende in giro Socrate e le mode intellettuali nell’Atene classica. La prima “commedia delle idee” conosciuta.
  • Le vespe (422 aC) Aristofane ridicolizza i tribunali, che fornirono a Cleone la sua base di potere. Presenta anche il classico tema del giovane contro il vecchio che riappare in diverse commedie.
  • Pace (prima versione, 421 a.C.) pochi giorni prima della fine della guerra del Peloponneso, durata dieci anni. Lo spettacolo è degno di nota per la celebrazione del ritorno alla vita in campagna. Ma il finale non è felice per tutti. Come in tutte le commedie di Aristofane, gli scherzi sono numerosi, l’azione è selvaggiamente assurda e la satira è selvaggia. Cleone, il leader populista pro-guerra di Atene, ne è ancora una volta un bersaglio, anche se era morto in battaglia solo pochi mesi prima.
  • Gli uccelli (414 a.C.) Una fantasia sugli uccelli? No, è una critica all’Atene dei suoi tempi, mascherata da conversazione tra uccelli. Lo studioso William Arrowsmith, nella sua introduzione l’opera, scrive  “Un capolavoro, una delle più grandi commedie mai scritte, e probabilmente la più bella di Aristofane”.
  • Lisistrata (411 aC) Il più noto dei suoi drammi, spesso prodotto in versioni moderne. L’opera è nota per essere una prima denuncia dei rapporti sessuali in una società dominata dagli uomini.
  • Thesmophoriazusae (La festa delle donne, prima versione, c. 410 a.C.) Una parodia della società ateniese, con un focus sul ruolo delle donne in una società dominata dagli uomini, la vanità di poeti come Euripide e Agatone e la spudorata volgarità degli ateniesi comuni.
  • Le rane (405 a.C.) Spettacolo sul tema “vecchi modi buoni, nuovi modi cattivi”. Le rane racconta la storia del dio Dioniso, che si reca nell’Ade con il suo schiavo Xanthias, che è più intelligente e coraggioso di lui, per riportare in vita il drammaturgo Euripide .
  • Ecclesiazousae (L’Assemblea delle donne, c. 392 a.C.) è simile nel tema alla Lisistrata. Gran parte della commedia tratta di donne che si impegnano in politica. Lo spettacolo è molto più intriso di questioni di genere rispetto a Lisistrata.
  • Pluto (La Ricchezza , seconda versione, 388 a.C.) La commedia presenta un anziano cittadino ateniese, Cremilo, e il suo schiavo. Cremilo presenta se stesso e la sua famiglia come virtuosi ma poveri, ed è andato a chiedere consiglio a un oracolo . Il consiglio che riceve è di seguire il primo uomo che incontra e portarlo a casa con sé. Quell’uomo risulta essere il dio Pluto, che è, contrariamente alle aspettative, un mendicante cieco. Dopo molte discussioni, Pluto viene convinto ad entrare nella casa di Cremilo, dove gli viene ridonata la vista. La trama può essere letta così: la ricchezza ora andrà solo a chi in qualche modo la merita.

Poiché il pubblico del teatro comprendeva più o meno lo stesso elettorato dell’Assemblea democratica, il dramma greco spesso trasmetteva forti messaggi politici. Pare che la tragedia sia stata inventata ad Atene nel 500 a.C. (anche se la città di Sikyon ha anch’essa rivendicato questo onore).

La commedia fu sviluppata in vari Stati greci, tra cui Siracusa e altre città della Sicilia, prima di essere istituita in modo più imponente ad Atene. Entrambi i generi nacquero probabilmente dalle esibizioni pubbliche dei cantori nelle feste religiose in onore di Dioniso, il dio del vino e della fertilità, che era una delle divinità preferite dalle masse. La commedia greca, con le sue farse e oscenità, sembra chiaramente derivata dalla tumultuosa processione dionisiaca nota come komos, che si teneva in molti stati greci; komoidia significa infatti “canto del komos”.

Lisistrata (disegno di Aubrey Beardsley) Lisistrata, commedia di Aristofane. In essa le donne di tutta la Grecia complottano e chiudono le gambe agli uomini negando loro il sesso se questi continuano a fare la guerra; è nota la scena in cui i soldati tornano con i falli eretti e con le membra nelle carriole, chiedendo a gran voce l'amore delle loro mogli.
Lisistrata (disegno di Aubrey Beardsley) Lisistrata, commedia di Aristofane. In essa le donne di tutta la Grecia complottano e chiudono le gambe agli uomini negando loro il sesso se questi continuano a fare la guerra; è nota la scena in cui i soldati tornano con i falli eretti e con le membra nelle carriole, chiedendo a gran voce l’amore delle loro mogli.

Il komos e Dioniso

Le pitture su vaso mostrano il komos come una sfilata di uomini mascherati vestiti da satiri e che trasportano un tronco scolpito come un enorme pene. Il komos era probabilmente un’occasione di scambio di battute scurrili con gli spettatori; da questa interazione potrebbe essersi sviluppata nella parabasi (un discorso corale diretto al pubblico che era un segno distintivo della commedia teatrale ateniese). La convinzione che Dioniso potesse possedere spiritualmente i suoi adoratori ha probabilmente portato a ruoli individuali di voce o canto nel personaggio del dio. Le origini della tragedia sono meno chiare di quelle della commedia.

Secondo la Poetica di Aristotele, la tragedia emerse dal canto corale narrativo noto come ditirambo. Come il komos, il ditirambo veniva eseguito in alcune feste di Dioniso, ma era più solenne e raffinato del komos. Il significato della parola ditirambo non è oggi chiaro, ma si sa, da ditirambi esistenti scritti dal poeta Bacchilide (metà del 400 a.C.), che questi canti raccontavano storie del mito greco, non necessariamente relative a Dioniso.

Il coro cantava o narrava la storia e probabilmente danzava in modo interpretativo. Supponendo che quanto detto da Aristotele sia esatto, ad Atene deve essere arrivato un momento in cui alcuni tipi di spettacolo si sono distaccati dalle regole che disciplinano il metro poetico del ditirambo, le dimensioni del coro e così via. In particolare, singoli interpreti cominciarono a uscire dal coro per cantare o parlare nei panni di una figura mitica della storia.

Tespi e l’invenzione del protagonista

Questo passaggio è tradizionalmente attribuito a un genio oscuro di nome Tespi (circa 535 a.C.), che potrebbe anche aver introdotto l’uso di una maschera riservata ad un singolo attore per indicare il personaggio. Sembra che l’attore di Tespi pronunciasse dei discorsi tra le presentazioni del coro; l’attore potrebbe aver anche cambiato maschera per assumere più ruoli durante la rappresentazione. Questa nuova forma d’arte ateniese era chiamata tragoidia, “canto delle capre”, forse in riferimento alla presentazione delle feste di Dioniso. (Intorno al 534 a.C., sotto il tiranno illuminato Pisistrato, la rappresentazione della tragedia fu introdotta ufficialmente nelle importanti feste ateniesi di inizio primavera chiamata Dionisiache. Nel 500 a.C. questo festival si era trasformato in una competizione annuale a tre, finanziata con fondi pubblici, che era la famosa occasione per tutte le rappresentazioni di nuove tragedie. Le rappresentazioni si tenevano in un teatro – prima di legno o terra, poi di marmo – alla base sud dell’Acropoli ateniese.

Friedrich Nietzsche fotografato da Gustav Adolf Schultze nel 1882
Friedrich Nietzsche fotografato da Gustav Adolf Schultze nel 1882

La tragedia secondo Nietzsche

La nascita della tragedia dallo spirito della musica, (in tedesco : Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik ) o La nascita della tragedia. Ovvero: grecità e pessimismo (Die Geburt der Tragödie. Oder: Griechenthum und Pessimismus) è un trattato estetico in cui il filosofo Friedrich Nietzsche ha delineato la sua visione circa le origini dualistiche dell’arte. La prima edizione apparve nel 1872 presso la casa editrice di Lipsia di E. W. Fritsch, la seconda versione fu pubblicata due anni dopo, ma fu difficilmente distribuita a causa dei problemi finanziari dell’editore. Nel 1886 il trattato fu ristampato con una prefazione, Saggio di un’autocritica, e un sottotitolo, Ellenismo e Pessimismo.

Nietzsche riteneva che gli antichi greci trovassero nell’arte un antidoto all’insensatezza della realtà e al pessimismo senza speranza generato dalla consapevolezza dell’assurdità del tutto. Nell’antica arte greca, l’autore vede una lotta costante tra due principi, o tipi di esperienza estetica, che chiama apollineo e dionisiaco. Nietzsche mette in discussione così l’intera tradizione estetica tedesca, che interpretava ottimisticamente l’antica arte greca come avente al centro un inizio apollineo e luminoso. Per la prima volta egli descrive invece un’altra Grecia: tragica, dominata dalla mitologia, dionisiaca e traccia parallelismi con il destino dell’Europa.

Il principio apollineo, secondo Nietzsche, è ordine, armonia, calma artistica e dà origine alle arti plastiche (architettura, scultura, pittura, disegno), il principio dionisiaco è ebbrezza, oblio, caos, dissoluzione estatica dell’identità nella massa, dando vita all’arte non plastica (principalmente la musica). Il principio apollineo si oppone al dionisiaco come l’artificiale si oppone al naturale, condannando tutto ciò che è eccessivo, sproporzionato. Tuttavia, questi due principi sono inseparabili l’uno dall’altro, agiscono sempre insieme. Combattono, secondo Nietzsche, nell’artista, ed entrambi sono sempre presenti in ogni opera d’arte.

Il trattato di Nietzsche ha avuto un enorme impatto sia sulle idee dei simbolisti russi (Vyacheslav Ivanovich Ivanov, Andrej Belyj ), sia sulla formazione dell’arte irrazionale dell’espressionismo in Germania all’inizio del XX secolo. In Gran Bretagna, le idee dionisiache di Nietzsche influenzarono il noto romanziere D. H. Lawrence (autore di L’amante di Lady Chatterley).

 

La commedia: sesso e satira

La commedia greca era molto diversa dalla tragedia, ma seguiva regole simili.  Le commedie venivano iscritte ai festival e pagate dai ricchi khoregos. Le idee erano molto importanti nella commedia, ma lo era anche lo spettacolo. Il coro di solito indossava costumi imponenti e si esibiva in canti e danze complesse. Le trame comiche erano assurde. Mescolando la fantasia con elementi della vita reale, i poeti comici greci hanno praticamente inventato la satira, il genere che consiste nel prendere in giro l’establishment e criticarlo con la comicità. Ad esempio, nelle commedie greche sopravvissute, gli uomini volano via per vivere in una terra gestita dagli uccelli (Gli uccelli), un venditore di salsicce diventa il capo politico di Atene (I cavalieri) ed Euripide ed Eschilo fanno una gara di poesia immaginaria nell’Ade (Le rane). 

La Commedia Antica o Aristofanea

Il termine Commedia antica si riferisce alle commedie rappresentate ad Atene nel V secolo a.C. C. Di tutte queste opere, le uniche che si sono conservate complete sono undici opere di Aristofane , e le ultime due ( The AssemblywomenPluto ) furono scritte nel IV secolo a.C. C. , e sono di uno stile molto diverso dal resto, soprattutto nel ruolo ridotto del coro e del Dioniso Re del Vino.

Una commedia aristofanea risponde nella sua elaborazione a una struttura precisa e può essere suddivisa nelle seguenti parti (che si ritrovano, con alcune variazioni, nelle prime nove opere):    

  •    A. prologues, “prologo”, scena che apre lo spettacolo, di tipo espositivo, prima dell’ingresso del coro.
  •    B. parodos, “ingresso del coro”, scena in cui il coro entra e si presenta al pubblico.
  •    C. agôn, “dibattito” tra due avversari con argomenti a favore e contro il tema principale dell’opera. Normalmente è sotto forma di una coppia di discorsi tetrametri (la cosiddetta sizigia epirematica ) e il primo a parlare è sempre il perdente.
  •    D. parabasis, “marcia in avanti”. Dopo l’agone tutti i personaggi escono di scena, il coro “si fa avanti” e  si  rivolge direttamente al pubblico in tetrametri anapestici, senza che il contenuto delle loro parole abbia molto a che fare con la trama.
  •    E. Dopo la parabasi segue una serie di episodi ( epeisódia ) separati da brevi canti corali che a volte continuano la trama     principale, ma di regola si limitano a illustrare la conclusione che  segue dall’agon.
  •    F. esodo,  scena finale, in cui la nota predominante è la gioia che generalmente porta a un matrimonio o a una festa. L’opera può  concludersi con un cordace o danza rituale.

Per mettere in scena una commedia occorrevano tre o quattro attori, a volte con l’aiuto di comprimari, e un coro di ventiquattro membri (tutti maschi). Il coro era di fondamentale importanza. Molte commedie hanno preso i loro titoli dal coro (ad esempio, gli AcarnesiLe VespeGli Uccelli), i cui costumi e le danze arricchivano lo spettacolo. Il costume era in linea con la natura ruvida dell’antica commedia, in cui le battute avevano molto a che fare con il sesso e l’escrezione e venivano pronunciate con un linguaggio disinibito. La commedia prendeva come punto di partenza un oggetto fantastico da parte dell’eroe la cui realizzazione, del tutto impossibile nella vita reale, costituiva la trama. Pochi illustri cittadini furono spietatamente ridicolizzati; in alcune commedie appaiono in ruoli importanti, sia con il proprio nome, ad esempio Socrate Nelle Nuvole , o Euripide nelle Tesmoforie , sia sotto un leggero travestimento, ad esempio Cleone come Paflagonio nei Cavalieri. Allo stesso modo gli dèi, o alcuni dèi, ricevevano un trattamento irriverente, anche se mai in modo tale da poter mettere in discussione la loro esistenza.

È difficile vedere quanta seria critica alla società si celi dietro le battute e le facezie. L’antica commedia era allo stesso tempo una fusione di credenze religiose, satira e critica (politica, sociale e letteraria) mescolate con buffoneria.

 

Il festival teatrali

Busto di Sofocle
Busto di Sofocle

Il concorso dionisiaco presentava tipicamente le opere inedite di tre autori, in ogni caso una trilogia tragica e un dramma satiresco (satyrikon), per alleviare la comicità. La commedia satirica, un’emanazione della commedia, presentava un coro buffonesco sempre rappresentato come un gruppo di satiri. In una trama tipica, questa banda “invadeva” la storia in uno dei grandi Miti e la parodiava, come ad esempio il mito di Perseo. Oggi sopravvive solo un’opera teatrale satirica completa: il Ciclope di Euripide (ca. 410 a.C.). I tre gruppi di opere rappresentate alle Dionisiache sarebbero stati selezionati in precedenza, in forma scritta, da un funzionario che giudicava i candidati. Ai partecipanti qualificati veniva assegnato uno sponsor pagante (chor¯egos), che finanziava parte del costo di tasca propria come forma di servizio statale; il saldo proveniva direttamente dai fondi statali.

Al festival una giuria, composta da cittadini comuni scelti per sorteggio, assegnava il primo, il secondo e il terzo premio ai tre drammaturghi. Si dice che Sofocle abbia vinto il primo premio 24 volte, il secondo sette volte e mai il terzo. La commedia, meno stimata della tragedia, fu istituita come concorso alle Dionisiache cittadine solo intorno al 488 a.C.

Le opere in gara erano singole, una per ogni commediografo. Nel 440 a.C. fu introdotto un secondo concorso, in occasione dei Lenaea (festival dionisiaco di metà inverno). Normalmente concorrevano cinque commedie. I due primi commediografi di cui si hanno notizie sono Kratino e Krates (metà del 400 a.C.). La commedia utilizzava un coro di 24 membri; la tragedia ne utilizzava inizialmente 12, poi 15. I cori comici tendevano ad essere più importanti per l’azione e il messaggio della commedia rispetto alle loro controparti tragiche, almeno all’epoca di Eschilo (525-456 a.C.), ricordato per aver ridotto il ruolo di parola del coro tragico.

Tutti gli attori e i cori ateniesi erano maschi, anche se i ruoli potevano essere femminili. Il primo tragediografo ateniese di cui si hanno notizie è Frinico (ca. 540-475 a.C.). Le sue tragedie potrebbero essere state una forma di oratorio in costume, con una narrazione semplice. La storia si svolgeva attorno a un unico attore parlante (il protagonistes, comp. di prôtos ‘primo’ e agōnistḗs ‘lottatore; attore’), che poteva assumere più ruoli cambiando maschera e che pronunciava i suoi discorsi in alternanza con il coro.

La scenografia, la trama e la caratterizzazione furono migliorate da Eschilo, i cui Persiani (472 a.C.) sono la prima tragedia esistente. Dando risalto ai ruoli individuali rispetto al coro, Eschilo introdusse un secondo attore recitante, che permise di sviluppare meglio i conflitti in scena e aumentò notevolmente il numero di ruoli disponibili. Sofocle (496-406 a.C. circa) introdusse un terzo attore recitante ed enfatizzò la caratterizzazione dei suoi protagonisti, che tendeva ad allontanare il coro dalla trama. Il suo rivale più giovane, Euripide (ca. 485-406 a.C.), introdusse innovazioni nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi mitici che spesso sembravano destinate a impressionare il pubblico.

La fine del teatro attico

Busto di Euripide
Busto di Euripide

Questi tre tragediografi – insieme a un quarto, Agatone (fine del 400 a.C.) – erano riconosciuti ai loro tempi come i più grandi nella loro arte. Con la morte di Euripide e Sofocle (entrambi nel 406 a.C.) e la sconfitta di Atene nella Guerra del Peloponneso (404 a.C.), la grande epoca del teatro ateniese era passata. Venivano ancora rappresentate nuove tragedie – il tiranno siracusano Dionigi ne scrisse una che vinse un premio per un’unica opera ad Atene nel 367 a.C. – ma in assenza di nuovi talenti stabili, nacque la tradizione di mettere in scena le opere dei tre tragediografi classici. La commedia ad Atene conobbe una rinascita con Menandro, Filemone e altri autori della “Nuova Commedia”, alla fine del 300 a.C.

Questa commedia di costume, socialmente satirica, così diversa dalla satira direttamente politica di Aristofane e di Eupoli, influenzò il lavoro dei commediografi romani Plauto e Terenzio (100 a.C.). Al di fuori di Atene, gli edifici teatrali monumentali erano sorti prima del 470 a.C. circa, quando il tiranno siracusano Gerone costruì un teatro per la produzione di una tragedia del suo ospite Eschilo. In età ellenistica (300-150 a.C.), ogni grande città greca disponeva di un teatro di marmo con 24.000 posti a sedere, dove le rappresentazioni potevano essere costituite in gran parte da opere dei tre grandi tragediografi ateniesi. Oggi sono stati ricostruiti, tra l’altro, mirabili teatri antichi a Epidauro, Dodona, Pergamo ed Efeso.

 

La nuova commedia

La Commedia Nuova appare nella seconda metà del IV secolo a.C., in età ellenistica, con caratteristiche proprie, in un momento in cui il genere teatrale della tragedia è ormai scomparso. La commedia rinacque in quel periodo. Le opere così considerate sono pezzi di costume che si diffusero con grande successo in tutto l’Oriente ellenistico. Le caratteristiche e la struttura furono cambiate rispetto alla commedia precedente. Il coro scomparve, l’azione fu divisa in atti e la commedia iniziava con un prologo in cui l’autore esprimeva le sue opinioni. I dialoghi erano parlati, a differenza dei periodi precedenti in cui gli attori dialogavano con il coro che cantava. Il tema generale erano le situazioni quotidiane, e veniva utilizzato un linguaggio colloquiale tipico del popolo, con concessioni al linguaggio di soldati, degli schiavi e dei cuochi, sempre coinvolti in situazioni grottesche e divertenti. I personaggi sono stereotipati e la protagonista, quasi sempre una sposa, risulta essere spesso l’eroina. Secondo Plutarco, in questo periodo sono proibite le oscenità e viene rispettata la legge della proprietà privata, non c’è alcun amore omosessuale e non vengono sedotte le vergini, che finiscono sempre in matrimonio.

La nuova commedia era molto più facile da capire per i non ateniesi. Vengono fatte allusioni a personaggi specifici e intrighi legati alla storia della città. Fu esportata a Roma, dove venne adattata nel corso del III secolo a.C., con il nome di Fabula palliata. Plauto e Terenzio ne furono i massimi esponenti. Sembra anche che alcune commedie greche siano state semplicemente “tradotte”.

Un’opera completa di Menandro, il Dyskolos (Il misantropo o Il bisbetico), fu ritrovata casualmente nel 1956 in un gruppo di papiri acquistati da un collezionista ginevrino, Martin Bodmer. Si conoscono inoltre frammenti e titoli di circa 1500 commedie, conservati sotto forma di citazioni in altre opere.

La nuova commedia è rappresentata per noi proprio da Menandro, il quale, pur non amato particolarmente dai suoi contemporanei (vinse solo 8 volte le competizioni teatrali, pur avendo composto 108 opere) fu tuttavia adorato dal periodo ellenistico. Ci sono pervenuti un paio di brani quasi completi della sua opera (come il già citato misantropo, ad esempio) e non pochi lunghi frammenti.

 

I Teatri

Il teatro di Epidauro
Il teatro di Epidauro

I teatri hanno avuto un ruolo significativo nella vita culturale e sociale dell’antica Grecia e di Roma. Le opere teatrali venivano rappresentate regolarmente in occasione delle principali feste civili e religiose, con lo scopo di educare e intrattenere il popolo. Sia i Greci che i Romani costruivano strutture appositamente progettate per ospitare questi eventi.

Il teatro greco si svolgeva all’aperto. I primi teatri greci erano spazi rettangolari pavimentati in pietra. Nel 400 a.C., tuttavia, i teatri erano diventati di forma circolare. Un grande spazio a semicerchio, l’orchestra, era l’elemento più caratteristico dei teatri greci. I cori cantavano e danzavano in questo zona, circondati da un pubblico seduto su gradinate di legno o pietra, cioè una serie di file disposte una sopra l’altra, come in uno stadio. La maggior parte dei teatri si trovava ai piedi di colline, offrendo un pendio naturale per i posti a sedere che consentiva a tutti gli spettatori di osservare l’azione teatrale.

Schema di un tipico teatrao greco
Schema di un tipico teatro greco

I teatri (da theatron , “luogo dove si vede”) emersero a partire dal VI secolo a.C. Si pensa che prima di allora le prime rappresentazioni teatrali avrebbero avuto luogo in luoghi pubblici come l’ Agorà di Atene.

I teatri erano situati all’aperto, sulle pendici delle piste, luoghi che offrivano una buona acustica. Inizialmente le panchine erano in legno, ma dal IV secolo a.C. iniziarono ad essere costruite in pietra.

Oltre al pubblico, sono state distinte diverse aree del teatro. L’ orchestra era l’area circolare in terra battuta o con lastre di pietra posta al centro delle tribune, dove il coro eseguiva la sua interpretazione. Si pensa che l’orchestra avesse inizialmente una forma quadrangolare, come nel Teatro de Toricos. Al centro dell’orchestra c’era il thymele, un altare in onore di Dioniso, che serviva non solo per offrire sacrifici, ma anche come sostegno. Ai lati dell’orchestra c’erano gli ingressi per il coro, i parodos (parodoi).

Dietro l’orchestra c’era lo skenê, il set , una struttura la cui funzione iniziale era quella di servire da luogo dove gli attori si cambiavano d’abito, ma che finì anche per rappresentare la facciata di un palazzo o di un tempio . Di fronte allo skenê c’era il boccascena, dove gli attori interpretavano i ruoli, sebbene si trasferissero anche nell’orchestra.

Dei teatri dell’Antica Grecia, alcuni dei più importanti sono il Teatro di Epidauro, il Teatro di Dodona, l’Odeon di Erode Attico , il Teatro di Delfi, il Teatro di Segesta, il Teatro di Siracusa e il Teatro di Dioniso.

Una semplice tenda o una capanna era posta sul retro del cerchio dell’orchestra, chiamata skene, serviva da sfondo per l’azione, da zona di vestizione per gli attori e da magazzino. Una bassa piattaforma di fronte alla skene costituiva il palcoscenico su cui si esibivano gli attori. Il palco era leggermente rialzato rispetto al livello dell’orchestra per distinguere gli attori dal coro. Gli attori e i cori usavano rampe lungo il palcoscenico e la skene per entrare e uscire.

Gli attori greci indossavano costumi elaborati e maschere con caratteristiche esagerate che suggerivano varie emozioni. I teatri greci, tuttavia, non avevano una scenografia. Le ambientazioni venivano invece trasmesse attraverso le parole degli attori e dei cori. I teatri disponevano di semplici dispositivi meccanici per facilitare alcune azioni. Una gru chiamata mechane, ad esempio, veniva talvolta utilizzata per far oscillare i personaggi nell’aria e suggerire l’idea del volo.

Le dimensioni dei teatri greci variavano notevolmente. I teatri delle grandi città erano spesso enormi. Il Teatro di Dioniso di Atene, costruito nel 400 a.C., ospitava circa 15.000 spettatori. Poiché le parole pronunciate dagli attori erano molto importanti, i grandi teatri erano situati e costruiti con cura per garantire che tutti gli spettatori potessero sentire gli attori.

Schema visivo del funzionamento e della posizione dell'Ekkyklema
Schema visivo del funzionamento e della posizione della Mechane e dell’Ekkyklema (Macchina teatrale di legno montata su ruote, in uso nell’antica Grecia, mediante la quale si faceva apparire agli occhi degli spettatori quanto avveniva nell’interno di un ambiente. fonte Treccani.it)

Deus ex machina

Nelle opere greche comparivano spesso attori che interpretavano divinità, che dovevano essere rappresentate in modo diverso dai personaggi umani. Quando un dio o una dea apparivano sul palcoscenico, l’arrivo era solitamente segnalato in qualche modo speciale. Molti teatri greci usavano una gru (mechane) per portare una divinità in volo e sul palcoscenico. Da questo deriva l’espressione latina deus ex machina (dio dalla macchina). Si riferiva al tentativo di un drammaturgo di risolvere la sua trama introducendo un dio che risolvesse il dilemma umano con mezzi miracolosi. Ancora oggi, l’espressione si riferisce al tentativo di uno scrittore di risolvere una trama con mezzi improbabili o artificiosi.

(Liberamente tratto da Encyclopedia of the Ancient Greek World, di David Sacks, 1995, da Ancient Greece and Rome: An Encyclopedia for Students, Carroll Moulton, 1998 e da The Ancient Greeks For Dummies, Stephen Batchelor, 2008 con aggiunte e integrazioni dalle edizioni in varie lingue di Wikipedia)

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