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THANATOS E HYPNOS

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Thanatos, Mauricio García Vega
Thanatos, Mauricio García Vega

Sonno, morte e sogni

La morte fu personificata dagli antichi in diversi modi. La morte violenta in battaglia era rappresentata dalle Cere (Ker o Keres, da non confondere con la dea romana delle messi, Cerere), divinità terribili le quali si compiacevano di aggirarsi per il campo di battaglia, avvolte in sanguinoso manto, in compagnia della Contesa (Eris) dello strepito della pugna e degli altri compagni di Ares; e crudelmente inesorabili via traevano morti e feriti.

Vi erano poi anche altre Cere che non in battaglia, ma in altre occasioni, per via di discordie e di risse, per via delle malattie o della decrepitezza insidiavano alla vita dei mortali.

Oltre a ciò la morte era rappresentata anche da altre divinità come Apollo e Artemide, e tra le infernali da Plutone e Persefone.

Sonno e suo fratello Morte figli della Notte, di Evelyn De Morgan (1883)
Sonno e suo fratello Morte figli della Notte, di Evelyn De Morgan (1883)

Infine un Dio speciale della morte fu ideato in Thanatos (Morte) che era detto essere il fratello gemello del Hypnos (Sonno) secondo Esiodo costoro eran figli di Nyx (Notte), La loro dimora era nel regno delle ombre, negli Inferi, e da lì sorgevano sulla terra a sorprendere i mortali, Thanatos era temuto e odiato come il nemico dell’umanità, un essere crudele, che non conosce alcuna pietà, mentre suo fratello Hypnos era universalmente amato e accolto come l’amico più gentile, buono d’indole e benefico degli uomini.

Ma sebbene gli antichi considerassero Thanatos una divinità cupa e triste, non lo rappresentavano con un aspetto terrificante. Al contrario, egli appare come un bel giovane, che tiene in mano capovolta una torcia, emblema della luce della vita che si spegne, mentre l’altro braccio viene gettato amorevolmente intorno alla spalla del fratello Ipno.

Col tempo l’idea della Morte si fece meno temibile; fu definita il sonno eterno, e il Sonno stesso divenne un’espressione eufemistica della morte. — Insieme con la Morte e il Sonno erano venerati anche i loro parenti, i Sogni, che abitavano, secondo Omero, di là dall’Oceano, nell’estremo Occidente.

Sonno e suo fratello Morte figli della Notte, di Evelyn De Morgan (1883)
Sonno e suo fratello Morte figli della Notte, di Evelyn De Morgan (1883)

Ipno

Hypnos è talvolta raffigurato in piedi con gli occhi chiusi; altre volte è in posizione sdraiata accanto a suo fratello Thanatos e di solito tiene in mano un gambo di papavero.

Una descrizione molto interessante della dimora di Ipno è data da Ovidio nelle sue Metamorfosi. Egli ci racconta come il dio del sonno abitasse in una grotta di montagna vicino al regno dei Cimmeri, che il sole non raggiungeva mai con i suoi raggi. Nessun suono ne turbava la quiete, nessun canto degli uccelli, nessun ramo si muoveva e nessuna voce umana rompeva il profondo silenzio che regnava ovunque. 

Dalle rocce più basse della grotta sgorgava il fiume Lete, e si sarebbe potuto quasi supporre che il suo corso fosse immobile, se non fosse stato per lo scrosciare basso e monotono dell’acqua che si udiva e che invitava al sonno. L’ingresso era parzialmente nascosto da innumerevoli papaveri bianchi e rossi, che Madre Notte vi aveva raccolto e piantato e dal cui succo il dio estraeva un sonnifero che spargeva in gocce liquide per tutta la terra, non appena l’altro essere divino, il sole, fosse tramontato per riposare. 

Al centro della grotta si trova un divano di ebano nerissimo, con un letto di piume sul quale era posata una coperta color zibellino. Qui riposava il dio stesso, circondato da innumerevoli esseri. I suoi erano sogni oziosi e più numerosi delle sabbie del mare. 

Si diceva vi fossero due porte, una di corno l’altra d’avorio ; dall’ultima, essendo l’avorio un corpo opaco, uscivano i sogni falsi ed ambigui che portano con sè fantasmi fallaci e vani; dall’altra, essendo il corno trasparente, uscivano i sogni veri e di facile spiegazione. Tra gli Dei dei sogni si annoveravano Morfeo, il più importante, che si diceva apparisse semplicemente in forma di qualche persona nota, Ichelo che assumeva qualsiasi forma anche di bestia, ed era detto anche Fobetore (apportatore di paura), infine Fantaso, che appariva in forma di cose animate.

Neppure lo stesso dio del sonno poteva resistere al proprio potere; poiché, sebbene potesse svegliarsi per un po’, presto soccombeva alle influenze ipnotiche che lo circondavano. 

Presso i romani

I Romani adottarono le stesse idee circa il Sonno, la Morte e i Sogni. Però è da notare che in antico essi avevano il loro Dio della morte nel così detto Orcus, colui che accoglie (cfr. arca, arcanus). S’immaginava che l’Orco avesse una sorta di granaio, dove riponeva le ombre, proprio come il mietitore fa quando raccoglie il frumento mietuto.

Talvolta lo si rappresentava  come di uno armato di falce che a tempo debito coglie chi deve, non risparmiando chi tenti sfuggirgli; oppure lo si pensava come una figura dalle ali nere che vola intorno a sorprendere e trascinar via le vite. sIn ogni caso l’Orco era sempre concepito come un essere silenzioso e silenziose si dicevano le ombre dei trapassati.

Morte di Sarpedonte mentre Hermes osserva, Cratere di Eufronio (515 a.C.), Attica
Morte di Sarpedonte mentre Hermes osserva, Cratere di Eufronio (515 a.C.), Attica

Nell’arte

Noto è l’episodio del XIV libro dell’Iliade, dove Era prega il Sonno, colui che tutti doma, uomini e Dei, ad infondere profondo sopore nelle membra di Zeus, perché Posidone potesse, senza alcun impedimento, dare soccorso agli Achei.

Già un’altra volta il Sonno aveva addormentato Zeus, su richiesta di Era; ma quando Zeus si svegliò, si adirò contro lui, e l’avrebbe precipitato in mare se non fosse stato soccorso da sua madre, la Notte.

Ma la più bella descrizione del Sonno e della sua casa si legge, come dicevamo prima, nel XI delle Metamorfosi d’Ovidio (v. 592 e sgg.) là dove si racconta come Iride fosse venuta a nome di Giunone per invitare il Sonno a dar notizia ad Alcione della morte di suo marito Ceice. Qui si dicono compagni del Sonno i Sogni, suoi figli e ministri , ed è Morfeo quegli che obbedendo all’ordine avuto prende le forme di Ceice e così compare alla povera Alcione riempiendola di dolore.

Rappresentazioni letterarie di Tanato le abbiamo in un dramma satirico di Eschilo, ove si sceneggiava la leggenda di Sisifo che vince in astuzia la Morte e l’incatena.

Anche nell’Alcesti di Euripide, la Morte appare con nere ali, sguardo torvo e un coltello in mano per recidere ai morituri quel capello, il cui taglio consacrava la loro testa agli Dei infernali.  All’inizio della tragedia, la Morte discorre con Febo, che invano tenta distoglierla dal suo proposito di portar via con sé l’infelice regina consacratasi alla morte per la salvezza di suo marito Admeto.

L’ arte dapprima rappresentò la Morte e il Sonno con quella differenza d’aspetto che è accennata in Omero ed Esiodo; ad esempio sull’arca di Cipselo (cassa di legno con figure, consacrata in Olimpia dai Cipselidi tiranni di Corinto) era impressa la Notte che portava in braccio da una parte un fanciullo nero, dall’altra un fanciullo bianco, addormentati entrambi, colla scritta : Thanatos e Hypnos.

Col tempo si modificò questo tipo della morte, prevalendo sempre più l’idea di raffigurarla come un bel giovane, come Endimione od Eros, ora alato or no, generalmente in atto di dormire e colla face spenta o ancor accesa ma rovesciata. Tale la figura che si scorge spesso sui monumenti sepolcrali dell’età imperiale.

(Libera rielaborazione  e adattamento da E. M. Berens. “The Myths and Legends of Ancient Greece and Rome”, 1880) e da Mitologia classica illustrata, Felice Ramorino, 1897)

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