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TIBERINUS: IL BIONDO TEVERE

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Tiberinus and Aeneas

Il nome

Tiberinus, Tiberis (Thybris) è il dio-fiume che gioca un ruolo fondamentale nella storia e nella leggenda di Roma. La migliore interpretazione che la linguistica moderna ha trovato del nome Tiberis, relativo a Tibur, Tifata, Tibernum (la differenza delle quantità prosodiche è irrilevante), è quella che lo spiega con: torrente proveniente dalla montagna. Quelle che, nell’antichità, lo fanno derivare da personaggi favolosi come Thebris re d’Etruria, Tybris re di Sicilia, Tiberinus re d’Alba, ecc., hanno solo il valore di curiosità mitologiche dettate dallo spirito di Evemero

Il nome, abbastanza sorprendentemente, non figura né nell’Indigitamenta né nella storia dei sacerdozi più antichi; tuttavia si trova nelle preghiere dei Pontefici e degli Auguri. Sappiamo da un commentario del Eneide, che attingeva specialmente da Verrio Flacco, che c’era differenza tra i vari termini che designavano il fiume. Tiberis è usato nel linguaggio comune: Tiberinus ha il carattere religioso; Thybris è la forma preferita dai poeti, in particolare da Virgilio che, senza escludere le altre, la scrive così. Ridotta ai suoi elementi nazionali e primitivi, la religione del Tevere ha tutte le caratteristiche di un culto delle forze della natura, di cui la fantasia religiosa crea prima dei mostri che si trasformano nel tempo in figure eroiche di fattezza umana. 

Il Dio Tiberinus con Romolo e Remo, autore ignoto, scuola romana tra 700 e 800

Il dio fluviale

I libri degli Auguri lo identificavano con un serpente, per le sinuosità del suo corso; altri testi sacri lo invocavano col nome di serra, “sega”, perché ne delimitava e ne tagliava gli argini: quasi ripas ruminans et exedens (“ mentre erode le rive e le logora (lett. “le divora”] “Servius, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, 8); e un significato analogo fu dato alla parola Rumon, che i moderni interpretano come “colui che rumina” ma anche “che scorre”. Un testo di sant’Agostino, documentato in Varrone e in Seneca, cita Tiberino tra le divinità più antiche ed eminenti di Roma.

Troviamo testimonianza di questa antichità in Virgilio, nell’invocazione di un guerriero che promette di appendere le spoglie del suo nemico ai rami della quercia consacrata al fiume. Parimenti Orazio Coclite, in piedi davanti agli Etruschi sul ponte Sublicio, al momento di saltare tra le onde, prega il dio di ricevere lui e le sue armi, per salvarle dai nemici. Servio ci ha conservato la forma dell’antica preghiera: “adesto, Tiberine, cum tuis undis…” (“Mostrati, Tiberino, con le tue onde” – Serv. Aen. VIII, 72), che i poeti Ennio e Virgilio alterarono appena per dargli un posto nelle loro epopee, l’ultima associando il torrente alle Ninfe dei fiumi . 

In una strofa, Orazio mette in evidenza la doppia fisionomia del dio fluviale che, formidabile per i suoi eccessi, è benefico per l’azione fecondatrice delle sue acque e per gli impianti che apporta all’approvvigionamento della grande città. Il poeta lo associa sia alla leggenda degli antichi eroi, sia agli eventi felici o disastrosi della storia recente. Ilia o Rea Silvia, la madre dei Gemelli, diventa la moglie del dio Tevere, dopo essere stato gettata nel fiume; ed è lei che geme per l’uccisione di Cesare, suo discendente dalla gens Julia. In tutti questi passaggi, mentre presso i Greci le divinità fluviali sono strettamente identificate con l’elemento acquatico, la pietos positiva dei Romani le distingue da esso. 

Così sacro e così intoccabile

Il Tevere, deus loci, emerge dalle onde e riprende il suo posto nel profondo, come in una dimora, dopo aver parlato, agito e ascoltato i suoi fedeli. Nasce così l’idea degli atri Tiberis, una sorta di palazzo dove risiedeva la persona del dio. Si trovava in un’ansa del fiume, tra Roma ed Ostia; e allo stesso modo interpretarono alcuni commentatori la hic mihi magna domus, frase che Virgilio fa pronunciare al dio che conversa con Enea

Questa concezione di residenza reale di fiumi divinizzati, in particolare del Tevere, è sfruttata dagli ultimi poeti della latinità.

La testimonianza più eclatante che ci è stata conservata del rispetto superstizioso con cui la divinità del Tevere e dei suoi affluenti era osservata dai loro abitanti, anche in un’epoca illuminata e scettica, è l’opposizione che incontrò l’opinione pubblica, non solo delle folle ma anche delle menti colte, alle opere di rettifica progettate sotto Augusto e riprese sotto Tiberio, allo scopo di porre rimedio alle disastrose e frequenti inondazioni. Tacito ci racconta come il senato, consultato, fu indotto ad abbandonare il progetto, perché tutto ciò era visto come un attacco alla divinità del fiume.

Tiberio non volle neppure che si consultassero i libri sibillini su questo punto; e mentre i rivieraschi che abitavano lungo gli affluenti, dai quali si trattava di deviare il corso del fiume, sostenevano invece per ragioni economiche, le motivazioni reali erano determinate soprattutto da questioni religiose, per arrivare infine a non innovare nulla: “Non si doveva un po’ di rispetto ai pii sentimenti degli alleati che avevano dedicato ai fiumi dei loro paesi feste, radure sacre e altari? Meglio così; il Tevere stesso si indignerebbe di essere esposto, una volta privato del tributo dei fiumi vicini, a scorrere meno gloriosamente”

Feste

A Roma, il Tevere aveva un santuario sull’isola Tberina, la cui dedicazione veniva commemorata il 1° dicembre, e il 7 giugno si celebrava una festa di pescatori e nuotatori, trans Tiberim, che era in onore del fiume. Erano gli ludi piscatorii, che il poeta Ovidio cita tra le gioie popolari che lo avevano incantato nella sua infanzia. Designati come Tiberinalia in alcuni calendari e Porlunalia in altri, cadevano il 17 agosto e venivano celebrati sia a Roma, presso il ponte Emiliano, che ad Ostia

Per questo Mommsen pensò di dover identificare il dio Portonos con lo stesso Tiberino. Ma come nella lista dei Flaminis incontri entrambi sia il FI. Portunalis che un il Fl. Volturnalis, quest’ultimo incaricato del culto di Volturnus che altro non è che il Tevere, almeno a Roma (c’è anche un fiume Volturnus in Campania), dobbiamo lasciare le Portunalia al dio Portuno, protettore dei magazzini, e supponiamo che i calendari abbiano fatto confusione. 

Tra i tributi pagati al Tevere va ricordata la processione dell’Argea, con l’immersione di manichini di vimini gettati dal ponte Sublicio dalle Vestali, alla presenza dei Pontefici e dei Magistrati. Era senza dubbio una cerimonia espiatoria destinata a scongiurare le inondazioni; In origine vi dovevano essere sacrificate vittime umane che furono successivamente sostituite, sotto l’influenza di una civiltà più clemente, da altrettante offerte simulate.Il principio di questa sostituzione, di cui gli esempi nei culti greco-romani sono innumerevoli, ci è fornito dal commentatore dell’Eneide che spiega il sacrificio di Ifigenia: “L’immolazione non ha avuto luogo realmente, perché nel culto il simulacro prende il posto della vittima”

Iscrizioni

Rare sono le iscrizioni in onore dei Tiber; almeno il loro numero non è proporzionato all’importanza dei sentimenti che suscitava e con il posto che occupava nell’opera dei poeti al tempo di Augusto, in particolare in quella di Virgilio e Ovidio Una sola iscrizione, proveniente da Hortanum o Horta in Etruria, cita il primo altare che fu eretto in suo onore, e quella di un soldato che dice di averla dedicato all’inizio della sua carriera. 

Risale al regno di Diocleziano quella che esalta Tiberinus Pater aquarium omnium, qualificazione che ricorda Okéanos, il fiume per eccellenza di Homero. L’autore dell’iscrizione la trasse meno dal linguaggio rituale che dalle sue memorie letterarie; si trova infatti successivamente in Ennio, Virgilio e nel retore Frontone. Il Tevere è rappresentato dall’arte, su monete, bassorilievi e sotto forma di statue, conforme al tipo delle divinità fluviali della Grecia. Ha i lineamenti di un vecchio barbuto, coronato di canne, sdraiato e appoggiato sui gomiti, che il più delle volte fa uscire l’acqua da un’urna, o tiene un remo come scettro. Così lo descrivono i poeti, in particolare Virgilio. Parallelamente al Nilo, compare sulle monete di Alessandria dove si invoca l’unione di Roma e dell’Egitto (`???????) per il trasporto dei cereali; altrove è solo e mollemente disteso, posa la mano sulla prua di una nave. 

Statue

La statuaria ha parimenti accoppiato i due fiumi, come si evince dalle figure sdraiate, una del Nilo in marmo nero, l’altra del Tevere in marmo bianco. Questa è riconoscibile dalla Lupa romana e dai gemelli; il Nilo dalla presenza di un coccodrillo, di una sfinge o di un ippopotamo. I bassorilievi riproducono l’incontro di Marte e Rea Silvia con il Tevere, suo sposo. Per la maestosità del suo atteggiamento e gli attributi della vita attiva e opulenta che si sviluppa lungo il suo corso, dalla sorgente alla foce, e anche lungo la costa fino a Pozzuoli, da dove provenivano le navi cariche di grano dirette a Roma, è la personificazione più espressiva della prosperità commerciale.

Veduta del Tevere da Via Marmorata, Roma, Gaspare Vanvitelli (1653–1736)

(Libera rielaborazione  e adattamento da Le Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines de Daremberg et Saglio, 1873)

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