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I re greci, discendenti di Pelope, sono costretti dal giuramento di Tindaro a unirsi alla causa di Menelao, marito di Elena. Quest'ultimo, accompagnato da Nestore, viaggia attraverso la Grecia per ricordare a tutti loro la loro promessa. Accompagnato dal fratello Agamennone e Palamede, Menelao troverà Odisseo ad Itaca, riluttante a causa di un oracolo che ha sentito. Per evitare di dover partire, egli simula la follia: vestito da contadino, ara un campo con un asino e un bue attaccati allo stesso aratro, e si getta il sale sulle spalle. Palamede pone quindi il giovane Telemaco, figlio di Ulisse, davanti all'aratro in movimento. Odisseo tira forte le redini, dimostrando di essere sano di mente. A questo episodio possiamo attribuire un significato metaforico: il bue e l'asino rappresentano Zeus e Crono, ogni solco seminato di sale indica un anno perduto, e Telemaco segna la “vittoria decisiva”. Secondo gli scrittori successivi, il veggente Calcante predisse che Troia non avrebbe potuto essere presa senza Achille, figlio di Teti. Sua madre, per proteggerlo dalla guerra, lo nascose, travestito da fanciulla, presso Licomede, re di Sciro. Ma fu confuso da uno stratagemma di Odisseo, che suscitò l' istinto guerriero del giovane e lo spinse a rivelarsi suonando le trombe di guerra alle porte della città. Tuttavia Omero dice semplicemente che Nestore e Ulisse, giunti a Ftia per reclutare truppe, furono affidati ad Achille da suo padre Peleo.
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Per dieci lunghi anni Agamennone e gli altri capi dedicarono tutte le loro energie e i loro mezzi alla preparazione della spedizione contro Troia. Ma durante questi preparativi di guerra non fu trascurato di tentare una soluzione pacifica del conflitto. Un’ambasciata composta da Menelao, Odisseo, ecc., fu inviata al re Priamo chiedendo la restituzione di Elena; ma sebbene la delegazione fosse accolta con il massimo sfarzo e cerimonie possibili, la richiesta fu nondimeno respinta; dopo di che gli ambasciatori tornarono in Grecia e fu dato l’ordine che la flotta si riunisse ad Aulide, in Beozia.
Mai prima negli annali della Grecia era stato raccolto un esercito così grande. Centomila guerrieri si erano radunati ad Aulide, e nella sua baia erano ormeggiate più di mille navi, pronte a condurle alla costa di Troia. Il comando di questo potente esercito fu affidato ad Agamennone, re di Argo, il più potente di tutti i principi greci.
Prima che la flotta salpasse, furono offerti solenni sacrifici agli dei sulla riva del mare, quando improvvisamente un serpente fu visto salire su un platano, sul quale stava un nido di passeri contenente nove pulcini. Il rettile divorò prima i giovani uccelli e poi la loro madre, dopodiché fu trasformato da Zeus in pietra. Calcante, il sommo sacerdote, fu chiamato a indovinare cosa potesse significare lo strano avvenimento. rispose: “Nove anni dovremo combattere intorno a Ilio, e il decimo prenderemo la città”.
Quando non c’era il GPS
La flotta poi salpò; ma scambiando la costa Misia per quella di Troia, fecero sbarcare le truppe e cominciarono a devastare il paese. Telefo, re dei Misi, che era figlio del grande eroe Eracle, si oppose loro con un grande esercito, e riuscì a riportarli alle loro navi, ma fu lui stesso ferito nello scontro dalla lancia di Achille.
Anche Patroclo, che combatté valorosamente al suo fianco, fu ferito in questa battaglia; ma Achille, che fu discepolo di Chirone, bendò accuratamente la ferita, riuscendola a sanare; da questo avvenimento risale la celebre amicizia che per sempre avrebbe legato i due eroi, i quali anche nella morte rimasero uniti.
Anche Telefo aveva ricevuto una ferita da una lancia d’Achille nello scontro, e, vedendo che non si sarebbe rimarginata, consultò un oracolo a riguardo. La risposta dell’oracolo fu che poteva essere guarito solo da colui che l’aveva causato. Nel frattempo un altro oracolo fu comunicato ai Greci, affinché Telefo li conducesse a Troia. Come ciò avvenne lo vedremo presto.
La ferita di Telefo
In conseguenza dell’oracolo relativo alla ferita che aveva ricevuto dalla lancia di Achille, Telefo si recò ad Aulide, dove giaceva la flotta greca, e si presentò sotto mentite spoglie ad Agamennone, quindi gli sottrasse il figlio neonato, Oreste, che Clitennestra aveva portato con sé, e minacciò di uccidere il bambino, se gli fossero state rifiutate le cure mediche. Intervenne Odisseo, e rimuovendo un po’ della ruggine dalla lancia d’Achille, lo applicò alla ferita e la guarì. Allora Telefo offrì i suoi servigi per guidare la spedizione, ed essendo così adempiuto l’oracolo, i Greci salparono una seconda volta per Troia, sbarcando prima a Lemno, per sacrificare su un altare ivi innalzato da Eracle.
Filottete
Essendosi finalmente levato un bel vento, la flotta salpò ancora una volta. Si fermarono prima all’isola di Tenedo, dove il famoso arciere Filottete, che possedeva l’arco e le frecce di Eracle, datigli dall’eroe morente, fu morso al piede da un serpente velenoso.
L’agonia lo faceva gridare continuamente per il dolore e l’odore emesso dalla piaga, che non si riusciva a curare in alcun modo, era diventato ormai così insopportabile che, su suggerimento di Ulisse, Filottete fu condotto nell’isola di Lesbo, dove, con suo grande dispiacere, fu abbandonato al suo destino e la flotta proseguì il viaggio verso Troia .
(Libera traduzione e adattamento, da Myths and Legend of Ancient Greece and Rome di E. M. Berens, 1880, con aggiunte e integrazioni)
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Quando Agamennone uccise inavvertitamente la cerva di Artemide in Aulide, la dea infuriata, scatenò venti contrari ai Greci. Furono quindi consultati i veggenti e la risposta fu che Agamennone doveva col sacrificio di qualcuno del suo stesso sangue placare la dea. Odisseo, dunque, inviato, rapì Ifigenia con l'astuzia, dalla madre, fingendo di farla sposare con Achille. Nel momento in cui doveva essere sacrificata, la dea ne ebbe compassione e mise una cerva al suo posto. Quindi trasferì la vergine nel paese della Tauride, retta dal re, suo devoto, Toante, che usava compiere sacrifici umani. Quando poi, giunse in quei naufrago Oreste, spinto dalle furie, e questi doveva perciò essere sacrificato, fu riconosciuto e liberato dalla stessa sorella Ifigenia, con il quale lei fuggì non molto tempo dopo, morto Toante, portando via l'immagine di Artemide con sé, e nascondendola in un fascio di legna. Arrivati in Italia , si stabilirono nel bosco di Aricino. La fonte principale di Ifigenia sono per noi le due tragedie complete dell'Ifigenia di Aulidie e dall'Ifigenia in Tauride di Euripide. Il poeta romano Lucrezio utilizzò la storia del sacrificio di Ifigenia per dimostrare la crudeltà delle religioni e per lodare il maestro Epicuro per aver liberato gli uomini dal timore degli dei.