Il periodo d'argento della letteratura va a partire già dal 14 d.C. (anno della morte di Augusto). I questo periodo, i rapporti tra scrittori e imperatori non furono sempre buoni. Basti pensare alla vita del filosofo stoico Seneca: l'imperatore Caligola voleva ucciderlo, Claudio lo esiliò (e Seneca si vendicò beffandolo nella satira L'Apokolokyntosis) e Nerone (che era stato anche suo allievo) lo condannò a morte per cospirazione contro di lui.
Continua a leggere... »
Sandali grossi e cervello fino…
Tito Flavio Vespasiano, imperatore romano dall 70 al 79, nacque il 18 novembre del 9 d.C. nella Sabina, presso Reate (Rieti). Suo padre era un esattore delle tasse e un piccolo usuraio; sua madre, Vespasia Polla, era figlia di un praefectus Castrorum e la sorella di un senatore. Rimase vedova con due figli, Flavio Sabino e Vespasiano. Deposta la toga virilis, Vespasiano, con riluttanza e su pressante sollecitazione della madre, assunse il latus clavus. Dopo aver prestato servizio con l’esercito in Tracia ed essere stato questore a Creta e Cirene, Vespasiano salì al rango di edile e pretore, avendo nel frattempo sposato Flavia Domitilla, figlia di un cavaliere romano, dalla quale ebbe due figli, Tito e Domiziano, poi imperatori.
Dopo aver già prestato servizio in Germania, negli anni 43 e 44, sotto Claudio, dove fu inviato grazie all’influenza di Narciso come legatus legionis; nel 43 d.C. si distinse al comando della II legione in Britannia sotto Aulo Plauzio. Sottomise Vectis (Isola di Wight) e penetrò fino ai confini del Somersetshire. Nel 51, sotto il regno di Nerone, fu per un breve periodo console; nel 63 si recò come governatore in Africa, dove, secondo Tacito (II. 97), il suo governo fu “infame e odioso”; secondo Svetonio (Vesp. 4), “retto e altamente onorevole”.
In questo periodo era molto povero e fu accusato di procurarsi denaro con mezzi disonesti. Si dice infatti che l’amore per il denaro sia sempre stato uno dei suoi difetti.
Aveva molte grandi qualità e alcune meschine, una combinazione tutt’altro che rara. Il suo corpo era forte e la sua salute buona; si racconta che era solito digiunare un giorno al mese. (Sueton. Vespas. 8.)
Il soldato che non stava simpatico a Nerone
Si recò con il seguito di Nerone in Grecia, ma si alienò le simpatie dell’imperatore cantore, perché Vespasiano non apprezzava le capacità vocali di Nerone; dunque questi gli proibì di comparire in sua presenza. Nel 66 però, sempre Nerone lo incaricò di condurre la guerra in Giudea, che minacciava un’agitazione generale in tutto l’Oriente, a causa dell’idea largamente diffusa da quelle parti, che dalla Giudea sarebbero venuti i futuri governanti del mondo. A Vespasiano, che aveva una forte vena di superstizione, fu fatto credere che sarebbe stato lui stesso a soddisfare questa aspettativa, e furono interpretati in suo favore ogni sorta di presagi, oracoli e portenti.
Trovò incoraggiamento anche in Muciano, il governatore della Siria, che, pur essendo un severo disciplinatore e riformatore di abusi, aveva una soldataglia completamente devota a lui. Tutti gli occhi dell’Oriente erano ora puntati su Vespasiano; Muciano e le legioni siriane erano ansiosi di sostenerlo; e il 1° luglio del 69, mentre si trovava a Cesarea, fu proclamato imperatore, prima dall’esercito in Egitto e poi dalle sue truppe in Giudea. Le legioni d’Oriente prestarono subito il consueto giuramento di fedeltà.
Tuttavia, Vitellio, che occupava il trono, aveva dalla sua parte le legioni veterane della Gallia e della Germania, le migliori truppe di Roma. Ma il sentimento a favore di Vespasiano si rafforzò rapidamente e gli eserciti della Moesia, della Pannonia e dell’Illirico si dichiararono presto a suo favore, rendendolo di fatto padrone di metà del mondo romano. Entrarono in Italia a nord-est sotto la guida di Antonio Primo, sconfissero l’esercito di Vitellio a Bedriacum (o Betriacum), saccheggiarono Cremona e avanzarono verso Roma, nella quale entrarono dopo furiosi combattimenti e una spaventosa confusione, durante la quale il Campidoglio fu distrutto da un incendio.
Superstizioso, avaro e…guaritore
Il nuovo imperatore ricevette la notizia della sconfitta e della morte del rivale ad Alessandria d’Egitto, dove incontrò anche Apollonio di Tiana, e da dove inviò subito a Roma i rifornimenti di grano di cui c’era urgente bisogno, insieme a un editto o a una dichiarazione di politica, in cui assicurava l’inversione totale delle leggi di Nerone, soprattutto quelle relative al tradimento.
Dione Cassio dice che si rese odioso agli alessandrini aumentando le tasse e imponendone di nuove, e gli alessandrini, secondo il loro uso, si vendicarono con la satira e il sarcasmo.
Durante la sua permanenza in Egitto, si lasciò sempre più prendere dalla superstizione, consultando astrologi e lasciandosi lusingare dalla convinzione di possedere un potere divino in grado di fare miracoli.
Ad Alessandria si dice che Vespasiano abbia guarito un uomo con una malattia agli occhi e un altro con una mano paralizzata, anche se probabilmente nessuno dei due casi era al di là dei mezzi ordinari dell’arte curativa. (Tac. Hist. 4.81.)
Lasciata la guerra in Giudea al figlio Tito, giunse a Roma nel 70. Dedicò subito le sue energie a riparare i mali causati dalla guerra civile.
Ripristinò la disciplina nell’esercito, che sotto Vitellio era caduto nella più completa insubordinazione, e, con la collaborazione del Senato, rimise in sesto il governo e le finanze. Rinnovò le vecchie tasse e ne istituì di nuove, aumentò i tributi delle province e tenne sotto controllo i funzionari dell’erario. Con il suo esempio di semplicità di vita, mise in cattiva luce il lusso e la stravaganza dei nobili romani e avviò per molti aspetti un netto miglioramento del tono generale della società.
Il Senato? D’ora in poi solo imperatori!
Il Senato conferì a Vespasiano il titolo imperiale, con una specifica enumerazione di poteri; il Senatus-consultum fu confermato da una Lex di cui ci rimane un frammento. Tito fu nominato console per l’anno successivo insieme al padre.
La prima preoccupazione del Senato dopo la morte di Vitellio fu quella di ricostruire il Campidoglio, che era stato recentemente incendiato; ed Elvidio Prisco pose la prima pietra il 21 giugno con grande solennità. (Tac. Hist. 4.53.) Vespasiano restaurò tremila lastre di bronzo, che erano state danneggiate nell’incendio, i preziosi documenti dello Stato romano. (Sueton. Vespas. 100.8.) A questo scopo si cercarono accuratamente tutte le copie degli originali perduti.
Come censore elevò il carattere del senato, rimuovendo i membri inadatti e indegni e promuovendo uomini validi e capaci, tra cui l’eccellente Giulio Agricola. Allo stesso tempo lo rese più dipendente dall’imperatore, esercitando un’influenza sulla sua composizione. Modificò la costituzione della guardia pretoriana, nella quale erano arruolati solo Italiani, formati in nove coorti.
In quell’anno i Sarmati invasero la Maesia e uccisero il governatore, Fonteio Agrippa. Rubrio Gallo, inviato da Vespasiano, costrinse i Sarmati a ritirarsi oltre il fiume.
Ma qui si rivoltano tutti!
Nel 70 fu repressa una formidabile rivolta in Gallia, guidata da Claudio Civilis, guercio come Annibale e Sertorio, e uno dei più illustri tra i Batavi, e la frontiera tedesca fu resa sicura.
Vespasiano abrogò le leggi di Nerone e dei suoi tre successori per quanto riguardava il reato di laesa majestas; bandì anche gli astrologi, eppure egli stesso li consultava, poiché tutto il suo buon senso non lo aveva messo al di sopra di questa superstizione. (Tac. Hist. 2.28.)
La guerra giudaica si concluse con la conquista di Gerusalemme da parte di Tito e l’anno successivo, dopo il trionfo congiunto di Vespasiano e Tito, memorabile in quanto prima occasione in cui un padre e un figlio furono associati insieme, il tempio di Giano fu chiuso e il mondo romano ebbe riposo per i restanti nove anni del regno di Vespasiano. La pace di Vespasiano divenne un proverbio.
La presa di Gerusalemme e la diaspora ebraica
Il regno di Vespasiano fu caratterizzato da importanti successi militari all’estero e da stupende opere pubbliche intraprese a Roma. Dopo uno degli assedi più tormentati della storia, Gerusalemme fu presa da Tito, figlio di Vespasiano. Il Tempio fu distrutto e si ritiene che più di un milione di ebrei che risiedevano nella città siano stati uccisi. Moltissimi subirono la morte per crocifissione. I miseri resti della nazione furono dispersi ovunque nel mondo. Flavio Giuseppe, il grande storico, accompagnò il conquistatore a Roma. A imitazione di Nabucodonosor, Tito derubò il Tempio dei suoi utensili sacri e li portò via come trofei. Sull’arco trionfale di Roma che porta il suo nome si può vedere ancora oggi la rappresentazione scolpita del candelabro d’oro a sette bracci, che era uno delle prede di guerra.
Nel 78 Agricola si recò in Britannia e ampliò e consolidò il dominio romano in quella provincia, spingendo le sue armi nel Galles settentrionale e nell’isola di Anglesey. L’anno successivo Vespasiano morì, il 23 giugno.
Pregi e difetti
Tacito e Svetonio stigmatizzano Vespasiano di avarizia, ma la sua sembra in realtà essere stata più un’economia illuminata che, nello stato disordinato in cui erano le finanze romane, era una necessità assoluta. Vespasiano poté essere liberale con i senatori e i cavalieri impoveriti, con le città e i paesi desolati da calamità naturali, e soprattutto con i letterati e i professori, molti dei quali furono sostenuti con stipendi assai dignitosi.
Si dice che Quintiliano sia stato il primo insegnante pubblico a godere di questo favore imperiale. La grande opera di Plinio, la Storia naturale, fu scritta durante il regno di Vespasiano e dedicata al figlio Tito. Alcuni dei filosofi che parlavano oziosamente dei bei tempi della repubblica, incoraggiando così indirettamente la cospirazione, lo indussero a ripristinare le obsolete leggi penali contro questa classe, ma solo uno, Elvidio Prisco, fu messo a morte, che aveva oltraggiato l’imperatore con insulti studiati. “Non ucciderò un cane che mi abbaia”, erano parole che esprimevano onestamente il carattere di Vespasiano.
Pecunia non olet: la fama di un imperatore tra WC e tasse sulla pipì
Certamente Vespasiano, tutto si sarebbe immaginato, tranne che di diventare famoso nella cultura di massa solo per due cose: I Vespasiani appunto, i nomi con cui venivano designati i bagni pubblici situati sulle strade (e oggi ormai praticamente scomparsi) e la famosa tassa sull’orina.
Ma come è potuto accadere ciò a un imperatore come Vespasiano, valente generale, protagonista di tante campagne militari, colui che ha salvato l’impero vincendo contro gli scissionisti batavi? Lui che rifondò lo Stato e le finanze pubbliche dopo la disastrosa gestione di Nerone e di Vitellio? Colui che iniziò a costruire il più grande anfiteatro del mondo, il Colosseo?
Tutto inizia con una storia raccontata da Gaio Svetonio Tranquillo (69-130) nel suo libro De Vita Caesarum (Vite dei Cesari).
Le casse dell’Impero Romano erano ormai quasi vuote e Vespasiano aveva già introdotto un’ingente quantità di tassazioni per rimpinguarle; ma ancora non bastava: bisognava trovare nuove forme di imponibile.
A Roma già esistevano molti bagni pubblici (non si usava infatti avere il bagno in casa) e le ‘officine fullonicae’ (oggi diremmo lavanderie o tintorie) avevano sempre bisogno di grandi quantità di urina: essa infatti era molto utilizzata per sbiancare e ripulire i tessuti poiché contiene ammoniaca e nell’antichità non esisteva un processo industriale per ricavarla in qualche altro modo. Per cui le lavanderie inviavano dei garzoni di bottega a farne scorta proprio nei bagni pubblici: non esattamente un incarico piacevole e ambito.
Vespasiano dunque pensò bene di introdurre una tassa sulla raccolta delle urine: in fin dei conti i fullonici si rifornivano gratis di un bene prezioso come l’ammoniaca, e questo grazie alla presenza sul territorio di strutture costruite a spese dello stato: gli orinatoi appunto.
Quando il figlio maggiore ed erede di Vespasiano, Tito, si chiese se questo fosse un modo onorevole per fare soldi, si dice che suo padre gli abbia avvicinato una moneta sotto al naso, chiedendogli se puzzasse! Tito dovette concludere con lui che effettivamente ‘pecunia non olet’ (“il denaro non ha odore”).
La frase è ancora usata per sostenere che il valore del denaro non è contaminato dalle sua provenienza. A causa di questa storia, gli orinatoi pubblici vennero a lunghi chiamati in Italia col nome di Vespasiani. Non proprio un bel modo di passare alla storia (anche se è sempre meglio che diventare famosi per aver bruciato una città mentre cantavi stonando un poema sulla caduta di Troia!)
Sotto Vespasiano furono spesi molti fondi per le opere pubbliche e per il restauro e l’abbellimento di Roma: un nuovo foro, lo splendido tempio della Pace, le terme pubbliche e il vasto Colosseo furono iniziati tutti sotto Vespasiano. Furono riparate le strade e gli acquedotti ed estesi i confini del pomerium.
Il Colosseo è l’Anfiteatro più grande e celebre del mondo antico e un monumento che oggi è il simbolo stesso della romanità, oltre che della stessa città di Roma (come il Partenone ad Atene, la Tour Effeil a Parigi o il Big Ben a Londra). La sua costruzione, situata a est del Foro Romano e nel centro di Roma, iniziò tra il 70 e il 72, sotto l’imperatore Vespasiano, e fu inaugurata nell’80, sotto l’imperatore Tito, suo figlio. I lavori durarono in tutto 12 anni. Il nome ufficiale del Colosseo era Anfiteatro Flavio, che deriva dal cognome “Flavius” appartenente ad entrambi gli imperatori.
Il soprannome Colosseo deriva invece da una statua colossale di Nerone eretta nelle vicinanze, oggi scomparsa.
Il Colosseo era utilizzato per i combattimenti dei gladiatori, per organizzare cacce agli animali selvatici nell’Arena, e per altri spettacoli pubblici. Poteva ospitare tra i 50.000 e gli 80.000 spettatori. Rimase in uso per quasi 500 anni, fino al VI secolo, durante l’Alto Medioevo.
Ultimi anni
Fino all’ultimo Vespasiano fu un soldato semplice e schietto, con una decisa forza di carattere e abilità, e con il fermo proposito di stabilire un buon ordine e assicurare la prosperità e il benessere dei suoi sudditi. Le sue abitudini erano puntuali e regolari, svolgeva i suoi affari al mattino presto e si godeva una siesta dopo aver sbrigato i suoi impegni.
Non si vergognò mai della meschinità della sua origine e ridicolizzò tutti i tentativi di fargli attribuire una genealogia illustre. (Sveton. Vespas. 12.)
Plinio disse di Vespasiano che la grandezza e la maestà non avevano in lui prodotto altro effetto, fuorché di rendere il potere di fare del bene eguale al desiderio di attuarlo. Non aveva il portamento distinto che si cerca in un imperatore. La sua conversazione era libera e il suo umorismo, di cui era ricco, era solito assumere la forma di battute piuttosto grossolane. Si dice che riuscisse a scherzare anche nei suoi ultimi istanti di vita. “Mi sembra di stare diventando un dio” (“Vae, puto deus fio”), sussurrava a chi gli stava intorno. C’è qualcosa di molto caratteristico nell’esclamazione che si dice abbia pronunciato durante la sua ultima malattia, quella che lo portò alla morte; all’ultimo momento chiese ai suoi attendenti di sollevarlo in piedi per finire come si conviene a un imperatore romano : “Un imperatore dovrebbe morire in piedi”.
(Libero adattamento e rimaneggiamento da A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology William Smith, 1848, e da Encyclopædia Britannica Eleventh Edition, 1910-11 con aggiunte e integrazioni.)
Nel prossimo episodio: TITO: CROCE E DELIZIA »