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IL MITO RUSTICO E LA VILLA ROMANA

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Il parco degli acquedotti a Roma
Il parco degli acquedotti a Roma

L’antica Roma era una società complessa e stratificata, con una ricca storia e cultura. Tuttavia, nonostante fossero diventati parte di una società raffinata e sofisticata, i Romani erano ancora legati alle loro radici contadine. Avevano un profondo rispetto per la terra e per il lavoro duro, e credevano che fossero questi valori che avevano reso Roma grande.

In sostanza, gli antichi romani erano un po’ come gli americani di adesso: esattamente come a questi ultimi non piace troppo vedersi assegnata l’immagine degli imperatori del mondo e preferiscono rifarsi al loro passato, romanticamente mitizzato, della frontiera, dei Cow Boys, della terra delle opportunità in cui erano gli uomini duri e forti a vincere nella terra della libertà; così anche i romani, in un contesto storico, culturale e geografico completamente diverso, avevano il loro John Wayne, cioè Romolo, il mitico fondatore di Roma. Se Sergio Leone ha consegnato definitivamente al mito e alla leggenda l’America della frontiera nel film “C’era una volta il West”, Tito Livio ha fatto altrettanto con la storia delle origini di Roma nella sua opera “Ab Urbe Condita”, che potrebbe essere tranquillamente recare come sottotitolo “C’era una volta sui Sette Colli.”

La campagna italiana era il cuore dell’Impero Romano. Era la patria degli antichi antenati romani, e da dove veniva la maggior parte del cibo e della forza lavoro dell’Impero. I Romani erano orgogliosi di essa e la vedevano, certamente idealizzandola, come un luogo di pace, tranquillità e prosperità.

La città di Roma era il centro dell’Impero Romano. Era una grande e vivace metropoli, piena di gente che proveniva da tutte le parti del mondo. I Romani amavano la loro città, ma sapevano anche che era un luogo pericoloso e caotico. La campagna era un luogo dove potevano sfuggire a tutto questo e godersi una vita più semplice.

I trattati e le opere sull’agricoltura

Ricostruzione di un ritratto di Catone il vecchio
Ricostruzione di un ritratto di Catone il vecchio

I tre grandi trattati di agricoltura romani, scritti da Catone (234-149 a.C.), Varrone (116-27 a.C.) e Columella (I° secolo d.C.), sono importanti fonti di informazioni sulla vita agricola nell’antica Roma. Tuttavia, è importante notare che questi trattati erano destinati principalmente a un pubblico di lettori colti, e quindi è improbabile che i contadini comuni li avessero letti o posseduti.

Nonostante ciò, questi trattati di agricoltura ci forniscono informazioni preziose sull’immagine di sé dei Romani e sull’importanza che gli studiosi latini attribuivano al lavoro nei campi. I Romani vedevano l’agricoltura come una virtù fondamentale e credevano che fosse il fondamento della loro società. I trattati forniscono informazioni dettagliate su una vasta gamma di argomenti, tra cui la coltivazione delle colture, l’allevamento del bestiame e la gestione delle fattorie.

I trattati sono anche importanti fonti di informazioni sulla storia e la cultura romana. Forniscono informazioni sui metodi agricoli utilizzati dai Romani, sulle loro tecniche di irrigazione, sulla loro conoscenza delle piante e degli animali, sulla loro alimentazione, sulla vita sociale e economica dei Romani. Forniscono anche informazioni sul ruolo degli schiavi nell’agricoltura, sulla posizione delle donne nelle fattorie, e sui rapporti tra i contadini e i loro padroni.

Macchina da raccolta gallico-romana
Macchina da raccolta gallico-romana

Catone e il De Agri cultura

Marco Porcio Catone, noto anche come Catone il Censore, fu un politico e scrittore romano vissuto nel III e II secolo a.C. Catone nacque a Tuscolo, una città a circa 20 chilometri a sud-est di Roma. Trascorse l’infanzia nella fattoria del padre e sin da piccolo si appassionò all’agricoltura.

Catone sosteneva che l’agricoltura fosse l’unico modo onesto di guadagnarsi da vivere. Le banche e il commercio, sebbene più redditizi, erano attività disonorevoli e rischiose. Catone credeva che i soldati più “coraggiosi e robusti” fossero di stirpe contadina. Sosteneva che l’Impero fosse stato costruito grazie alle legioni reclutate nella campagna romana.

Catone era un uomo di grandi principi e valori. Era un patriota e credeva che l’agricoltura fosse il fondamento della società romana. Il suo trattato di agricoltura, De agri cultura, è un’opera importante che ci offre testimonianze preziose sulla vita agricola nell’antica Roma.

Terenzio Varrone e il Res rusticae

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Ritratto immaginario di Marco Terenzio Varrone

Marco Terenzio Varrone nacque a Reate (Rieti), una città sabina, nel 116 a.C. Studiò letteratura, filosofia e diritto e fece una brillante carriera politica sotto Pompeo Magno. Nel 45 a.C., dopo la morte di Giulio Cesare, si ritirò dalla vita pubblica e si dedicò alla scrittura.

Nel 37 a.C., Varrone iniziò a scrivere a 80 anni le Res rusticae (Sull’economia rurale), un trattato in tre libri sull’agricoltura dedicato alla moglie Fundania, che aveva appena acquistato una fattoria. Il trattato è scritto sotto forma di dialoghi tra personaggi dai nomi rurali, come Scrofa (soprannome che significa anche “scrofa allevata”) o Stolo (“pollone”, germoglio di una pianta o di un albero).

Le Res rusticae, come l’opera di Catone, fornisce informazioni dettagliate su una vasta gamma di argomenti, tra cui la coltivazione delle colture, l’allevamento del bestiame, la manutenzione delle fattorie e la gestione dei lavoratori.

Virgilio e le Georgiche

Le Res rusticae sono state un’importante fonte di ispirazione per Virgilio, contemporaneo di Columella, scrisse le Georgiche, un poema celebrativo sull’agricoltura e il suo ruolo nella società romana in quattro libri. Il primo canto delle Georgiche tratta dell’aratura, il secondo della vite, il terzo del bestiame e il quarto delle api. Le Georgiche sono un’opera di grande bellezza e raffinatezza, e hanno contribuito a diffondere l’ideale rurale tra i Romani.

Le Res rusticae e le Georgiche sono state utilizzate da Augusto e dai suoi successori per rafforzare il patriottismo romano. L’agricoltura era vista come una delle basi della società romana, e i trattati di Varrone e Virgilio hanno contribuito a promuovere l’immagine di Roma come una grande potenza agricola.

Columella e il De Re rustica

Lucio Giunio Moderato Columella nacque in Spagna e si trasferì in Italia, dove visse una vita rurale. Columella scrisse il De Re rustica (Sull’economia rurale) tra il 60 e il 65 d.C., con l’obiettivo di promuovere l’agricoltura italica e contrastare la crescente dipendenza della nazione dai prodotti alimentari importati dall’estero.

Il trattato di Columella tratta di una vasta gamma di argomenti relativi all’agricoltura, tra cui edifici agricoli, colture, frutteti, bestiame, doveri dell’agricoltore e arboricoltura. Columella fornisce istruzioni dettagliate su come rendere redditizia un’azienda agricola e cerca di risvegliare l’interesse dei proprietari terrieri per l’agricoltura.

Scena di una fattoria romana
Scena di una fattoria romana

Vivere in città, ma sognare la campagna

Le metropoli attirano persone da tutti i ceti sociali. Roma non faceva eccezione. Come centro del potere e del commercio, essa era comprensibilmente una città molto attraente. Anche se i Romani godevano dei vantaggi della vita urbana, come l’economia cosmopolita e la varietà di esperienze, spesso rimpiangevano la vita di campagna del passato. Tuttavia, la vita di campagna descritta dai poeti latini era molto diversa dalla realtà della vita dei contadini.

I poeti latini spesso descrivevano la vita nei campi come un’esistenza idilliaca, fatta di pace, tranquillità e semplicità. Tuttavia, la vita dei contadini era invece spesso molto dura. Lavoravano a lungo e faticosamente, e spesso vivevano in povertà. Inoltre, erano soggetti alle intemperie e alle malattie.

La vita di campagna descritta dai versi dei poeti era quindi molto diversa dalla realtà. I poeti idealizzavano la vita dei contadini, non descrivendo mai la loro reale condizione di vita.

Una fattoria romana
Una fattoria romana

Salvare le apparenze 

Anche se la partenza di un vecchio amico mi angoscia, devo approvare la sua decisione di stabilirsi come un eremita a Cuma e di donare almeno un cittadino alla Sibilla. Cuma, porta di Baia, è un approdo piacevole, un rifugio delizioso. Io poi alla Suburra preferirei persino Procida.

Si è mai visto luogo, per quanto misero, desolato, che non sia preferibile al terrore continuo degli incendi, dei crolli, ai mille pericoli di questa città tremenda, dove nemmeno in pieno agosto sfuggi al vociare dei poeti? Mentre si carica la casa tutta su un solo carro, l’amico sosta sotto gli archi antichi dell’umida porta Capena.

[…] A Roma non c’è piú posto per un lavoro onesto, non c’è compenso alle fatiche; meno di ieri è ciò che oggi possiedi e a nulla si ridurrà domani; per questo ho deciso di andarmene là dove Dedalo depose le sue ali stanche, finché un accenno è la canizie, aitante la prima vecchiaia e a Lachesi resta ancora filo da torcere: mi reggo bene sulle gambe e senza appoggiarmi a un bastone: giusto il tempo per lasciare la patria.

Artorio e Càtulo ci vivano, ci rimanga chi muta il nero in bianco, chi si diverte ad appaltare case, fiumi e porti, cloache da pulire, cadaveri da cremare e vite da offrire all’incanto per diritto d’asta. Un tempo suonavano il corno, comparse fisse delle arene di provincia, ciarlatani famosi di città in città; ora offrono giochi e quando la plebaglia abbassa il pollice decretano la morte per ottenerne il favore; poi, di ritorno, appaltano latrine.

[…]  Ma io a Roma che posso fare? Non so mentire. Se un libro è mediocre non ho la faccia di lodarlo o di citarlo; non so nulla di astrologia; non voglio e mi ripugna pronosticare la morte di un padre; non ho mai studiato le viscere di rana; passare ad una sposa bigliettini e profferte dell’amante lo sanno fare altri, e di un ladro mai sarò complice: per questo nessuno mi vuole quando esco, come se fossi un monco, un essere inutile privo della destra. Chi si apprezza oggi, se non un complice, il cui animo in fiamme brucia di segreti, che mai potrà svelare? Niente crede di doverti e mai ti compenserà chi ti fa parte di un segreto onesto; ma a Verre sarà caro chi sia in grado di accusarlo quando e come vuole.

Tutto l’oro che la sabbia del Tago ombroso trascina in mare non vale il sonno perduto, i regali che prendi e con stizza devi lasciare, la diffidenza continua di un amico potente. La gente che piú cerco di evitare, quella amatissima dai nostri ricchi, faccio presto a descriverla e senza riserve. Una Roma ingrecata non posso soffrirla, Quiriti; ma quanto vi sia di acheo in questa feccia bisogna chiederselo. Ormai da tempo l’Oronte di Siria sfocia nel Tevere e con sé rovescia idiomi, costumi, flautisti, arpe oblique, tamburelli esotici e le sue ragazze costrette a battere nel circo. Sotto voi! se vi piace una puttana forestiera con la mitra tutta a colori!

O Quirino, quel tuo contadino indossa scarpine e porta medagliette al collo impomatato! Lasciano alle spalle Sicione, Samo, Amídone, Andro, Tralli o Alabanda, tutti all’assalto dell’Esquilino o del colle che dal vimine prende nome, per farsi anima delle grandi casate e in futuro padroni.

Giovenale, Satira III

Il poeta satirico Giovenale
Il poeta satirico Giovenale

Il poeta Giovenale, che visse a Roma all’inizio del II secolo d.C., scrisse questa e altre descrizioni pungenti della vita cittadina: il terribile rumore della strada che non ti fa dormire di notte, l’accalcarsi della folla di giorno, gli incidenti e degli “ingorghi” causati dai carri nella città, e dover evitare la caduta di tegole, le risse tra ubriachi e gli scippi lungo il percorso.

Una tenuta di campagna prometteva di offrire invece un affascinante rifugio dalla vita pubblica e dal terribile trambusto di Roma (ma solo ai più ricchi). Quindi ci si rifugiava nelle proprie villae (“fattorie”), lussuose case di campagna che, in alcuni casi, erano vere e proprie piccole città con uno stuolo di schiavi, mentre i proprietari si vantavano coi loro ospiti di tornare alla semplicità di uno stile di vita rustico.

La sana vita di campagna

Quando poeta Orazio ricevette in dono una fattoria dal suo amico e Mecenate, comunicò all’amico la sua gratitudine in questi versi tratti dalle Satire:

“Era tutto ciò che avevo desiderato: un terreno con un giardino, una fontana di acqua viva accanto alla casa e un piccolo bosco; gli dei hanno fatto di più e di meglio. Che siano lodati! L’unica grazia che ti chiedo, Mercurio, è di assicurarmi il godimento di questi doni.”

Un giorno Seneca (4 a.C. – 65 d.C.), il precettore di Nerone, si ammalò gravemente e stava meditando di togliersi la vita. Decise invece di rifugiarsi nella sua tenuta di campagna, lontano da Roma. In una lettera a un amico, parla della felicità che gli deriva da questa esperienza, che gli permette di sfuggire all’inquinamento di Roma:

“Non appena lasciai l’atmosfera pesante della città e l’odore delle cucine fumanti, che sprigionavano tutti i loro vili fumi mescolati alla polvere, sentii un improvviso cambiamento nel mio essere. Giudicate voi come deve essere aumentata la mia forza quando sono riuscito a raggiungere le mie vigne! Ero come il destriero che torna al prato, che vola al suo pascolo” 

Figurina Liebig con scena di campagna dell'antica Roma
Figurina Liebig con scena di campagna dell’antica Roma

Investimenti immobiliari

Per l’aristocratico romano appartenente all’ordine senatorio (si veda il capitolo 2), la proprietà terriera era l’unico mezzo di esistenza accettabile; il commercio era, ai suoi occhi, volgare, a vantaggio dei cavalieri, che potevano facilmente mettere all’angolo i mercati e accumulare fortune sufficienti per acquistare le proprie ville. Di conseguenza, il nobile proprietario era sempre alla ricerca di nuove acquisizioni, soprattutto tra le tenute circostanti quando venivano messe in vendita.

Gli investimenti immobiliari richiedono un’attenta riflessione e bisogna valutare se:

  • La villa è in buone condizioni
  • Se deve essere conservata o può essere demolita
  • Se terreno è buono e fertile
  • Come è stato utilizzato in passato
  • Se i contadini sono affidabili e ben curati
  • Se sia necessario aumentare il numero di schiavi per rinnovare la tenuta e ottenere un profitto soddisfacente
  • Se, qualora il raccolto risulti  scarso, si debba ridurre l’affitto degli affittuari

Queste erano le principali preoccupazioni dei ricchi aristocratici, come sappiamo dai loro scritti. Una tenuta vasta e ben gestita rappresentava non solo un mezzo di arricchimento per questi uomini e le loro famiglie, ma anche, e forse soprattutto, un’eredità da trasmettere ai loro discendenti, un’importante fonte di prestigio e sicurezza. Naturalmente, più la villa era lussuosa, più diventava oggetto di desiderio per un imperatore maligno, sempre pronto a confiscare le tenute più belle. Costanzo II ne fece una specialità; paradossalmente, la fortuna è al tempo stesso un fattore di sicurezza e di rischio.

Una tenuta vasta e ben gestita

Una tenuta di campagna
Una tenuta di campagna

Una tenuta vasta e ben gestita rappresentava non solo un mezzo di arricchimento per gli aristocratici, ma anche un’eredità da trasmettere ai loro discendenti, un’importante fonte di prestigio e sicurezza.

Tuttavia, una villa lussuosa era anche un oggetto di desiderio per gli imperatori, che erano sempre pronti a confiscare le tenute più belle, l’imperatore Costanzo II era famoso per questa pratica; paradossalmente, la fortuna è al tempo stesso un fattore di sicurezza e di rischio per gli aristocratici romani.

Principali preoccupazioni degli aristocratici romani

  • La condizione della villa
  • La qualità del terreno
  • La affidabilità e la cura dei contadini
  • Il numero di schiavi necessari
  • Il potenziale raccolto
  • L’affitto degli affittuari

Vantaggi degli investimenti immobiliari

  • Arricchimento
  • Eredità
  • Prestigio
  • Sicurezza

Svantaggi degli investimenti immobiliari

  • Rischio di confisca da parte degli imperatori

Le ville più famose dell’antica Roma:

  • La Villa di Adriano a Tivoli
  • La Villa dei Quintilii a Roma
  • La Villa di Livia a Prima Porta
  • La Villa di Cicerone a Tusculum
  • La Villa di Oplontis a Pompei

La villa di Plinio il giovane

La villa di Plinio il giovane a Laurentium
La villa di Plinio il giovane a Laurentium

La villa di Plinio il Giovane a Laurentum (Castel Porziano), era una delle ville più sfarzose dell’antica Roma. Era situata sulla costa tirrenica, a circa 30 km a sud di Roma, e si estendeva per circa 100 ettari. La villa era composta da una serie di edifici, tra cui una casa padronale, delle terme, un teatro, un giardino e un parco.

Plinio il Giovane (circa 61-113 d.C.)al secolo Caio Plinio Cecilio Secondo, fu un senatore di Comum (Como) che ricoprì la carica di governatore della provincia del Ponto-Bitinia e un amico dell’imperatore Traiano. È conosciuto soprattutto per le sue lettere, che sono una preziosa fonte di informazioni sulla vita e la cultura dell’antica Roma. In una di queste, Plinio descrive la sua villa in modo molto vivido, e si può immaginare che fosse un luogo molto piacevole in cui vivere. Tuttavia, Plinio afferma che la villa non è così lussuosa come alcuni potrebbero pensare. In realtà, è semplicemente una casa per rilassarsi e godersi la vita.

“La mia villa si trova in una posizione molto bella, su una collina che si affaccia sul mare. Il giardino è pieno di fiori e piante, e c’è un teatro dove posso assistere a spettacoli teatrali e musicali. C’è anche una piscina dove posso nuotare e rilassarmi.”

“La villa non è così grande come alcune altre ville di Roma, ma è abbastanza grande per le mie esigenze. Ho una sala da pranzo, una sala da biliardo, una biblioteca e una sala per scrivere. C’è anche una stanza per gli ospiti dove possono soggiornare i miei amici.”

“La villa è un luogo molto piacevole dove vivere. È un posto dove posso rilassarmi e godermi la vita. Non è una villa lussuosa, ma è la casa perfetta per me.”

La lettera di Plinio ci offre una preziosa visione della vita di un ricco romano dell’antica Roma che concepiva La villa come una proprietà lussuosa, ma anche come un luogo dove potersi rilassare e godersi la vita.

La casa padronale era il centro della villa ed era composta da una serie di stanze, tra cui un atrio, un peristilio, un triclinio, un cubiculum e un tablinum. L’atrio era il cortile centrale della casa, e veniva utilizzato per le riunioni familiari e per ricevere gli ospiti. Il peristilio era un cortile porticato, e veniva utilizzato per passeggiare, rilassarsi e leggere. Il triclinio era la sala da pranzo, e veniva utilizzato per consumare i pasti. Il cubiculum era la camera da letto, e veniva utilizzato per dormire. Il tablinum era lo studio, e veniva utilizzato per lavorare e scrivere.

Le terme erano un complesso di edifici dedicato al bagno e alla cura del corpo. Erano composte da una serie di stanze, tra cui un frigidarium (sala fredda), un tepidarium (sala tiepida) e un calidarium (sala calda). Il frigidarium era utilizzato per rinfrescarsi, il tepidarium per rilassarsi e il calidarium per sudare.

Il teatro era un edificio per spettacoli teatrali privati. Era composto da una cavea (platea), un palcoscenico e una scena. La cavea era l’area dove si sedevano gli spettatori, il palcoscenico era l’area dove si svolgevano gli spettacoli e la scena era l’area dove si trovavano gli attori.

Il giardino era un’area verde all’interno della villa. Era composto da una serie di alberi, fiori e piante. Il giardino veniva utilizzato per passeggiare, e godere delle bellezze natura.

Gli interni della villa di Plinio il Giovane

La pianta della villa di Plinio il giovane
La pianta della villa di Plinio il giovane

La villa di Plinio il Giovane è una villa confortevole e senza lusso, almeno a sentire il proprietario. L’ingresso della villa è semplice, con un portico che circonda un grazioso cortiletto. Questo portico conduce a un cortile interno molto grazioso. Da qui si passa in una sala da pranzo piuttosto bella che si affaccia sul mare, le cui onde si posano ai piedi del muro quando soffia il vento del sud.

La sala da pranzo è dotata di doppie porte e di finestre grandi quanto le porte stesse, così che a destra, a sinistra e di fronte si vedono come tre mari diversi. Dietro di voi, potete vedere il cortile interno, il portico, l’aia, poi di nuovo il portico, infine l’ingresso, e in lontananza i boschi e le montagne.

A sinistra della sala da pranzo si trova un’ampia stanza rivolta meno verso il mare, e da qui si entra in una sala più piccola con due finestre, una rivolta a est e l’altra a ovest. Anche questa si affaccia sul mare, che si vede da più lontano, suscitando grande fascino. L’angolo che la sala da pranzo forma con la parete della camera da letto sembra progettato per raccogliere e concentrare tutti i raggi del sole. Questo è luogo in cui si sta bene e ci si può riparare soprattutto in inverno. Qui tutti i venti sono silenziosi, tranne quelli che riempiono il cielo di nuvole .

La villa di Plinio il Giovane è un luogo confortevole e piacevole dove vivere. È un posto dove rilassarsi e godersi la vita.

Interno di una villa romana
Interno di una villa romana

La biblioteca e gli alloggi riservati agli schiavi e agli ospiti di Plinio il Giovane

La villa di Plinio il Giovane ha una biblioteca e degli alloggi per gli schiavi e gli ospiti. La biblioteca è situata in una rotonda, con finestre che ricevono i raggi del sole da ogni direzione. La biblioteca contiene libri d’ogni genere. Accanto alla biblioteca ci sono le camere da letto, separate dalla biblioteca da un condotto rivestito di tubi sospesi che diffondono e distribuiscono un sano calore su tutti i lati. Il resto dell’ala è occupato da liberti o schiavi, ma la maggior parte delle stanze sono tenute così ordinatamente che potrebbero ospitare anche i padroni.

I bagni e la vista sul mare di Plinio il Giovane

La villa di Plinio il Giovane aveva un bagno molto grande e spazioso, con due vasche così profonde e larghe che ci si poteva nuotare dentro. Il bagno aveva anche una toilette, un bagno turco e una stufa. Accanto al bagno c’era un ambiente simile alla del Palazzo di Versailles chiamata Jeu de Paume o Pallacorda, che era un gioco simile al tennis e che era di origine latina, quindi è possibile che in questo spazio Plinio intrattenesse i suoi ospiti giocando con loro a questo sport.. Il jeu de paume era riparato dal sole, e ci stare, o giocare, anche nelle giornate più calde.

I bagni di una villa romana
I bagni di una villa romana

Da un lato del bagno c’era una torre, con due armadi in fondo. Sopra la torre c’era una sala da pranzo, con una vista mozzafiato sul mare, sulle coste e sulle ville circostanti. Dall’altra parte della torre c’era una camera da letto rivolta a est e a ovest. Dietro la torre c’era una grande cantina e una soffitta. Sopra la soffitta c’era un’altra sala da pranzo, dove si poteva sentire il suono debole, quasi ovattato, delle onde del mare. Questa stanza si affacciava sul giardino e sulla passeggiata che lo circondava.

villa romana con vista sul mare
villa romana con vista sul mare

La villa di Plinio il Giovane era un luogo di grande bellezza e relax, e il bagno era uno dei luoghi più apprezzati da Plinio. Il bagno era un luogo dove Plinio poteva rilassarsi e godersi il mare, e dove poteva… giocare a tennis con i suoi amici.

Il giardino della villa

Giardini della Villa di Getty costruita ad imitazione di una villa romana. Malibu, Los Angeles
Giardini della Villa di Getty costruita ad imitazione di una villa romana. Malibu, Los Angeles

Il giardino di Plinio il Giovane era un luogo molto bello e rigenerante. Il sentiero che attraversava il giardino era fiancheggiato da bosso o, in mancanza di questo, di rosmarino. La vite cresceva all’interno di un recinto, e il suo legno si piega dolcemente, anche sotto i piedi nudi. Il giardino era ricoperto di fichi e gelsi, per i quali il terreno era tanto favorevole quanto ostile a tutti gli altri alberi. Dalla sala da pranzo si poteva godere una vista, che non era meno piacevole di quello del mare da cui era distante. Dietro questa stanza, ci sono due appartamenti con finestre che si affacciano sull’ingresso della casa, e un altro giardino, meno elegante ma meglio arredato.

In un’altra lettera, Plinio descrive la sua vita quotidiana nella villa. È chiaro che non si dedicò mai all’agricoltura; nonostante i desideri di Catone e dei suoi simili, i ricchi romani preferivano lasciare i lavori più duri ai contadini e agli schiavi:

“Mi alzo presto, e dopo aver fatto una breve passeggiata nel giardino, mi metto a scrivere. Dopo pranzo, faccio un bagno e poi mi riposo. La sera, dopo cena, mi dedico alla lettura o alla conversazione con gli amici.”

Plinio il Giovane era un uomo molto impegnato, ma trovava sempre il tempo per godersi la sua villa e il suo giardino. La sua villa era un luogo di pace e relax, dove Plinio poteva dimenticare le preoccupazioni della vita quotidiana e godersi la compagnia dei suoi amici e familiari.

Ambienti della villa di Plinio il Giovane

  • Casa padronale: domus
  • Atrio: atrium
  • Peristilio: peristylium
  • Triclinio: triclinium
  • Cubiculum: cubiculum
  • Tablinum: tablinum
  • Terme: thermae
  • Teatro: theatrum
  • Giardino: hortus
  • Parco: silva

La villa o le ville di Plinio il Giovane?

Spaccato di una villa romana
Spaccato di una villa romana

Plinio descrive la villa Laurentina, situata sulla costa romana, nei pressi dell’antica via Severiana, in una sua lettera (Epistularum libri, II, 17), a Gallo.

Nel corso dei secoli, la villa Laurentina è stata oggetto di vari scavi archeologici, ma non è ancora stata completamente identificata. L’ipotesi più accreditata è che la villa si trovi nella zona di Grotte di Piastra, nella Tenuta di Castel Porziano.

Un’altra villa famosa di Plinio è la villa in Tuscis, situata in Valtiberina. Plinio descrive la villa in un’altra sua lettera (V, 6, A Lucio Domizio Apollinare), e la descrive come un luogo ancora più bello della villa Laurentina. La villa in Tuscis si trova in una posizione rialzata, con una vista spettacolare sulle montagne circostanti.

La villa in Tuscis è stata oggetto di scavi archeologici negli anni ’70 e ’80, e sono stati portati alla luce numerosi resti, tra cui un impianto termale, un porticato e delle cantine. Gli scavi hanno dimostrato che la villa in Tuscis era una villa molto grande e imponente.

“Mi sveglio quando posso, di solito di prima mattina, a volte prima, raramente dopo. Tengo le finestre chiuse, perché il silenzio e l’oscurità danno alla mente tutta la sua forza. Non essendo distratta da oggetti esterni, rimane libera e padrona di se stessa. Non voglio sottomettere la mia mente ai miei occhi; sottometto i miei occhi alla mia mente: essi vedono solo ciò che essa vede, purché non siano attenti a nient’altro.” 

Le ville romane e l’agricoltura

Scena di vita di campagna
Scena di vita di campagna

Al centro del mondo agricolo romano c’era la villa, un termine che significa “casa di campagna”. Le ville romane erano proprietà che andavano da modesti immobili a veri e propri palazzi rurali, e non avevano nulla a che vedere con le baracche abitate dai contadini.

I proprietari terrieri romani raramente trascorrevano tutto il tempo nella loro villa, che spesso abbandonavano a favore della loro residenza urbana, o anche delle loro altre ville. Tuttavia, le ville erano in realtà fattorie che producevano cibo in serie per arricchire i loro proprietari.

Il grano per rifornire Roma e le città e le fortezze dell’Impero veniva coltivato in queste grandi proprietà rurali. Le ville erano anche impegnate nella produzione di altri prodotti agricoli, come l’olio d’oliva, il vino, il formaggio e il miele.

Le ville romane erano un importante elemento dell’economia dell’Impero romano. Esse fornivano cibo, reddito e lavoro per una grande parte della popolazione dell’Impero.

Erano grandi proprietà rurali che si trovavano in ogni angolo dell’Impero romano, situate generalmente sui terreni migliori e con tracce di attività agricole su larga scala. Le proprietà più grandi non solo impiegavano migliaia di schiavi, ma anche interi villaggi di comunità di fittavoli che lavoravano su vasti campi. I proprietari più ricchi possedevano diverse ville, che visitavano solo occasionalmente e affidavano ai loro intendenti o agli schiavi la loro gestione. È anche possibile che alcune delle ville più modeste facessero in realtà parte di enormi proprietà e fossero abitate solo da fittavoli.

I Romani inventarono l’arte della “topiaria”, ovvero l’arte di potare gli alberi a forma di lettere o animali e di disporre le aiuole in modo decorativo. Con il diffondersi dell’influenza di Roma, si diffuse anche la mania delle ville e il mito delle origini rurali. La genialità di questa strategia risiedeva nel persuadere i popoli conquistati a voler diventare essi stessi romani, anziché considerarsi sudditi dell’Impero. Anche questi nuovi proprietari di ville presero in prestito la tradizione letteraria latina, integrandola nella propria cultura.

Le Case nell’Impero Romano

Una domus romana
Una domus romana

Esistevano due tipi principali di case nell’Impero Romano: la villa di campagna e la casa di città (domus). La prima era un grande edificio con ali che incorniciavano cortili, mentre la seconda era un edificio compatto che si affacciava su un giardino interno, come si può vedere oggi a Pompei. Entrambe avevano stanze pubbliche, utilizzate per ricevere ospiti, clienti e visitatori d’affari, e appartamenti privati riservati ai membri della famiglia. Ecco le stanze principali di un’abitazione romana:

  • Vestibulum: piccola stanza all’ingresso della casa.
  • Atrium: cortile interno con una piccola vasca centrale (impluvium) che raccoglie l’acqua piovana da un’apertura nel tetto. È la sala di ricevimento, che ospita anche l’altare domestico (lararium, vedi capitolo 9).
  • Tablinum: corridoio che conduce dall’atrio al peristilio, utilizzato come sala di ricevimento del padrone.
  • Peristylium: giardino circondato da una galleria colonnata coperta.
  • Oecus: sala di rappresentanza che si apre sul peristilio.
  • Cubicula: camere da letto adiacenti all’atrio e al peristilio.
  • Triclinio: sala da pranzo invernale o estiva che di solito si apre sull’atrio o sul peristilio.
  • Xystus: passeggiata al coperto.

Altre stanze comprendono magazzini, cucine e la biblioteca. La parte della casa che si affaccia sulla strada ospitava i banchi affittati a piccoli commercianti, che a volte erano i liberti della famiglia e le loro famiglie. Esistevano anche case a più piani, di cui si sono conservati pochi esempi, anche a Pompei ed Ercolano.

Inutile dire che solo le persone molto ricche possono permettersi ville o residenze urbane così ben arredate.

Una casa pompeiana
Una casa pompeiana

Le pareti delle grandi case romane erano decorate con pannelli e fregi dai colori vivaci che raffiguravano scene mitologiche e fantasie architettoniche. Nelle stanze più importanti, i pavimenti erano ricoperti da mosaici raffiguranti motivi geometrici, animali, divinità ed eroi mitici, battute di caccia e altre attività agresti. La finezza di queste decorazioni è sempre un riflesso della fortuna e del gusto e lo stile dell’epoca. Al posto delle ringhiere in ferro, le residenze più ricche avevano finestre vetrate, anche se di piccole dimensioni e in vetro opaco verdastro. Plinio il Vecchio (23 ca. – 79 d.C.) vedeva in questo eccesso di lusso e stravaganza il simbolo degli eccessi della cultura romana: la residenza più elegante del 78 a.C. non era nemmeno tra le cento più belle elencate nel 43 a.C., e tutte impallidivano ancora rispetto a quelle che si potevano ammirare un secolo dopo.

I comuni abitanti delle città, invece, dovevano accontentarsi di alloggi in affitto in condomini o in sezioni separate di case ad atrio. Nelle campagne, i contadini potevano spesso permettersi solo una semplice casa colonica in adobe (una miscela di pietre e paglia murata con argilla) o in legno, e nelle province più remote i più poveri vivevano ancora in cottage di paglia simili a quelli dell’Età del Ferro.

Si può dire che le case nell’Impero Romano fossero una vera e propria espressione della società romana, con le sue differenze di classe e ricchezza.

Le grandi tenute imperiali e private

Il più grande proprietario terriero nell’Impero Romano era l’imperatore. Possedeva vaste proprietà in tutto il mondo romano, acquisite per eredità, conquista o confisca. Le tenute imperiali erano gestite da procuratori imperiali, di solito liberti, che affittavano le terre direttamente a mezzadri (coloni) o le affidavano a fittavoli che, a loro volta, le subaffittavano ai contadini. In entrambi i casi, gli agricoltori dovevano cedere al locatore fino a un terzo della loro produzione.

Fattoria romana
Fattoria romana

Le grandi proprietà private operavano in modo analogo. All’epoca di Nerone (54-68 d.C.), sei grandi proprietari terrieri riuscirono ad espandere i loro possedimenti in modo così spettacolare da ritrovarsi con la metà della provincia africana. Questi latifondi impiegavano principalmente schiavi ma, sotto l’Impero, avevano un gran numero di dipendenti, sempre più spesso utilizzavano gli agricoltori liberi come forza lavoro stagionale aggiuntiva.

Melania la Giovane (383-439), erede di una ricca famiglia cristiana, possedeva proprietà in Italia, Sicilia, Nord Africa, Spagna e Gran Bretagna. Sebbene si sappia che liquidò i suoi beni a beneficio della Chiesa, la sua colossale ricchezza è una misura delle grandi fortune internazionali dell’epoca e sfida il mito della semplicità rurale romana.

Le ville del periodo tardo-romano

Nei secoli IV e V d.C., il mondo di Plinio il Giovane e della sua villa sembra molto lontano. Alcune province erano state invase dai barbari e molte ville erano state abbandonate dai loro proprietari. Tuttavia, nel IV secolo, le ville furono ricostruite sul sito delle ville gallo-romane, palazzi capaci di autosufficienza. A Montmaurin (Haute-Garonne) sono ancora visibili i resti consistenti di una sontuosa residenza che si estendeva su oltre 1.500 ettari e impiegava almeno 500 lavoratori.

Schiavi al lavoro in una villa romana
Schiavi al lavoro in una villa romana

Tuttavia, i ricchi proprietari terrieri continuavano a perseguire i loro ideali rurali. Ausonio (310-395 d.C.), poeta gallo-romano e precettore dell’imperatore Graziano (367-33 d.C.), scrisse una grande quantità di versi, tra cui alcuni dei più famosi sono dedicati alla Mosella della sua infanzia. Nella tradizione della poesia latina virgiliana, egli descrive il fiume come un paradiso bucolico e fertile in cui raffigura gli antichi dei romani.

Più tardi, Sidonio Apollinare (430-480 d.C.), vescovo di Alvernia che ebbe un ruolo importante nella resistenza gallica contro i Visigoti, descrive nei suoi scritti la sua villa e la sua vita di campagna, il che potrebbe farne un altro epigono di Virgilio. Egli fa anche riferimento alle ville dei suoi amici, dimostrando che la Gallia meridionale nel V secolo ospitava ancora molti aristocratici senatori che conducevano un’esistenza rurale di tipo romano.

L’agricoltura richiedeva una manodopera abbondante, mezzi di trasporto sicuri e affidabili per garantire il rifornimento dell’azienda e la spedizione dei prodotti, nonché l’accesso a mercati urbani stabili. Sebbene sia durata molto più a lungo nell’Impero d’Oriente, questo sistema non sopravvisse al caos e al declino territoriale che colpì l’Occidente in quel periodo, dove divenne rapidamente impossibile mantenere i latifondi e conservare l’ideale rurale romano.

La vera vita di campagna

L’immagine che i romani di sé non deve essere presa come vangelo. La realtà per la maggior parte dei sudditi nell’Impero Romano era una vita di interminabili fatiche nei campi, tornando dalla guerra per scoprire che il proprio piccolo podere era stato assorbito in un’enorme proprietà lavorata da schiavi, oppure a lottare contro le calamità naturali, il maltempo, i parassiti, gli esattori delle tasse e il caos economico causato nel terzo e quarto secolo dalle guerre civili e dalle invasioni barbariche (e non parliamo dell’epoca di Diocleziano, Costantino, Giustiniano!), oppure sbarcare il lunario in un angusto quartiere di una città. Molta di questa gente avevano poche possibilità di godere del tipo di vita in villa di cui parlavano Plinio il Giovane e Ausonio, perché erano impiegati come schiavi o affittuari in enormi proprietà o tenute imperiali.

La vita di campagna dei poveri agricoltori nell'Antica Roma
La vita di campagna dei poveri agricoltori nell’Antica Roma

Tuttavia, è anche vero che i ricchi proprietari di ville stabilivano il livello di vita opulento e i meno fortunati facevano di tutto per imitarli. Poiché i proprietari di ville meno abbienti ritenevano che un mosaico di qualità inferiore fosse preferibile a non averne neppure uno, accade che gli archeologi spesso scoprono case piccole e modeste con solo pochi piani ma ricoperti di mosaici. All’epoca le cassi più agiate avrebbero storto il naso di fronte a questo arredamento low cost, ma a noi oggi tutto fa brodo, per cui ogni testimonianza dell’antichità, griffata o meno, opera d’arte o crosta, è per noi comunque assai preziosa per saperne sempre di più sulla vita e le usanze dei greci e dei romani.

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